Il Corriere della SeraAlbertini aveva raccolto nel 1900 una eredità ben custodita dalle mani di Torelli Viollier. Fu questi un tipo di editore che il giornalismo italiano dimenticherà difficilmente. Fu lui a creare la sagoma del Corriere con tutte le sue caratteristiche essenziali, con una indipendenza a tutta prova, un gusto della propria missione considerate come fattore di elevamento morale. Il suo assioma era che il giornale dovesse esprimere le sue opinioni il meno possibile, e che non ne dovesse fare troppo sciupio. Era il primo nucleo d'un giornale d'informazioni che sorgeva in Italia. Albertini moltiplicò l'eredità. Il rigore nel togliere ogni personalità al giornale portò il Corriere a una compressione e a un adattamento delle varie personalità che vi fanno parte. Si direbbe che, ad eccezione di Barzini, la fama dei collaboratori del giornale sia state distribuita in parti uguali. Tutti brillano ugualmente, e la loro popolarità ha lo stesso grado. Era stato Torelli Viollier a creare le prime condizioni sicure ai giornalisti, a istituire provvidenze che li rendevano tutti egualmente interessati all'opera per le garanzie che ne traevano in ogni caso. Queste condizioni dell'ambiente Albertini le elevò a privilegio, tanto da ottenere un corpo di collaboratori che formano un nucleo a sé, compresi dell'importanza di trovarsi insieme a una così illustre azienda. Egli ha creato sempre i suoi uomini: li ha raccolti nei modi più diversi, e quasi sempre in file modeste del giornalismo di provincia; li ha sottoposti a un lavorio incessante di perfezionamento, attraverso un duro noviziato nel quale le doti di pazienza, di sacrificio, di riflessione, si sono sviluppate attraverso prove diversissime. Quest'uomo alto, quadrato, dal passo pesante e dal viso impassibile, professa generalmente una discreta antipatia verso ogni forma di intellettualismo. Tra i redattori destinati alla formazione anonima del giornale preferisce la pazienza alla vasta cultura. Tra i collaboratori e gli scrittori, più precisione che finezza. E sovratutto l'intesa che il Corriere è lo scopo della vita di ognuno, l'obiettivo costante e il pensiero sovrano. Si sa che l'intellettualismo è padre delle divagazioni e delle evasioni. Il gusto di Albertini è spesso al di sopra del collaboratore che offre alla lettura del pubblico, come un industriale può preferire un tipo di merce a un altro, senza peraltro fabbricarne uno a preferenza dell'altro. Da ciò la sua cautela in ogni più piccola modificazione del giornale. E' un uomo che s'indigna se trova in una pagina, per esempio, la parole "Cecoslovacchia" scritta anche "Tcecoslovacchia" o "Cekoslovacchia". (Ora ha lasciato la direzione del giornale, ma il metodo è rimasto immutato). Difficilmente egli ardisce mutare di posto ad alcune notizie. Le troverete sempre allo stesso punto, con quella periodicità già fissata. I1 commento a questo metodo me lo ha fatto perfettamente un buon cittadino: "Io ho fatto gli studi - mi diceva ma non leggo, da anni, che il Corriere. Ho il cervello diviso in varii compartimenti nei quali il Corriere entra come in uno schedario, argomento per argomento. E posso dire di sapere tutto". Albertini ha sperimentato il suo pubblico in venticinque anni di lavoro, e pur facendo qualche concessione prudente alle mode letterarie accogliendone i rappresentanti, gli procura quante minori scosse è possibile, lasciando esposti gl'idoli fino a che dura l'entusiasmo, ritirandoli in un riposo decorosissimo quando le curiosità cominciano a spegnersi o la loro efficacia è diminuita. La direzione del giornale non solo legge il giornale da cima a fondo tutte le mattine e vi nota anche le più lievi sviste, ma assegna la misura da dare ad ogni parte, quale che sia l'estensione delle notizie arrivate. Perfino le righe da assegnarsi ai libri della settimana sono fissate, e per quanto un collaboratore sia importante e popolare, o celebre addirittura, il suo genere di collaborazione deve entrare esattamente in quella che si crede la mentalità dei lettori di giornale. Assioma: "Fate conto che il pubblico non sappia nulla di nulla. Bisogna spiegargli tutto senza fidare che capisca i sottintesi". E' dunque un vero peccato