Un nemico della plutocraziaBenché dia luogo a un certo traffico, la stazione di Bricherasio è modesta, come s'addice a una ferrovia che porta dal capoluogo al fondo di una valle chiusa: industria e commercio son dati dal posto, lavoro e bisogni continui che ignorano lo speculatore e il circolo vorticoso dell'affare. Il paese sta pittorescamente nascosto come per offrire al viaggiatore un tono più attenuato della dura vita d'ogni giorno, e, accompagnandoti, il verde dei viali, mezzo decorativi mezzo portati da fruttiferi alberi di giardini adiacenti, ti introduce con gentilezza e noncuranza nelle strade dalle case qua campestri, là adattate già ad opifici. Il contadino a cui chiederai di mostrarti la villa e il setificio di Giretti, non si confonderà, anche se tu non gli avrai parlato in schietto piemontese: c'è caso anzi che ti risponda in disinvolta lingua italiana come quegli che è uso a ricevere visite di riguardo ed ha già accompagnato alla soglia del suo deputato scrittori della lontana Inghilterra e uomini di convegni internazionali. Bricherasio è un nome conosciuto nelle poste di tutto il mondo. Bricherasio è la sede italiana della Lega antiprotezionista d'Europa ed oltre Europa. Un paese non indegno di tale colore e di tali ambizioni. Furono la fortuna del Piemonte, durante secoli di storia oscura, queste ambizioni equilibrate di piccoli centri industriosi, che hanno avuto un nome almeno noto a Parigi e a Londra: Pinerolo, Biella, Chieri, Asti, Cavour. Ogni ingegno che vi crebbe in luce non ha rinunciato al colore locale della sua fama, ha voluto essere il gentiluomo paesano, anche nel momento in cui gli toccava incontrarsi con le più raffinate diplomazie. Nella corsa verso l'Europa questi piemontesi quasi tutti anglomani portavano con sé con culto testardo il ritratto del campanile natio. Il predominio della capitale non fu mai un monopolio come successe invece facilmente già in epoche remote a Milano, a Firenze, a Genova, e anzi la concorrenza a Torino nei continui commerci tra Francia e Italia, prima che si parlasse del Cenisio, era sempre una buona carta da giocare. A Bricherasio poi, come in tutta la valle del Pellice, s'aggiungeva, a questi generici fattori, l'impulso della razza repressa dalla lotta religiosa e per la sua stessa solitudine valdese destinata a non lasciarsi soffocare nella contesa dei commerci e delle industrie. Non s'appagarono i contadini di un'agricoltura modesta ma fiorente, con vigneti rinomati in due provincie; ma per la natura stessa del lavoro campestre dedicarono i lunghi riposi concessi dalla stagione a nuove arti, sicché sin del '700 l'industria della seta della valle del Pellice era diventata oggetto di studio e di teoria per quella schiera di economisti, di cui ininterrottamente il Piemonte sin da quei giorni si onora, da Vasco e da Solera a Luigi Einaudi. Un'industria patriarcale, aderente alle possibilità del tempo e del luogo, in principio legata anche ai limiti dell'attività famigliare, più artigianato che industria, ma se si guardano le cose nella sostanza, una rivoluzione, la nascita del capitale, la sovrapposizione dei beni mobiliari all'agricoltura. E i nuovi artigiani s'avventuravano con tanta audacia nell'impresa che presto chiesero mercati internazionali e libere frontiere. Bisogna tener conto di queste origini secolari per spiegarsi le battaglie del deputato Giretti contro le più recenti superstrutture dell'industria torinese metallurgica e siderurgica; la sua avversione allo spirito plutocratico della sedicente industria moderna; l'odio ai monopoli, la diffidenza verso le leghe industriali. Tutto il liberalismo di Edoardo Giretti, che si respira nella sua biblioteca tra le belle rilegature inglesi e la collezione dell'Economist, confortato di lunghe letture e di inchieste internazionali, ha questa schietta natura provinciale, è in buona parte la ribellione del gentiluomo di campagna. Accanto al suo setificio c'è la villa con la biblioteca, il giardino; prati e campi al di là. Non atmosfera cittadina, non costrizione di mura, di fabbrica, di civiltà d'acciaio. La base di tutto è la vita di provincia coi bassi costi, esigenze elementari, costumi frugali: mano d'opera femminile; minime spese generali perché il capitalista é anche imprenditore. Cresciuta senza Stato, senza piani fantastici di riorganizzazione sociale, in un ambiente guardato anzi con sospetto dallo Stato, questa industria ha i diritti della sua solitudine, ha il dovere di esprimere tutta la sua logica antistatale. Nata dai piccoli sacrifici quotidiani e da una profonda passione di indipendenza e di dignità, deve essere anti-parassitaria con la ferocia del moralismo protestante. Invece della sua battaglia trentennale, ad Edoardo Giretti toccarono sempre le solite accuse di astrattista, di logico puro, di fanatico della scienza. Non vollero capire che le prove della sua scienza erano nella sua opera quotidiana; che Giretti prima che una figura della politica italiana è una figura dell'economia italiana. É la piccola e la media industria che difende i suoi legittimi interessi. Questa schiera di imprenditori che sdegnarono le avventure finanziarie, che non cercarono la ricchezza, ma la libertà e l'indipendenza anche in fatto di economia personale, sono i primi e soli nazionalisti lungimiranti che abbia