MissiroliUna dialettica disperatamente tesa e pronta a tutti gli imprevisti, un senso religioso della storia e soprattutto quel suo magico liberalismo che ci appare diverso ad ogni svolta di pagina che appare condurci a così varie e contrastanti conclusioni ed alla fine non sì può negare una intima e profonda coerenza - ci hanno fatto sempre leggere con amore misto a titubanza e a diffidenza i libri di Missiroli. Si aveva paura di essere traditi ad abbandonarci fiduciosi a lui, e la nostra ingenua buona fede era minacciata da ogni parte. Questo senso di amore e di diffidenza é stato comune a tutta la nuova generazione che non ha potuto passare indifferente dinanzi ai libri di Missiroli (vedi l'articolo di Morra di Lavriano sulla Rivoluzione Liberale, anno II, n. 24). Eppure se oggi noi rileggiamo quei libri sentiamo che, in fondo, quegli imprevisti potevamo aspettarceli, quelle conclusioni sono logiche: in esse non c'è campo per esperienze magiche. Missiroli può essere considerato un pensatore isolato nel movimento di rinascita idealistica in Italia negli ultimi anni prima della guerra. Il movimento fiorentino del Leonardo e poi della Voce non lo trova tra i suoi. Il problemismo dell'Unità salveminiana non poteva suscitare le simpatie di questo innamorato della dialettica. Se volessimo inquadrarlo in un movimento culturale è piuttosto l'idealismo gentiliano che ci viene alla mente; eppure la posizione di Gentile conduce alla dichiarazione di fede nell'autorità (arbitraria), mentre anche oggi il liberalismo di Missiroli non rinnega i suoi presupposti democratic . Ma, formatosi così in un'elaborazione solitaria (l'influsso di Oriani ha avuto una importanza più sentimentale che dottrinale), pare che Missiroli abbia risentito di questa solitudine e sia quasi piegato di fronte allo sforzo necessario per affermare la novità di un pensiero, che si poneva in posizione originalissima di fronte alla interpretazione del risorgimento non solo, ma a tutta la maniera attuale di pensare; e la concezione e l'opera che ne consegue noi non la vediamo sorgere armonica - frutto di una attività che si appaga in sé stessa - ma ne risentiamo il penosissimo sforzo teso a riallacciare in una sintesi unica quello che le più spietate analisi hanno diviso. Si presenta a noi come un blocco unico, ma le varie correnti, che pur in essa si intravvedono, noi non le sentiamo unite liberamente e quasi per confluire naturale. Se nel liberalismo Missiroli ha trovato la formula verso cui convergere i vari risultati a cui lo conduceva la sua meditazione sulla storia, questo liberalismo - a cui il caratteristico stile dello scrittore aggiunge qualcosa di enigmatico - -finisce per risentire di questa costruzione voluta. Missiroli è stato definito un'anima religiosa e religioso infatti - profondamente religioso - é il suo modo di intendere la storia: una religiosità fatta di dubbio e di tormento, che oscilla tra la rivelazione e la disperazione. Ormai disincantato, non ha più l'ingenua fede per credere alla parola della rivelazione e non sa trovare un altro elemento di stabilità nel mondo. Il suo liberalismo forse è tutto qui: una sospensione di giudizio, che si ammanta di un pessimismo da Ecclesiaste. E allora si spiega l'apparente contraddizione e le varie facce del suo liberalismo, ora inteso come capacità di comprensione degli avversari (capacità di criticare partendo dalla loro logica interna le idee altrui) ed era più ampiamente come " senso della storia"; e per cui ora si parla di una "funzione liberale" che nei tempi moderni il socialismo è chiamato ad assolvere, erede di quella rivoluzione liberale iniziatasi con la riforma; ed infine si allude al "metodo liberale", con cui si intende quell'opera liberale alla quale sono chiamati i governanti: liberalismo come empirismo di governo e illuminata opera di conservazione. Rivoluzionario è apparso Missiroli che viceversa ama chiamarsi conservatore. D'altronde questo suo liberalismo non pretende essere un programma di azione: "perché dovrei scegliere una posizione di combattimento, dal momento che tutte