LE CLASSI MEDIECritiche di un unitario.L'articolo che segue è il segno di un atteggiamento di intransigenza e di fedeltà al movimento operaio che rimane nei migliori dei giovani socialisti unitari. È certo che il partito socialista unitario si avvicinerà alla sua fine quanto più andrà a destra. D'altra parte quali gruppi operai gli sono rimasti aderenti? Ecco una domanda a cui occorre rispondere per chiarire la situazione politica presente. La relazione politica del segretario del Partito socialista unitario, on. Basso, ha lasciato in uno stato di profondo disagio gli elementi operai che aderiscono al partito. Questi elementi vivono in gran parte di impressioni, ed è sembrato ad essi, nonostante la mozione approvata, che la conferma dell'on. Basso a segretario politico del partito, sia stato l'avallo posto dalla Direzione agli "spunti programmatici" enunciati nella sua relazione. Bisogna confessare che se vi era momento politicamente poco opportuno per simili enunciazioni, era questo per l'appunto: quelle enunciazioni davano il pretesto agli avversari di destra di decantare le virtù terapeutiche del manganello come mezzo di ravvedimento; ai cugini massimalisti di sinistra di indicare gli unitari - non senza ragione - come dei democratici già fuori delle linee del socialismo marxiste. Sarebbe invero semplicista attribuire questo errore politico al segretario del partito; l'errore trae le sue ragioni dalla costante preoccupazione di attrarre le classi medie nell'orbita programmatica e nella sfera d'azione del P. S. U. Poiché queste classi medie - si è ripetuto da più parti - sono quelle che fanno l'opinione pubblica e possono col peso dei loro consensi e dei loro dissensi far cadere la bilancia a favore di quei partiti che sanno interpretarne i bisogni, così il P. S. U. si è buttato per un momento nella gara senza chiedersi se potesse servire contemporaneamente due padroni: le classi lavoratrici e queste classi medie. È giusto riconoscere che il Convegno nazionale era uscito dal labirinto in cui le classi medie lo avevano posto. I discorsi Modigliani e Turati avvertendo la composizione eterogenea di queste classi, e quindi la disformità dei loro interessi, hanno permesso ai convenuti di ritrovarsi unanimi nell'approvare la mozione concordata, la quale, abbandonando al loro destino le classi medie, dichiara esplicitamente che il partito unitario deve essere "l'espressione politica dei lavoratori oppressi e sfruttati, dei lavoratori del braccio e della mente, economicamente dipendenti e salariati o stipendiati". Ma il senso di disagio nel partito non si è perciò attenuato e credo di essere facile profeta quando penso che il P. S. U. dovrà convocare a breve scadenza, per risolvere la sua crisi, l'organo sovrano del partito: il Congresso nazionale delle sezioni. ***
Nonostante i discorsi Modigliani e Turati, è apparso non sufficientemente chiarito il problema delle classi medie. Il Convegno nazionale non si è chiesto chi erano queste classi medie e sopratutto non si è chiesto se e quali possibilità aveva il partito socialista di attrarle nell'orbita della sua azione, così da giustificare uno spostamento a destra del suo asse politico. È ciò che mi propongo di esaminare brevemente in questo articolo. Se fosse vero, come affermava Claudio Treves nel suo discorso all'assemblea milanese, che queste classi medie sono costituite da quei "neo proletari che per effetto della espropriazione da parte della ricca borghesia, cadono nel proletariato", è evidente che non vi era bisogno di discutere un problema di classi medie. Il P. S. U. non aveva che da attendere queste nuove vittime della borghesia o della plutocrazia per dare ad esse il saluto, forse non lieto, dei proletari già adusati alle battaglie del lavoro; se costoro venivano fatalmente verso il partito, il partito non avrebbe avuto alcun bisogno di muoversi dalle proprie posizioni. Ma è reale questa proletarizzazione, o non cadiamo invece in una vecchia e smentita illusione marxista? Lo stesso errore commise il partito socialista quando, nel processo di sviluppo dell'industria agricola, vedeva, cogli occhi della fantasia o della speranza, scomparire la piccola proprietà ingoiata marxisticamente dalla grande proprietà fondiaria, e anche allora aspettava a braccia aperte che i piccoli coltivatori si decidessero a discendere nelle più tormentate fila dei salariati agricoli. Ma attese invano! Sostenere oggi questa proletarizzazione nel campo agricolo, quando invece la piccola proprietà e la piccola impresa si vanno moltiplicando, mi sembra assurdo. Su questi coltivatori la socializzazione della terra non può presentare alcuna attrattiva. Nella proprietà collettiva non si sentono abbastanza proprietari e continueranno a coltivare colla maggior cura la bella, arcadica siepe che delimita il