LA CULTURA POLITICA SICILIANA

e l'influenza inglese fra il sette e l'ottocento.

    All'interessante libro di Arturo Graf "L'Anglomania e l'influenza nel secolo XVIII" manca un capitolo. Mentre, infatti, completa e circostanziata è l'indagine sui viaggi e gli studi dedicati all'Inghilterra dagli italiani della penisola, assolutamente manchevole essa appare per quel che riguarda i viaggi e gli studi dei siciliani, e in una parola, per ciò che si riferisce all'influenza politica e culturale inglese in Sicilia, nel settecento. La lacuna è gravissima, se si pensa che in Sicilia, più direttamente che altrove, l'Inghilterra esercitò nella seconda metà del secolo XVIII e nella prima del XIX un particolare influsso: e spiace veramente che all'analisi diligente del Graf sia sfuggito un così ricco campo e materiale di osservazione.

    L'omissione si spiega facilmente con lo scarso lume e rilievo in cui la storia politica e culturale siciliana, che pure è delle più interessanti, si trova ancora. Si tratta di ambiente storico sommariamente noto, e difficile a investigarsi per l'avarizia o la gelosia di quanti avrebbero potuto tramandarne più distese memorie; esplorarlo, significa spesso lavorare di induzione, in base a parchi, se pur significativi elementi.

    Certo è che un avvenimento politico di primo ordine, quale la Costituzione Siciliana del 1812, modellata sulla falsariga inglese, non trova adeguata spiegazione ove non lo si metta in opportuno rapporto con tutto un periodo di preparazione intellettuale che, sotto l'influenza di vari fattori, la precedette: cioè con la diffusione che la cultura generale inglese ebbe in Sicilia, nella seconda metà del settecento, e con l'ammirazione che la Gran Bretagna, forza politica e civiltà, riscosse nell'opinione pubblica siciliana anche prima del '12. Che la letteratura e la filosofia inglese fossero conosciute in Sicilia, in quel torno, è un fatto; e se di prima o di seconda mano non importa: ciò che conta è il favore e l'interesse che esse accattivarono alla Gran Bretagna.





    Naturalmente, quando si parla di diffusione di cultura inglese, la si vuole intendere in senso relativo e cioè compatibilmente con le condizioni ambientali dell'isola: in questo senso, è lecito sostenere che in seno alla classe dotta siciliana, cioè alla classe alta, quella fornita di mezzi, una conoscenza del movimento intellettuale inglese vi fu; e né fanno testimonianza i rapporti diretti che in diverso ordine di culture ebbero il filosofo modicano Campailla col Berkeley; lo storico Cupani con l'Hotton, il Wodvard, lo Scherard, il Pitton; l'economista Balsamo con Young, ecc. Membri dell'Accademia di Londra furono: l'archeologo Principe di Biscari il dotto Caruso, il teologo Paternò di San Giuliano, fioriti a Catania attorno al 1750. Non pochi furono i viaggiatori inglesi che ebbero nell'isola onesta accoglienza (Giovanni Breval, che ne fece relazione, William Wodrard, a. di un "Siciliae soffilium elenchus", l'archeologo Antonio Aschew che asportò dall'isola molti pregevoli codici, Thomas Hobwart, cui devesi la celebre "Cronica Saracenica-Siculo-Cartaginese", il Brydone, che di un suo Viaggio in Sicilia stese un racconto epistolare abbondantemente tradotto, ecc.). Sia che entrasse con codesti viaggiatori, sia per altra via, certo è che man mano si introdusse in Sicilia una tal quale conoscenza dei classici e costumi inglesi. Il Brydone, che visitò l'isola nel 1770, rimase assai sorpreso della facilità onde le dame conversavano con lui in inglese, facilità che in seguito "crebbe a vera disinvoltura al tempo degli inglesi in Sicilia", - come scrive il Pitrè - il quale fa cenno del tono preso nell'isola dagli inglesizzanti dell'ultimo quarto del sec. XVIII, dal che ebbero origine gli intonati.