le posizioni si equivalgono?": - Quello che è stato è lo stesso che sarà; e quello che è stato fatto è lo stesso che si farà; e non vi è nulla di nuovo sotto il sole. - Tutti i fiumi corrono nel mare, e il mare non s'empie; i fiumi ritornano sempre a correre al luogo dove sogliono correre. - Ma se a ogni giorno è data la sua pena, ad ogni giorno è dato pure il suo dovere e il suo compito; e anche a Missiroli non è dato esimersene quando è di fronte allo studio della vita e della lotta attuale, e scrivere di storia è prendere posizione di fronte ai problemi di cui si scrive. Invano ci si rifugia dietro il paravento della filosofia: il suo liberalismo, fatto rigido - sovrapposto alla realtà, non scaturente da essa - rimane spezzato. Se il liberalismo infatti è un metodo, se il liberalismo è non senso della vanità delle cose ma senso storico, "coscienza critica della storia vivente", il liberalismo è anche un principio. E come tale è battagliero; non si chiede: "perché dovrei scegliere una posizione di combattimento, dal momento che tulle le posizioni si equivalgono?", ma scende decisamente in campo. Il "metodo" liberale riafferma in se stesso la "funzione" liberale nella storia. Qui è il senso vivo della storia, ed è quistione di forza morale e di chiarezza. Se noi risaliamo al centro del pensiero di Missiroli noi ritroviamo questa forza e questa chiarezza, ma par quasi che l'indagatore si sia arrestato di fronte ai risultati a cui conduceva la propria opera. La logica con la quale si è rivolto a rivivere le posizioni altrui non l'ha rivolta a riaffermare le proprie posizioni. Dietro questo paravento, così rigido e schematico, c'è sempre posto per la contraddizione e l'equivoco e- più in fondo - per il dubbio. Siamo di fronte alla sua "Monarchia socialista". Bisogna romperne l'involucro schematico e liberare la vera vita che vi fluisce dentro; altrimenti il porsi problemi storici, la capacità di penetrare nella logica interna degli istituti - delle idee e della storia - sviscerandoli per schemi e tesi ci possono apparire, a suo modo, esercizio retorico. "Non si sfugge alle seduzioni dell'estetica", ma non si sfugge neppur alle seduzioni della filosofia: credendo risalire ai principii ultimi si cede in sofismi e la propria posizione artificiale si è tentati nascondere entro arbitrarie intrusioni di una falsa filosofia nella storia. La "Monarchia socialista" risente di questa difetto di costruzione. Ci si trova impacciati in questo procedere per tesi e per schemi. Le idee non ci appaiono limpide e naturalmente sicure, ma quasi contorte ed affannose in una voluta arida apparenza di sicurezza. Eppure non si riesce a sfuggire al fascino di questo libro e di questo pensiero. Centrale vi è il problema dei rapporti tra Chiesa e Stato. Era il problema su cui si era travagliato il pensiero della Destra e a quel pensiero si riallaccia Missiroli; ma non lo accetta: insieme a questo pensiero rivive il pensiero che gli sta a fronte: il dogma cattolico, di cui Missiroli ci sa dare tutta la grandiosità e potenza d'affermazione trascendente. Pensiero moderno, hegeliano, contro cattolicismo. Ma per chi ben guardi, siamo di fronte ad un problema psicologico, da cui l'autore non sa liberarsi, e che così ci spiega la doppia posizione da cui tutto il libro mai non si scioglie; potremo anzi notare che ancor oggi la nostalgia cattolica rimane in fondo all'animo di Missiroli liberate e marxista. Questo problema è stato fatto problema storico e posto al centro della vita italiana: le due forze in contrasto si chiameranno Chiesa e State. Strano libro a cui, con agile gioco, può essere, dopo dieci anni, tolta la chiusa che crede porre l'ultima parola al dissidio con una improvvisa affermazione d'infallibilità cattolica, ed essere aggiunta una prefazione marxista. Ma se noi lo vorremo rettamente intendere (e con esso tutta l'opera di Missiroli) dobbiamo considerarlo non come libro di filosofia, come vorrebbe l'autore, e neppure come libro di filosofia della storia. Questo è un libro di storia. Un abbozzo schematico, ma, più che geniale, profondo