loro campo, lieti di poter affermare: "Questo è mio". D'altra parte non si può affermare che la socializzazione della terra avverrà attraverso la grande azienda industrializzata dopo quanto è avvenuto in Russia e avviene un po' in tutti i paesi a prevalente economia agricola. Il partito socialista potrà trovare consensi in questo campo attraverso la cooperazione dei piccoli coltivatori se riuscirà a dare ad essi la coscienza della identità dei loro interessi cogli interessi delle masse consumatrici. Ma con poca speranza, ché le masse contadine costituiscono anche oggi la riserva più feconda della reazione dominante. Nel campo delle industrie assistiamo al moltiplicarsi delle piccole officine e dei modesti laboratori i quali, per una quantità di ragioni che è qui il caso di esporre, riescono, coll'istallazione del piccolo motore e del piccolo tornio, a sostenere la concorrenza delle grandi imprese capitalistiche; così nel campo commerciale aumentano i negozi e i piccoli esercenti riescono a trovare il loro equilibrio economico. Che cosa può fare il partito socialista per questi artigiani e per questi esercenti? Continuerà a creare cooperative concorrenti, cogli elementi migliori della classe lavoratrice, e li allontanerà dalla propria orbita politica. Non ha per essi né la parola di conforto, né il mezzo economico per aiutarli. Sono queste le tre categorie tipiche che costituiscono le cosidette classi medie. Vediamo la posizione economica degli intellettuali che si possono classificare tra i lavoratori della mente e che sono costituite da tre principali categorie: i tecnici, le professioni libere, la burocrazia. ***
I tecnici hanno oggi un padrone capitalista dal quale dipendono ma dal quale, nella maggior parte dei casi, sono bene trattati. Del loro padrone conoscono le inclinazioni e i desideri e possono perciò soddisfarlo. Sarà altrettanto agevole per essi servire i cento, i mille padroni delle imprese della classe lavoratrice, i quali di solito pagano assai peggio del padrone capitalista? Il loro orientamento politico dipende in gran parte dalle capacità di assorbimento e dallo sviluppo, assai scarsi fino ad oggi, di queste imprese di produzione della classe operaia. Abbiamo infine i professionisti liberi e gli impiegati della burocrazia il cui numero, purtroppo, non decresce. Si tratta di categorie economicamente improduttive, il miglioramento delle cui condizioni non può aversi che da uno spostamento di redditi. Ora io mi domando: il partito socialista, finché rimarrà un partito proletario e di classe, che ha sulle spalle il peso enorme delle classi manuali, può impoverire ancora di più i lavoratori del braccio a favore di questi professionisti le cui condizioni economiche sono innegabilmente superiori? Non aveva torto quell'organizzatore socialista quando, divenuto sindaco del proprio Comune, faceva respingere sistematicamente le domande che i suoi impiegati comunali presentavano per essere ammessi nel partito socialista. Che cosa può fare per costoro un partito che sia l'espressione dei bisogni della classe lavoratrice? In nessuno di questi strati sociali avviene quella proletarizzazione enunciata dal Claudio Treves, la quale può ridursi ad alcuni ceti risparmiatori: possessori di rendita pubblica, depositanti e creditori di Banche e di privati, colpiti duramente dalla svalutazione della moneta e discesi fino all'ultimo gradino della piramide sociale. Il loro posto sarà però occupato da coloro che in periodo di prosperità economica salgono alla loro volta alla condizione di piccoli imprenditori. Più vasti spostamenti si potrebbero registrare verso il vertice della piramide, ma non interessano la nostra tesi. Quando il P. S. U. si sarà accorto che poco ha da mietere nel campo delle classi medie, supererà la sua crisi restando sé stesso, cioè l'espressione politica delle falangi lavoratrici. Una maggiore aderenza troveranno queste classi negli altri partiti, non socialisti, di democrazia e verso di essi si orienteranno. E sarà tanto di guadagnato per la chiarezza della vita politica e certe divisioni sembreranno illogiche e infeconde. Il partito unitario dovrà anche ricordarsi che i partiti di masse non vivono soltanto di freddo calcolo o di logica o di raziocinio come cenacoli di filosofi o accolte di matematici. La ragione pura non è sufficiente per se stessa a muovere questi partiti ai quali occorre quel tanto di empirismo o di mito che è indispensabile per dare una fede avvenirista a queste masse che non vivono di solo pane. Troverà allora una maggiore aderenza negli ambienti della classe lavoratrice e potrà compiere con maggiore efficacia e con più largo profitto quell'opera di educazione civile che costituisce la sua missione e sarà il suo titolo d'onore. B. RIGUZZI.
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