    Infatti, Brydone, dopo avere osservato come da Londra arrivassero a Palermo i ballerini, e come da Londra s'importassero sulle scene palermitane i caratteri più tipici del teatro inglese, i Buchs, i Maccarony, i Prigs, i Cits e altri ancora, nota che la cultura inglese nell'isola è più diffusa di quanto egli avesse potuto immaginare, e fatta sui testi. "Noi ci eravamo stupiti arrivando a Palermo di trovarvi dei gentiluomini che ci parlavano inglese, ma noi lo fummo ben più quando essi ci provarono di conoscere perfettamente parecchi dei nostri migliori Poeti e dei nostri Filosofi. Noi abbiamo trovato in originale, in parecchie biblioteche, le migliori edizioni di Milton, Shakespeare, Dryden, Pope, Bacon, Bolingbroke. La nostra lingua è talmente divenuta di moda che la si considera come una parte essenziale di buona educazione. Il Viceré e il Marchese Fogliani, uomo di gran merito, hanno fatto uno studio particolare di alcuni nostri attori, ed essi incoraggiano i progressi che queste conoscenze fanno nel regno" (1). Hume e Bolingbroke furono di certo abbastanza noti, in Sicilia. Quanto a Hume, esso fu tradotto, commentato e discusso (Saggi politici del commercio del signor David Hume, trad. dall'inglese con l'aggiunta di un discorso sul commercio in Sicilia da Don Isidoro Bianchi, 1774 - Lettera di Dafnide Polopodia Ninfa Ereina intorno alla morale di David Hume, 1776. - Alcuni brani istorici intorno a Scozia, Inghilterra e Irlanda estratti dall'Istoria d'Inghilterra di David Hume, lavoro rimasto manoscritto di quel Ab. Tognini, autore di un ragionamento storico rimasto anch'esso inedito: "I siciliani agli Inglesi", senza accennare a dissertazioni varie di Vincenzo Gaglio e altri, ove quesiti di Hume vengono applicati alla Sicilia). Non minor fortuna ebbero in Sicilia la storia e la letteratura inglese. Dal 1774 al 1777 compaiono tradotte in varie edizioni le "Notti" di Young; e nel 1780 il "Saggio sopra l'uomo" di Alessandro Pope; in questo torno un Vincenzo Martinello appresta una Storia del Governo d'Inghilterra e delle sue colonie (Palermo, 1777), un Francesco Soave traduce e commenta la Guida dell'Intelletto nella ricerca della verità di Giov. Locke (Palermo, 1781, e si tira la sesta edizione delle Massime filosofico-politico-morali per formare lo spirito e il cuore del Conte Chesterfield (Palermo, 1784), e un Elogio di Mylord Bolingbronke quale potrà servire come preliminare a' di lui saggi filosofici composto dall'Ab. Cannella (1794), e si stampa l'opera religiosa di Mylord Giorgio Lyttleton (Palermo 1794), e si traduce di Giorgio Rose lo Stato della Gran Bretagna relativamente alle sue finanze, al suo commercio e alle sue manifatture (1799), e le teorie dei pubblicisti inglesi vengono sostenute dall'Ab. Donzelli (Saggio sui vantaggi della Monarchia moderna, Palermo, 1794), nonché da altri, che all'Inghilterra si appellano per questa o quella riforma.





    Insomma, è una cultura generale che vale a documentare l'attenzione di cui godette nell'isola la Gran Bretagna, alle cui istituzioni sopratutto si rivolgono i dotti siciliani, ammirati dall'istinto di libertà che le anima e che rende gli inglesi "uomini forti, magnanimi, indipendenti e dominanti in tutte le quattro parti del globo" (2): sicché a ben ragione può concludersi col La Lumia che "le idee inglesi, l'ammirazione per le libertà inglesi cominciarono a penetrare nell'aristocrazia quaranta e più anni prima del 1812".