della storia del risorgimento. E' una revisione di valori che indaga la storia con l'animo fisso ai problemi del tempo nostro. I precedenti si trovano in Ferrari a in Oriani, le basi critiche negli oppositori cattolici e negli hegeliani di Napoli. Una rielaborazione non paradossalmente nuova, ma nuova nel senso profondo del termine. La tesi filosofica enunciatavi è in realtà una tesi storica. "Lo Stato moderno, inteso come Stato etico, non è realizzabile, se non nelle nazioni, che abbiano superato l'idea cattolica mediante la Riforma protestante. Tutti gli altri, tutti gli Stati, cioè, che non siano il prodotto genuino e logico di una rivoluzione spirituale, sono fatalmente condannati ad oscillare fra una democrazia astratta, che ben presto degenera in demagogia, ed un autoritarismo di classe, che è la negazione dell'idea liberale. In entrambi i casi è impossibile parlare di libertà". L'esemplificazione sarà tutt'uno con la dimostrazione e con la tesi. Siamo di fronte non ad un astratto dramma tra Stato e Chiesa, ma al vivo e passionale dramma per cui lo Stato italiano deve formarsi sul suolo stesso in cui la Chiesa romana cattolica ha posto il centro della sua secolare affermazione, e il problema del risorgimento è tutto nello sforzo di dare una unità civile all'Italia, compito reso tanto più difficile dall'eredità di pesi morti e d'inerzia che dà al nostro popolo la mancanza di una salda coscienza individuale volontaria capace di trasformarsi in coscienza politica. A ragione è vista nelle nazioni protestanti questa energia e questo senso statale, cioè liberale. Più tardi Missiroli vedrà come questa rivoluzione moderna, questa rivoluzione liberale, si potrà fare anche in Italia attraverso il socialismo, "luteranesimo sociale". Il dissidio tra Stato e Chiesa, tra protestantismo e cattolicismo, portato sul terreno italiano, esce dal dualismo teorico. L'affermazione ideologica se esaspera le posizioni, per riflesso illumina le oscillazioni e i compromessi: le pagine su Mazzini rivivono le incertezze piene di luce del tentativo rivoluzionario, mentre nel "clericalesimo" di Cavour è indicata la raggiunta soluzione provvisoria. A Missiroli pesa come un fallimento. In essa sta, è vero, la grandezza di Cavour, ma non è men vero che l'"eroico sopruso" denuncia il fallimento ideale e l'insufficienza storica di una mancata rivoluzione. Lo Stato italiano nasce inferiore al suo compito, la monarchia è l'erede di questo fallimento e una perenne crisi politica, cui invano cerca ovviare la "dittatura" giolittiana, ne è la conseguenza; il fallimento è politico in quanto è stato prima fallimento morale. L'autore ostenta rimanere, più che neutrale, assente; solo s'intravvede a tratti una irrealizzabile nostalgia reazionaria. Dietro ad essa è costruito un misterioso liberalismo - arma dialettica di contrapposizione reazionaria - rivoluzionaria - esasperazione di dilemmi a cattolici e a liberali. La crisi della guerra giunge in un momento in cui tutta questa sovrastruttura - elaborazione esasperata più non reggeva. Coi successivi libri si passerà dalla estrema destra alla estrema sinistra. Tutta la critica al risorgimento italiano, che pur si rifaceva a Ferrari, partiva da una psicologia conservatrice, alle volte ostentatamente reazionaria, addotta a questo anche dall'incomprensione del movimento socialista, ereditata da Oriani; eppure il pensiero della Destra - conservatore - non era accettato; la critica morale, che discendeva dalla analisi storica, mentre poteva anche lasciar supporre una posizione cattolica, si risolveva in accenni troppo autonomistici. La posizione di Missiroli era chiaramente duplice e a lungo andare riusciva impossibile sfuggire ad una chiarificazione. Il dramma rivoluzionario di Mazzini e di Ferrari era stato troppo sentitamente rivissuto perché le posizioni reazionarie non ne fossero profondamente intaccate, e l'hegelianismo avesse battuto in breccia il cattolicismo. La fragile costruzione di un "liberalismo" più non soccorreva: "Il papa in guerra", chiude, riducendole all'assurdo, le posizioni della "Monarchia