che un organismo simile debba affrontare delle gravi battaglie. Si può dire che, mentre gli altri giornali vivono delle complicazione del giorno, il Corriere ne soffre. La vita del giornale lombardo è la notizia e non la battaglia politica, ed esso in qualunque giorno più vuoto dell'anno uscirà con otto o dieci pagine da leggere dalla prima all'ultima riga con interesse. Quanto al resto, malgrado le apparenze, non è un organismo di formazione dell'opinione pubblica ma un valorizzatore di certe tendenze di questa. In politica e in arte non ama prendere posizioni eccessivamente esposte essendo sensibilissimo alle pressioni e agli spostamenti esterni. Scrivete al giornale sotto qualsiasi pretesto e vi risponderanno con una lettera che vi darà l'impressione come questo organismo sia squisitamente sensibile. Trovata una buona via, il Corriere la batterà con diligenza fino a quando lo spirito del pubblico, per quegli elementi vaghi che formano il progresso delle idee e l'atmosfera di dati periodi, non lo avvertirà chiaramente che v'è una nuova via ugualmente buona, e la percorrerà con scrupolosa diligenza e competenza. Che sia tutto chiaro e ragionevole; questo importa: e, per esempio, l'inespresso, l'alogico che sono caratteri dell'arte moderna li vedrete giudicare con sicura incomprensione nelle sue colonne. Ma nello stesso tempo vi troverete dei buoni surrogati nel testo della terza pagina. Tutto ciò che non conclude, secondo le norme delle catastrofi dei componimenti romantici, è veduto con uno scetticismo troppo sicuro perché non sia sincero. Unite a questo una giusta considerazione di ciò che è milanese. Scrittori milanesi vi trovano un'eco pronta, come arresti, morti, catastrofi di milanesi a Milano o nelle "pampas" sono riferiti con una ammirevole solidarietà. Che il "Corriere" e le sue pubblicazioni non abbiano fatto quanto potevano per il progresso della coltura italiana e per l'affinamento di gusto del pubblico, è vero. Ma noi pretendiamo forse troppo dai giornali italiani i quali generalmente possono sostenere un confronto trionfale con i migliori giornali stranieri. E in modo speciale il Corriere del quale Missiroli diceva con un grazioso paradosso: "E' il solo giornale che possa permettersi di stampare delle notizie. Gli altri dovrebbero uscire tutti in bianco, col solo articolo di fondo, e in un solo esemplare da attaccarsi nell'atrio degli uffici". Insomma il Corriere segue la moda, sebbene capacità creative non vi manchino, e neppure i mezzi per ottenerle. Lo stesso Janni è un critico che rivela, quando vuole, un'acutezza e una comprensione che valgono quelle di molti critici in fama di raffinatissimi. E Sacchi ha scritto delle colonne di una squisitezza da invaghire. E Ojetti vi ha introdotto un gusto della divagazione e della decorazione. E' che il Corriere, da eccellente servizio pubblico, coltiva le abitudini e non vuole scosse. La sua cultura generale, in un paese che ne ha bisogno, il suo impegno a creare e a mantenere dei luoghi comuni fa parte del suo eccellente servizio rapido. E le mode letterarie, coi loro abiti disusati, vi trovano un ultimo e decoroso asilo con un principesco appannaggio. ***
Solo con la convinzione di agire in un ruolo importante, senza che il proprio nome né la propria figura appaiano più dell'indispensabile, si può spiegare come all'impresa di Albertini lavorino e abbiano lavorato centinaia di giornalisti sacrificando la parte più appariscente di sé. Nomi oscuri sono dietro quelle colonne e figure note finiscono spesso col confondersi. Si può dire che il Corriere pensi e scriva con una sola testa, da New York a Milano a da Parigi a Mosca. Audacissimo fu questo capovolgimento delle abitudini degli italiani così propensi alle parti di tenore. E in questo sacrificio delle personalità non si deve cercare soltanto quel segno di distinzione che nelle sue cose più piatte porta il giornale, ma il carattere di chi lo venne costruendo attraverso gli anni, nato da una famiglia che aveva consuetudine con gli affari e imbevuto di caratteri e di idee anglo-sassoni. Albertini conquistò a cinquant'anni tutto se stesso nel trionfo di questo organismo ed ha avuto fino ad oggi l'audacia e insieme il buon senso di adattarlo ai tempi. ***
