IL NOSTRO PROTESTANTESIMOChe cosa si deve intendere quando si dice che l'Italia non ha avuto la sua Riforma, e che nell'assenza della Protesta stanno le ragioni della sua immaturità ideale e politica? Se la constatazione dovesse riferirsi solo a un problema di critica e di libertà religiosa, se si limitasse a proporre il modello delle moderne nazioni protestanti rimarrebbe un'esigenza eretica di storici e i cattolici avrebbero ragione di opporvi gli istinti della razza. Tra noi un movimento protestante deve provarsi ad affrontare un'esigenza più dolorosa e un problema assolutamente centrale della vita italiana. La vittoria del cattolicismo, la pratica conservatrice e reazionaria accompagnata agli artifici demagogici che si ritrovano nella storia nostra sono inevitabili finché permangono le attuali e tradizionali condizioni dell'economia. I tentativi più serii di eresia in Italia corrispondono al periodo della libera e prospera attività economica dei Comuni. Con l'ingresso nella storia dei popoli atlantici e con la scoperta dell'America l'economia italiana entra in un periodo di stasi: il commercio è in crisi; l'agricoltura, naturalmente povera, danneggiata dall'esistenza di feudi nobiliari ed ecclesiastici che sono tenuti secondo un regime di beneficenza, non trova una classe di operosi coltivatori; gli artigiani non bastano che a diminuire il disagio in poche città settentrionali. In queste condizioni della vita generale si può celebrare il trionfo della Controriforma. L'arma della Chiesa contro Roma pagana, contro i barbari, contro lo Stato moderno è sempre stata offerta dalla miseria universale. Le plebi povere furono cattoliche per le lusinghe della beneficenza. Così il dogmatismo s'impose agli spiriti umiliati e sottomessi. Il fascismo è cattolico con perfetta logica se si pensa che esso si inserisce nella crisi italiana in un momento di disoccupazione economica; e la riforma scolastica, squisitamente reazionaria, si serve appunto dell'insegnamento religioso per togliere alle classi popolari ogni baldanza di ribellione. È chiaro che tutte le rivoluzioni protestanti in Europa provarono la loro vitalità nella creazione di nuovi tipi morali; senza la rivoluzione morale il libero esame sarebbe letteratura. Lutero e Calvino sono gli antesignani della morale del lavoro postulata dalle nascenti democrazie produttrici. Essi bandiscono ai popoli anglosassoni la religione dell'autonomia e del sacrificio, dell'iniziativa e del risparmio. Il capitalismo nasce da questa rivoluzione individualistica delle coscienze educate alla responsabilità personale, al gusto per la proprietà, al calore della dignità. In questo senso lo spirito delle democrazie protestanti è identico con la morale liberistica del capitalismo e con la passione libertaria delle masse. La fabbrica dà la precisa visione della coesistenza degli interessi sociali; la solidarietà del lavoro. L'individuo si abitua a sentirsi parte di un processo produttivo, parte indispensabile nello stesso modo che è insufficiente. Ecco la più perfetta scuola di orgoglio e di umiltà. Io ricorderò sempre l'impressione che ebbi degli operai, quando mi capitò di visitare le officine della Fiat, uno dei pochi stabilimenti anglo-sassoni, moderni, capitalistici, che vi siano in Italia. Sentivo in essi un atteggiamento di dominio, una sicurezza senza pose, un disprezzo per ogni specie di dilettantismo. Chi vive in un'officina ha la dignità del lavoro, l'abitudine al sacrificio e alla fatica. Un ritmo di vita che si fonda severamente sul senso di tolleranza e di interdipendenza, che abitua alla puntualità, al rigore, alla continuità. Queste virtù del capitalismo risentono di una ascesi quasi arida; ma in compenso la sofferenza contenuta alimenta con l'esasperazione il coraggio della lotta e l'istinto della difesa politica. La maturità anglo-sassone, la capacità di credere a delle ideologie precise, di affrontare i pericoli per farle prevalere, la volontà rigida di praticare dignitosamente la lotta politica nascono da questo noviziato, che significa l'ultima grande rivoluzione avvenuta dopo il Cristianesimo. La guerra europea ha dimostrato come le democrazie del lavoro così alimentate siano le più battagliere, le più gelose a difendere la vita nazionale, le più capaci di spirito di sacrificio: e chi ha letto Calvino non aveva bisogno di questa dimostrazione. Le religioni dell'individualismo sono sempre state eroiche. Invece nella storia italiana i tipi di produttori risultarono dalle transazioni a cui si è costretti nella dura lotta con la miseria. L'artigiano e il mercante decaddero dopo i comuni. L'agricoltore è l'antico servo che coltiva per conto dei padroni o della curia e ha nell'enfiteusi la sua unica difesa. La civiltà più caratteristica poi è quella che si forma alle corti o negli impieghi e che abitua alle astuzie, ai funambolismi della diplomazia e dell'adulazione, al gusto dei piaceri e della rettorica. Il pauperismo italiano s'accompagna con la miseria delle coscienze: chi non sente di compiere una funzione produttiva nella civiltà contemporanea non avrà fiducia in sé stesso né culto religioso della propria dignità. Ecco in qual senso il problema politico italiano, tra gli opportunismi e la caccia sfrontata agli impieghi e l'abdicazione di fronte alle classi dominanti, è un problema morale. Il protestantismo in Italia deve battersi contro l'economia parassitaria e l'unanimità piccolo borghese e deve cercare negli operai educati alla libera lotta e alla morale del lavoro i quadri dell'eresia e della rivoluzione democratica. In questo modo non sarà un'ideologia di importazione, ma il mito autentico di un'Italia educata a dignità, il mito di cittadini capaci di sacrificarsi alla vita della nazione perché capaci di governarsi senza dittatori e senza teocrazie. p. g.
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