socialista", di cui riprende ed esaurisce l'interpretazione religiosa. e ne prepara il rovesciamento. Anche il liberalismo di Missiroli deve scendere in campo. Attraverso le "Opinioni" siamo ad una riabilitazione delle tesi storiche sostenute nella "Monarchia socialista"; l'Ecclesiaste pare dimenticato, il pessimismo ha accenni marxisti e il socialismo è inteso come luteranismo sociale. Rielaborazione del pensiero socialista, rivalutazione del socialismo, a cui conducono gli elementi, cui prima sovrastava una giustificazione reazionaria. Lo stesso fallimento ideale del risorgimento, che pareva irrimediabile, non é più visto come un processo compiuto. Missiroli può scrivere le sue più belle pagine di storico in un libro - "Una battaglia perduta" - che è tutto una "polemica liberale", vissuta, concreta, organica. Di fronte agli avvenimenti che nel dopoguerra andavano susseguendosi torbidi e caotici quasi convulsioni senza mete né scopo, il liberalismo di Missiroli prende posizione. Da un lato la ferma coscienza dell'immaturità ideale della vita politica italiana, rimasta soccombente nella lotta tra Stato e principio cattolico; dall'altro la coscienza - anche se non ne sono ben chiari tutti gli sviluppi - che la lotta non è terminata, ma è stata portata in un altro campo. Il movimento socialista è l'erede della grande rivoluzione liberale iniziatasi con la riforma, la "funzione liberale" è oggi data al socialismo. Più concretamente: siamo di fronte all'ascendere delle classi popolari che, scosse dal letargo in cui erano rimaste durante tutto il risorgimento, chiedono con violenza il loro posto nello Stato e nella Storia. Il problema è di organizzare e dirigere questa convulsiva ascesa. Ma questa ascesa delle masse non potrà essere né "eroica" né violentemente rivoluzionaria. Troppo viva è rimasta in Missiroli la coscienza dell'iniziale fallimento dello Stato italiano, e sempre vigile anche di fronte alla nuova interpretazione del movimento socialista. Troppo eroico era il dissidio intuito ed esasperato, troppo grave era la sconfitta che Missiroli aveva segnato al passivo della vita politica italiana, perché questo atteggiamento pessimista non influisse su tutta l'interpretazione dei fatti posteriori. Come nella "Monarchia socialista", procedendo per astrazione, pareva vagheggiare una soluzione che si richiamasse ai principii della Destra allo Stato forte, allo Stato divinità insomma; disilluso, visto che la realtà è un'altra, con astrazione contraria riprende, in un certo modo, in altri termini, il "clericalesimo" di Cavour, il metodo eroico è ributtato. Il socialismo - erede del liberalismo - è il principio attivo nella vita moderna, ma deve essere collaborazionista. Se noi rileggiamo oggi le pagine che Missiroli scrisse durante il periodo di speranze collaborazioniste, non possiamo non esserne profondamente commossi. Incapacità, irrisolutezza di uomini e sopratutto la inferiorità dello spirito politico italiano di fronte a problemi che solo una piena e cosciente vita politica può superare, hanno condotto alla sconfitta degli uomini di sinistra. Si trattava di inserire nello Stato italiano le nuove forze preparate dal socialismo e maturate nella guerra. Secondo l'indicazione di Missiroli, tutto un programma di "politica della guerra": politica di libertà si presentava da risolvere. Compito enorme. L'errore teorico collaborazionista (o meglio: riformista) era nella mancanza di fiducia nelle forze autonome: l'inferiorità - denunciata da Missiroli - di fronte al dissidio ideale della storia italiana, non doveva condurre ad un atteggiamento di rassegnazione, ma ad una cosciente e ferma volontà di superare coll'azione questa dissidio. L'errore pratico era nella irresolutezza, nella degenerazione oligarchica e nella ingenua fede che lo cose andassero per conto loro. Oggi noi diamo a questi uomini tutta la nostra simpatia. Essi sono stati i primi a fare echeggiare in Italia la parola di umanità e di elevazione tra il popolo. Tutta una grande opera di elevazione e di autonomia proletaria è legata al nome del partito