Politici d'oggiPASICNel 1868 a Zurigo fra i giovani serbi che in buon numero frequentavano quel Politecnieo si trovò per la prima volta anche il ventiquattrenne Nikola Pasic. Nato il 6 dicembre 1844 a Zajecar, piccola borgata al confine bulgaro, da modesti ma agiati possidenti di campagna, aveva percorso il ginnasio a Kragujevac ed essendogli stato assicurato dal Governo di Belgrado uno stipendio, s'era iscritto a Zurigo ai corsi di ingegneria. Ma in quegli anni nella maggiore città della Svizzera i giovani erano attratti non solo da ragioni di studio, ma ben anche dal desiderio di vivere in un ambiente politico, dove si fucinavano e si alimentavano le idee più moderne ed ardite. Michele Bakounine ed altri emigrati russi erano quelli che con la loro predicazione rivoluzionaria raccoglievano colà i maggiori proseliti e che assicuravano dei successi insperati al movimento internazionale socialista. A tale movimento la gioventù serba a Zurigo aderiva con tutto l'entusiasmo del suo focoso temperamento meridionale, spinta pure da un istinto naturale in quanti da uno stato di inaudita oppressione si trovino a respirare ad un tratto in un'atmosfera di vera libertà. Nella dottrina di carattere internazionale agitata a Zurigo era la promessa sì d'un nuovo assetto politico e sociale per il mondo intero, al di fuori di tutti i confini, ma per la gran parte dei giovani serbi era una promessa pure di liberazione per la loro patria gravata dalla doppia servitù del vassallaggio turco e della reazione governativa. Per questo sorse tra essi un circolo socialista nazionale serbo e si favorì da essi la costituzione della Federazione repubblicana dei Balcani. Ed all'uno ed all'altra Nikola Pasic si associò, per esserne tra i soci uno dei più fervidi e fattivi. Inoltre, guidato sin d'allora da uno squisito senso pratico e riflessivo, pur da convinto socialista, sosteneva che si dovesse pensare come a cosa molto lontana al trionfo dell'Internazionale, per il quale si assillava e si tormentava Bakounine e che si dovesse invece intensificare l'azione per affrettare la liberazione dei popoli balcanici dal giogo turco e da ogni altra dominazione straniera e la modernizzazione degli Stati balcanici. Con l'impegno di dirigere ogni sua azione a questi precisi intenti, Pasic - divenuto ingegnere - nel 1873 ritornava in patria, s'impiegava presso il Ministero degli edifici pubblici e come impiegato statale elaborava il tracciato della prima linea ferroviaria serba. Dopo un solo anno però rinunciava spontaneamente all'impiego presso lo Stato e si stabiliva, quale ingegnere comunale, a Pozarevac. A determinare il giovane ingegnere a quella rinuncia concorrevano il desiderio di essere più libero nel perseguimento di quell'attività politica che si proponeva di svolgere e l'avversione al Governo come tale e ai metodi di governo di allora, che recavano l'impronta più genuinamente reazionaria e che avrebbero quindi sempre immancabilmente ostacolato il trionfo di quegli ideali che stavano a cuore al reduce dal soggiorno svizzero. Il Governo di allora era il Governo autocratico degli Obrenovic, che trattavano il paese come un feudo, esigendo dai sudditi la più cieca ubbidienza, senza riconoscere loro i più elementari diritti d'ogni e qualunque cittadino. Non è che gli Obrenovic non si curassero di emancipare sempre più decisamente lo Stato vassallo dal giogo turco, ma non si sarebbero mai indotti a guidare la nazione serba sulla via del progresso, e tanto meno a dare al loro popolo una vera e moderna costituzione. Inutilmente si sarebbe sopratutto atteso che essi si muovessero per emancipare il loro popolo dalla dominazione straniera, che non fosse quella turca, e per congiungere in un solo Stato tutte le terre serbe. Milan Obrenovic specialmente, che era divenuto principe regnante nel 1868, si era troppo legato all'Austria e troppo assecondava le direttive viennesi, per sentirsi ardito sino a prendere posizione contro la Monarchia degli Asburgo, assolutamente decisa ad impedire il risorgimento nazionale serbo, che sarebbe stato per essa, prima o dopo, fatale, e di conseguenza preoccupata di mantenere i serbi in un costante stato di miseria morale e materiale. Quindi Pasic prese il suo posto nella lotta contro gli Obrenovic, partecipando al movimento socialista che era sorto in Serbia ancora prima ch'egli ritornasse da Zurigo, per opera principalmente di Svetozar Markovic - altro reduce dalla città svizzera - e che s'affermava non ostante le persecuzioni sempre più inesorabili degli uomini al potere, al servizio degli Obrenovic. Anzi nelle elezioni politiche del 1874 quattro capi del movimento erano riusciti deputati ed avevano anche avuto la fortuna di intendersi con dieci dissidenti del gruppo governativo alla Skupcina, costituito da alcuni sedicenti liberali e da esponenti di clientele più o meno sprezzabili. Pasic nel movimento socialista serbo, non ancora disciplinatosi in un vero e proprio partito, si fece tosto