    È bene parlare di questa aristocrazia, che sarà quella che nel principio dell'ottocento attuerà il pronunciamento contro il sovrano e nel '12 concreterà la nuova Costituzione. È in seno a questa classe, divenuta folta e ricchissima di proprietà rurali, che si insinuano i principii del costituzionalismo inglese, in quanto sopratutto rispondono ad un interesse di conservazione e di libertà contro l'assolutismo regio, il quale assolutismo, si badi, tendeva in Sicilia a sollevare il popolo dall'oppressione feudale. Sono aristocratici i membri di quelle accademie isolane che si propongono la rivalutazione della luminosa storia locale, a base della quale sta la limitazione dell'arbitrio regio da parte della nazione rappresentata dai bracci parlamentari. Sono aristocratici i cultori di cose economiche (di economia scrivono il Viceré Caracciolo, i Principi di Trabia e di Pantelleria, il Marchese Gianrizzo, il conte Donaudi, il Marchese Spiriti, ecc.); è in seno all'aristocrazia che si diffondono i principi di agricoltura inglese importati nel 1790 dal Balsamo. Questo Abate Balsamo, terminese, futuro progettista della Costituzione del '12, è stato due anni in Inghilterra, ne ha girato l'interno in compagnia di Young, ha avuto agio di approfondire esperienze agrarie e politiche: reduce dalla Gran Bretagna è a Palermo l'economista di moda, stampa, traduce dall'inglese: nel 1790 ottiene una cattedra di economia; cattedra che, insieme a quella di Storia del Diritto Siculo, affidata nella stessa epoca all'eminente Gregorio, costituisce un faro da cui si propagano nelle classi colte luci di libertà e di rinnovamento. Quindi, la permeazione liberale avviene in seno all'aristocrazia, cioè alla classe che è stata e diventerà sempre più la classe dirigente. La Costituzione del 1812 verrà attuata dalla nobiltà, perché questo è il ceto intellettuale, oltre che, per essere detentore della ricchezza, il ceto che è in grado di viaggiare, di istruirsi, di creare accademie, di mettersi a giorno delle civiltà più avanzate; e perciò di capire i vantaggi di una costituzione, la quale gli offre il modo di limitare il potere regio in suo favore. Frequentissimi furono infatti, fra il sette e l'ottocento, i viaggi di siciliani intelligenti ed influenti in Inghilterra, e tali viaggi contribuirono indubbiamente a interessare e accostare le coscienze siciliane alle patrie istituzioni che, almeno nella lettera, tanta somiglianza avevano con quelle inglesi. Oltre il Balsamo, che, come s'è detto, maturò in Inghilterra i suoi studi di economia agraria e di storia politica, viaggiarono lo Scrofani, che scrisse in inglese e stampò a Londra nel 1799 un suo libro di viaggi, il Gustorelli, il Di Belmonte, il Di Scordia, lo Stabile, il principe di Castelnuovo e altri ancora: e l'influenza di codesti viaggi si avvertì nei posteriori movimenti di costoro. Del primo, scrive l'Amari, che "aveva recato dai paesi stranieri anche i principi politici, inclinando manifestamente agli inglesi, e s'era fatto perciò consigliere e maestro dei nobili siciliani, che quà venivano parteggiando per le riforme parlamentari" (3). Si determinava così una vera e propria corrente inglesizzante, ad alimentar la quale contribuì la singolare diffusione che ebbero in Sicilia le principali opere inglesi nella seconda metà del settecento e nella prima dell'ottocento (Bacone, Bolingbrke, Hobbes, Locke, Hume, Stewart, Robertson, Gibbon, Macaulay, Young, Smith, ecc.). Corrente e coltura che giovarono a tener lontana la Sicilia da eccessivi entusiasmi verso la rivoluzione francese, la quale d'altronde non aveva molte ragioni di successo nell'isola. Alla scuola inglese, insomma, appartennero gli uomini del 1812, come alla stessa scuola appartennero, in seguito, gli uomini del 1848 (4). S'è parlato della formazione intellettuale di Paolo Balsamo; come questi, il grande giureconsulto Rosario Gregorio, era stato educato alle storie inglesi di Hume, di Robertson, e sui libri di Bentham che cominciavano ad acquistar nome in Sicilia. Abbeverato alla coltura inglese è altresì lo Scrofani da Modica, che nel 1794 pubblica la diffusa operetta "Tutti han torto": ove i mali della rivoluzione e costituzione francese vengono svelati al lume del buon senso britannico. (L'Inghilterra ebbe, è vero, una rivoluzione, non però per rinnovare l'antica costituzione, ma al contrario per sostenerla intera. L'Inghilterra combatté per la sua libertà, ma per quella che consacrata da tanti secoli d'esperienza era veramente una libertà. La Francia combatté per una folle libertà ed incerta. L'Inghilterra ha messo l'equilibrio nei poteri; la Francia lo ha tolto. In Inghilterra il Re forma una parte del Parlamento, ivi il popolo ha un freno nella Camere dei Pari, questa da quella dei Comuni, il Re da entrambe ed entrambe dal Re. In Francia il Re e più nulla. L'Assemblea Nazionale è tutto; ecc." (5). Insomma, l'ordinamento inglese è il modello della virtù politica, e ciò spiega l'adesione spontanea e cordiale che gli uomini del 1812 diedero alla costituzione britannica, completando con le linee di questa gli schemi dei vecchi statuti siciliani. "Quegli uomini, scrive il Niceforo, sebbene più o meno imbevuti delle teorie filosofiche francesi del sec. XVIII, pure in politica erano inglesi, non amavano che l'89 ed obliavano il '93. Non il Rousseau, ma il Blakstone era il loro Dio".