socialista. Gli errori sono stati gravi e duramente scontati. Ma la calda umanità di Turati, l'ironia fatta di precisione di Matteotti, la nobile dialettica di Treves, la "predicazione evangelica" di Prampolini e di tanti altri, la coraggiosa fede di Serrati, non sono passate invano, non è passata invano l'opera dei derisi "idealisti" e riformisti come Bissolati: e, sopratutto, non sono passate invano la ferma sicurezza e la capacità di sacrificio di mille oscuri e delle masse proletarie. Di questa situazione - per la quale una nuova classe dirigente, forse non più socialista e già conservatrice, si preparava ad assumere il comando, ma per la quale, sopratutto, nuove classi si organizzavano a coscienza politica - Missiroli può considerarsi il teorico e lo storico. Le sue opere sono ancora il più interessante commento che ci rimanga di quel periodo. Si trattava di dare coscienza e limite di Stato all'ascesa delle nuove classi e guidarle al potere: "Coscienza liberale" e "Funzione liberale" parevano qui aver trovato il punto di coincidenza. Il suo pessimismo iniziale lo sottrae alle facili illusioni, mentre la sua posizione liberale, e priva di impacci e di pregiudizi dottrinali e pratici, gli dà maggiore ampiezza e serenità storica. Il collaborazionismo è posto nella sua luce più bella e nella sua verità. L'attuazione pratica, di cui d'altronde Missiroli si accontenta di darci il commento, sarà un fallimento, ma la mèta era giusta e lo scopo valeva tutti gli sforzi. Un pensiero che forse avesse in altra maniera utilizzato i dati di "Monarchia socialista", avrebbe intravisto il fallimento: la via per raggiungere la mèta era un'altra. Comunque Missiroli ci dà punti fermi precisi; noi lo vediamo difendere la proporzionale e il passaggio di poteri sempre più ampi al Parlamento; indaga la specifica situazione in cui alcune delle nuove classi si sono maturate, e ci dà i bellissimi studi sulla situazione agraria bolognese (vedi il libro sul "Fascismo e la crisi italiana"); ed infine - in un libro che riassume tutte le esperienze e le conclusioni precedenti - la organica politica di libertà e di pace è difesa anche dopo che un trasformista colpo di Stato ha fatto crollare gran parte delle speranze. Né vale che oggi accenni a piegare e a ritirarsi in un sorpassato giolittismo. Nelle pagine del "Colpo di Stato" - le più belle di Missiroli storico, e le più acute di Missiroli politico - rivive nuova vita l'unità discorde del suo pensiero, mantenuta attraverso tutte le incertezze pratiche e le debolezze. Il suo liberalismo, fattosi conservatore, dà un senso di pacata solennità e di fiducia nella storia, per cui la indagine politica si approfondisce e si completa in un profondo pathos, e l'asprezza dei dissidi esasperati è colmata da questa sicura presa di posizione che, pur rimanendo aderente alla realtà di oggi, non pregiudica l'avvenire. Entro i limiti che egli stesso si pone, entro i limiti di una frammentarietà di elaborazione, ed entro la falsità di una posizione, che non sa decidersi ad uscire da un ancora riaffermato fiacco disinteresse: "il mio non è un programma d'azione", diremo che il suo pensiero si ribella alle pastoie che egli stesso tenta porsi. Missiroli non ha potuto dimenticare il suo pessimismo iniziale, d'altronde frutto di una posizione discordante; l'esasperazione dei dissidi non ha seguito la propria logica e si è quetata in un'affermazione conservatrice. Ma da questo appunto la sua opera prende forza e vigore. Il suo liberalismo non è più astratto, ma impregnato di storia. Come tutti i liberalismi, è anch'esso errore "momento tra i momenti dello svolgimento storico". Un liberalismo che scende a combattere rinnega in un certo senso sé stesso. Non può essere altrimenti. L'utopia di un liberalismo integrale, fuori della lotta, è ancora un residuo della mentalità dogmatica. Il pensiero non finisce oggi, la verità è necessariamente mescolata all'errore, ma se è religiosamente ricercata, nobilita l'errore stesso e lo fa partecipe della sua luce. MARIO LAMBERTI.
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