notare per certe enunciazioni realistiche, che erano già indici di promessa d'un fortunato avvenire per l'uomo e per la corrente politica che da lui si sarebbe ispirata. In lui, non ancora deputato, si delineavano già i tratti d'una chiara e completa concezione politica, concezione che realizzandosi non solo avrebbe fatta sorgere una Serbia, retta da sovrani scrupolosamente costituzionali e da principii moderni e democratici, ma una Serbia che si sarebbe saputa formulare il più dignitoso e cosciente programma di politica estera, sorretta dal quale si sarebbe incamminata verso i suoi definitivi destini. Senza gli Obrenovic e con altri appoggi, che non fossero quelli viennesi, e se era necessario mettendosi addirittura contro l'Austria, doveva iniziarsi la nuova era nazionale serba. Dal 1876 al 1878, a cagione della guerra contro i turchi, i serbi si sentirono uniti al disopra dei partiti, e perciò anche nel movimento al quale aderiva Nikola Pasic subentrò una sosta. Ma nel 1878, con il ritorno della pace, il Governo dittatoriale di Jovan Ristic, fedelissimo a Milan Obrenovic - il quale, proclamato da principe re nel 1875, eccedeva nelle prove del suo attaccamento all'Austria - imbaldanzito anche per i risultati elettorali politici, appunto in quell'anno ottenuti, spiegò contro le correnti oppositrici una reazione ancora peggiore delle passate. Ristic però si compromise per non avere fatto valere le aspirazioni serbe, durante il Congresso di Berlino, che finì con il sacrificio della Bosnia Erzegovina a favore dell'Austria-Ungheria. Quello che più valse a scuotere la posizione politica di Ristic furono gli attacchi logici e serrati di Nikola Pasic, che con le elezioni del 1878 entrava per la prima volta al Parlamento. Il gabinetto Ristic si dimetteva nel 1880 e lo sostituiva un gabinetto Pirocianaz-Garasanin non meno reazionario. Contro la reazione l'opposizione parlamentare, capeggiata da Nikola Pasic, si spiegava formidabile e non rimaneva senza ripercussione nel paese. Non si fece quindi scrupolo nel 1882 il Governo di dare apparenze fantastiche ad una sommossa circoscritta e facilmente repressa di contadini nella regione di Timok, determinata da motivi fiscali, per cercare di sbarazzarsi in modo inaudito ed inesorabile degli oppositori. Fu instaurato un tribunale marziale, che con procedimento sommario condannò ben 794 persone, di cui 94 a morte a 567 a vita. Con la condanna a morte si colpirono anche parecchi deputati dell'opposizione e fra questi Pasic. Ma egli, assieme all'amico Aza Stanoievic, fuggì dal territorio serbo e si stabilì in Bulgaria, di là recandosi a visitare altri paesi d'Europa. Venne anche in Italia e si trattenne per qualche tempo a Firenze. Intanto nel 1887 la Serbia, trascinata dall'Austria e per compiacere ad essa, si metteva in guerra con la vicina Bulgaria. La guerra ebbe per la Serbia un esito infelice, tanto più gravemente sentito, perché essa al momento d'ingaggiare la lotta si vide già vittoriosa in grazia dell'efficace aiuto austriaco, che fu invano atteso. Il re Milan, quale creatura ligia alla Corte di Vienna, in seguito al disastro militare serbo, dovette abdicare, dopo aver dato un nuovo e alquanto più liberale statuto allo Stato. Gli successe nel 1889 il figlio tredicenne Alessandro, sotto una reggenza, che come primo atto di governo promulgò un'amnistia per tutti i delitti politici, e indisse nuove elezioni parlamentari. L'amnistia offri all'esule Pasic la possibilità di ritornare in patria e le elezioni lo riportarono al Parlamento. Le elezioni stesse segnarono pure la sconfitta degli austriacanti e questa sconfitta la si percepì ancora meglio quando nel 1890 Nikola Pasic fu nominato presidente della Skupcina ed un anno dopo fu incaricato della costituzione d'un gabinetto di coalizione, che avrebbe dovuto, in grazia ad una sincera intesa di tutte le correnti politiche interne, essere l'invocata salvezza del paese travagliato. Pasic costituì il gabinetto di coalizione e si accinse ad oprare di proposito perché sparisse ogni traccia di tutela austriaca ed ogni pericolo di intrigo absburgico dalla vita politica serba. E poiché vide nitidamente che al maturare dei destini della Serbia erano indispensabili l'appoggio e la materna sollecitudine della grande Russia, iniziò quell'avvicinamento fra Belgrado e Pietroburgo, che stabilitosi in seguito, in grazia pure ai suoi sforzi, fu la fortuna impareggiabile e superiore ad ogni aspettativa del popolo serbo. Un indirizzo politico francamente progressista ed un deciso orientamento di politica estera verso la Russia s'affacciarono allora come i cardini d'un programma di governo, dopo essere divenuti già da tempo i cardini d'un programma di partito, e precisamente del partito radicale serbo. L'originario movimento socialista importato dalla Svizzera, come meglio si era adattato alla natura, alle necessità ed alle aspirazioni del popolo serbo, aveva assunto una sempre più spiccata fisionomia propria, e s'era