    E ciò si spiega. I vecchi statuti locali, a base liberale, coevi a quelli inglesi, vivi ancora nell'isola, assicuravano alla Sicilia guarentigie di libertà che il potere regio non aveva potuto intaccare, e dalle quali anzi era stato sempre limitato. A mezzo del Parlamento, i diritti del popolo avevano sempre condizionato la potestà sovrana, che aveva dovuto inchinarsi assai sovente alle costituzioni locali. È, quindi, naturale che, come giustamente il Pitrè osserva: "dello scoppio dell'89 in Francia, la Sicilia per ragioni feudali, civili ecclesiastiche diversa da quella non si risentì gran fatto; perché se in Francia il terzo stato abbatteva nobiltà e clero, in Sicilia clero e nobiltà sostenevano i diritti del Parlamento, qualunque essi fossero e per quanto logorati dalle leggi e dal tempo. L'aristocrazia e gli ecclesiastici avevano in sé tanto da esser giudicati liberali, e la potestà regia, per assoluta che fosse, urtava contro tutto un ordinamento che era guarentigia dei diritti della nazione siciliana". A base di tale ordinamento stava l'istituto parlamentare che mentre a Napoli non esisteva più, in Sicilia si manteneva, per quanto possibile, vivo. Del Parlamento lo spirito siciliano menava orgoglio, comunque esso funzionasse; ed è con qualche indulgenza che un anonimo settecentista descrittore delle cose di Sicilia, riferisce a proposito dell'Assemblea siciliana che "i siciliani pretendono per questo paragonare il loro parlamento a quello d'Inghilterra". Ciò che conta in ogni modo è l'esistenza, in Sicilia a differenza del Napoletano, di un clima liberale, propizio all'assimilazione delle forme politiche britanniche. Anche l'Amari nota che nel secolo decimottavo davanti allo stesso ramo di Borboni, i due reami di Napoli e di Sicilia godevano diversa vita. "Per una contraddizione che avviene talvolta... nel reame di Napoli c'erano più lumi in quel di Sicilia, più libertà ".

RODOLFO DI MATTEI.
(1) Voyage en Sicilie et à Malthe. Traduit de l'anglais de M. BRYDONE, E. S. R. par R. Demeunier. Amsterdam et Paris, 1775.
(2) V. Can. G. CILESTRI dei March. di S. Croce: Elogio di I. Paternò, Castello di Biscari, Catania 1787.
(4) SOCRATE CHIARAMONTE: Il programma del '48 e i partiti politici in Sicilia in "Archivio Storico Siciliano", 1901, pag. 193. "A tale studio aveva tenuto dietro quello delle costituzioni politiche e amministrative del gran popolo, così somiglianti alle nostre nel periodo delle origini e fino a un certo punto dello sviluppo ulteriore, avvalorato dalle dirette osservazioni fatte da alcuni nostri recatisi a tal uopo in Inghilterra. In tal modo la politica al pari della scienza ebbe una lunga serie di rappresentanti della cosidetta scuola inglese, da Balsamo, Palmeri, Aceto, Castronuovo ed altri che furono detti gli uomini del '12, ad Emerico Errante, Amari, Ferrara, Ondes, Reggio, Deltignoso, Settimo, Stabile ed altri che furono detti gli uomini del '48...".