avuto la vita italiana. Essi furono i primi ad avere la grande intuizione che dono la decadenza del Rinascimento, l'economia italiana, non potendo più vivere come al tempo dei Comuni di commercio con l'Oriente, doveva trovar modo di far vivere accanto all'agricoltura, da sola insufficiente, un'attività produttiva mobiliare, capace di sfruttare l'abbondanza di mano d'opera della penisola e di sostenere la concorrenza internazionale giocando su questo fattore. C'è un valore di simbolo nel fatto che questa classe industriale rechi ancora i costumi e i caratteri del proprietario di terra, del gentiluomo di campagna. Senonché il processo in Italia era appena iniziato quando in Europa sboccava già nei sistemi giganteschi del capitalismo finanziario. Ai medi industriali toccò allora vedere intorno a sé organismi grandiosi che si improvvisarono a colpi di Borsa: imprese che si fondavano ad un'altezza di costi insostenibile, dopo aver accaparrati giornali e Enti pubblici; rapide fortune e improvvisi crolli, arrivismi forsennati di plutocrati. Come abbiano reagito, con quali sentimenti e preoccupazioni abbiano seguìto questo sviluppo si può documentare tenendo presenti gli scritti di Edoardo Giretti, seminati in giornali di provincia come La Lanterna Pinerolese o nei grandi quotidiani o letti alla Camera per tutto il pubblico dei contribuenti. Piccolo, nervoso, inquieto; occhietti agili di osservatore sotto una fronte quadrata; parlatore veloce, incalzante, andatura audace e saltellante, Edoardo Giretti sembra annunciare già col suo aspetto, tra il bonario e il pungente, un'atmosfera di battaglia. Ebbe l'ossessione dell'indipendenza sino dalla giovinezza. Fu contro Giolitti già prima dello scandalo della Banca Romana, quando l'antigiolittismo proprio ai confini della provincia di Cuneo voleva dire giocarsi qualunque avvenire politico. Invece Giretti continuò a presentarsi candidato in tutte le elezioni politiche, con una costanza ripetuta ad ogni sconfitta. Battaglie inglesi, fatte coi numeri statistici alla mano: quanto costa il dazio sul grano; quanto guadagnano ogni anno gli zuccherieri; a chi servono le spese militari e le imprese coloniali. Campagne condotte col più rumoroso senso dell'inopportunità, combattute ad personam, cominciando coll'urtare e imbestialire i grandi elettori, i parroci, i direttori di quotidiani. La resistenza contro la guerra libica e il suffragio universale gli valsero infine a sconfiggere la cricca giolittiana che da Torino e da Cuneo lo perseguitava sin nella valle, e Giretti fu deputato nel 1913. In Parlamento tra la politica generale e le angustie dei semi-partiti tutti giolittiani si trovò isolato. Nelle sue focose campagne non incontrava che nemici; nel gruppo radicale stesso di cui faceva parte era malviso perché non lasciava passare liscie le malefatte dei compagni. Del resto le sue attitudini di polemista preciso e documentato non potevano essere apprezzate in un'accolta di retori e di ignoranti servili. Né Giretti poteva farla a capo-partito perchè la sua era una posizione di moralista più che di politicante: i suoi interessi non si volsero mai alla politica generale, ma prevalentemente all'economia e ai costumi pubblici. Con il suo temperamento di dissidente, con la sua posizione di industriale, nemico dell'agricoltore assenteista come del plutocrate rapace, la sua parte doveva ridursi a quella di rivedere le bucce a chi credeva di farla franca. Uno spulciatore di bilanci pericoloso! Ma il giorno in cui per gli intrighi degli avversari non tornò più in Parlamento, l'opera poteva proseguire sul giornalismo. La qualità del deputato non è essenziale in questa figura di persecutore dei furbi e di denunciatore di affari loschi. Anzi il Parlamento diventava una tribuna artificiosa per un'opera caratteristica del collegio, che ha il suo luogo naturale nei comizi, e deve esplicarsi accanto al lavoro dell'industriale. Governi Giolitti, Nitti o Mussolini sempre ci sono dei trivellatori da denunciare, dei siderurgici da combattere. Che poi Giretti sia stato anche anti-bolscevico e sia oggi anti-fascista interessa più per la psicologia che per la storia. Conservatore di stampo inglese per segreta aspirazione in Giretti c'è più la puritana filantropia verso le classi umili che la comprensione della lotta di classe e del mito di redenzione degli operai. Questi limiti, a dire il vero, se lo hanno tratto in valutazioni ristrette e partigiane al tempo del famoso caso Mazzonis, fanno onore alla sua serietà di uomo tutto d'un pezzo, in cui lo studioso è lo stesso che l'industriale. Ma in questa passione il deluso di tutte le battaglie non può trovare una nuova ragione di parlare da una tribuna nazionale. Respinto dalle cricche dei politicanti e degli speculatori ha scoperto la natura vera della sua forza, si è ritirato su un terreno in cui egli è assolutamente imbattibile. Nella sua solitudine è un esempio, un organo della società futura, sognata prima di leggere Smith, nelle passeggiate del giovinetto lunga il Pellice, allo spettacolo di un'agricoltura, che rende quanto deve, ma non esaurisce le capacità lavorative della razza. Un esempio di individualismo trionfante, per cui l'iniziativa personale di oggi garantisce la libertà collettiva di domani. p. g.
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