infine trasformato nel partito radicale serbo, che l'abile guida di Pasic, il suo squisito senso pratico ed una sua limpida visione di fini, avevano rivestito di forza e d'autorità ed avevano associato per sempre, come una solida compagine, alle fortune dell'Uomo. Il primo Ministero Pasic non ebbe lunga durata, perché l'Austria trovava ancora il modo di far decidere la Corona serba secondo la sua volontà. L'ex-re Milan, dopo l'abdicazione, non si era allontanato dalla Serbia e da premuroso e servizievole agente della Corte viennese, influiva, non senza risultato, sulle decisioni del figlio, re Alessandro, che aveva appena raggiunta la maggiore età. Nell'estate del 1899 Milan sfuggì ad un attentato. L'attentato non parve serio e si credette da molti preparato da lui stesso, nell'interesse della politica austriaca, per eliminare l'opposizione dei radicali all'approvazione parlamentare della convenzione doganale che asserviva la Serbia all'Austria. Sta il fatto che dallo stesso Milan i radicali furono denunciati, come colpevoli dell'attentato e fra gli arrestati si trovò anche Pasic. All'arresto seguì la sua condanna ad otto anni di carcere, carcere che tuttavia per intervento personale dello czar di Russia, fu trasmutato nell'esilio. Il secondo esilio di Pasic non cessò se non con l'avvento al trono serbo di Pietro Karageorgevich, dopo la strage degli Obrenovic del giugno 1903. Re Pietro accordò tutto il suo appoggio al programma politico di Nikola Pasic e questo appoggio, che mantenne costante per tutta la durata del suo regno, avvalorò il detto programma politico, facendolo apprezzare dall'unanime opinione pubblica, come il solo capace di unificare i serbi in uno Stato temuto e potente. Pasic, con l'appoggio del Monarca e con la fiducia della nazione, compì il miracolo attraverso tappe di dolore, di sacrificio e di gloria. Fu da prima la crisi bosniaca (1908-1909), che si risolse con un momentaneo insuccesso diplomatico per le richieste serbe, ma con un successo morale di straordinaria importanza per la nazione serba; fu quindi la guerra balcanica (1912-1913), che si concluse con l'emancipazione dei serbi dal giogo turco, e fu infine la grande guerra mondiale. I risultati che ne derivarono per la Serbia sono troppo noti. Non solo si compì l'unificazione di tutti i serbi, sotto lo scettro della dinastia nazionale dei Karageorgevich, ma con i serbi si congiunsero i croati e gli sloveni. Neanche Pasic sperava un tal risultato. L'unificazione serba si realizzò entro la più vasta unificazione jugoslava, ma questa non parve in un primo momento destinata ad essere duratura come quella. Nikola Pasic, venerando per età e carico d'esperienza, ebbe negli ultimi anni ed ha ancora oggi una missione da compiere, e cioè quella di cimentare la compagine del nuovo Stato dei Karageorgevich contro ogni pericolo di sgretolamento o d'instabilità. Non è dubbio che egli da buon serbo, anzi come il più autentico interprete dello schietto pensiero serbo, tenga ad assicurare alla sua stirpe una posizione di preminenza rispetto alle altre due stirpi della Jugoslavia. Pasic è propugnatore (ed oggi ormai realizzatore) d'un concetto unitario dello Stato jugoslavo, per il quale non tende - come i pribiceviciani - alla confusione ed alla livellazione delle stirpi che lo compongono, ciò che considera altrettanto pericoloso come i separatismi interni. Croati, sloveni e serbi vanno bene distinti gli uni dagli altri, ma non devono creare degli Stati entro lo Stato. Il concetto unitario di Pasic è eminentemente conciliatore. Il suo gioco naturalmente è il gioco della monarchia. Il vecchio statista, entro dei ben fissati termini, prudente ed al caso temporeggiatore, opra per accomodare e conciliare gli elementi contrastanti. Al fedele ministro della Monarchia restano naturalmente estranee le nuove tendenze delle masse. Di fronte alla crisi dello Stato egli assume atteggiamenti autoritari, dittatoriali, vessatori, e arriva a valersi di certi metodi di governo, come quelli usati recentemente contro Radic e i radiciani, che non sono certo di tono più elevato del solito stile balcanico. Si tratta però di semplici mosse in un calcolo esattamente ponderato per meglio spiegare, affermare e avvantaggiare una politica di conciliazione. Pasic non spaventava ieri i radiciani con la fine del mondo per averli oggi pronti addirittura a collaborare con lui nel governo della cosa pubblica? A parte i torti della sua concezione politica, le sue qualità fondamentali appaiono la calma e la riflessione anche nell'ardimento. La virtù di saper dominare ognora le situazioni, anzi di poterle facilmente mutare, pur serbandosi in mezzo ad esse indispensabile, congiunta ad una incomparabile scaltrezza balcanica, contribuisce a mettere il vecchio Premier jugoslavo nel rilievo d'un uomo di Stato che ha saputo dominare i suoi tempi più con la lucidità operosa che con i gesti. VINCENZO MARUSSI.
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