Nel tempo che passai al Corriere della Sera non vidi mai Luigi Albertini. A Milano, allora, era esposta in una vetrina la sua fotografia col vetro graffiato dal segno di abbasso così frequente nelle piazze d'Italia che hanno sempre un posto per queste cose. Qualche volta, uscendo dal giornale, mi fermavo davanti al ritratto in cui il Direttore col suo cranio nudo e rotondo mi sembrava un ritratto di Arkipenko. Questo accostamento mi faceva un po' ridere; ma tutte le volte che buttavo un'occhiata nel cortile del giornale l'immagine cubista del Direttore si mescolava a tutta la bellezza moderna e alla potenza di quelle opere. Il suo nome lanciato nella sala della redazione faceva allibire, e sentirlo parlare all'altro capo del telefono con un nostro compagno ci buttava in stato di malessere. Sapevo di lui pochissimo come ne so ancor oggi. Ma nella stanza del fratello dove fui qualche volta guardavo la tenda della sua porta con preoccupazione. Una volta riuscii a mettere gli occhi di là. Sapevo che Albertini ha una raccolta di quadri, fra cui un Tiziano, mi pare. Il suo ufficio nella penombra senza alcun segno personale. La vista di qualche segno dell'arte mi avrebbe tolto di mente quella immagine inumana, come un fatto indiscutibile davanti a cui il più umile e il più alto sono nella stessa soggezione. Mi dissero che nella sue terra di Parella aveva fatto saltare in aria una collina che gl'impediva la vista del panorama. Ecco una cosa da raccontare. Un'altra cosa bellissima è la cura e l'attenzione che pone alla sua azienda. Dicono che i soli ordini di servizio ai corrispondenti e agli inviati speciali costino al Corriere quasi centomila lire l'anno. Albertini muove le sue masse come un direttore d'orchestra; anzi come un macchinista che in una sua cabina avesse una batteria di campanelli cui risponde una evoluzione perfetta. Questo simbolo è stato incarnato dal segretario di redazione che ha costruito sul tavolo una tastiera di campanelli, complicata come quella d'un pianoforte. Difficilmente visibile, per avere un senso del suo prestigio nell'azienda basta guardare gli occhi sbarrati del suo usciere che nella sua gabbia incolla con sacro rispetto i francobolli alle centinaia di lettere in partenza. Credo che egli si compiaccia di questi segni di potenza intima, simile a quella del costruttore di macchine che ne vede i perni e le ruote girare con attonito silenzio. E' il punto in cui anima e materia si confondono. Nell'opera di adattamento al giornale sono compresi gli apparenti capricci del padrone: un ordine che impone di partire a un collaboratore entro mezz'ora, con l'orologio alla mano; un altro che, appena l'individuo è sbarcato, mettiamo a Costantinopoli, lo aspetta all'albergo fissato per invitarlo a partire in giornata per il Cairo, dove troverà un altro telegramma con nuove disposizioni e programmi di lavoro. Credo che sopratutto occorra non mostrare di gradire un clima, un cielo, una città. Mostrarsi indifferenti a tutto perché le aziende che richiedono sacrifici temono gli assalti dei compiacimenti terreni. Non v'è nulla che abbia qualche interesse che non sia segnalato alla direzione. Nel pomeriggio alcuni redattori percorrono tutti i giornali in arrivo, e sulla scorta di quelli, se è sfuggita qualche notizia ai corrispondenti, si mandano ordini di provvedere entro la serata. Né tutto il materiale in arrivo è subito sfruttato. Moltissime informazioni rimangono di riserva e di guida nel maturarsi degli avvenimenti, altre finiscono in archivio nelle caselle che a tutti gli uomini di qualche importanza sono dedicate, pronte ad ogni momento per delucidazioni biografiche e, infine, necrologiche. Resta il materiale senza utilità che si chiude in una busta tutte le sere e che il giorno dopo sarà esaminato dal segretario, insieme con le testate dei telegrammi e le righe tagliate alle notizie che vanno ugualmente conservate. Il Corriere non stampa altro che notizie originali, arrivate, con l'ora della consegna scritta in margine, nella giornata. Come il giornale non si appropria mai delle notizie di altri ma ne cita la fonte, così esplica tutta una politica nella semplice citazione d'un giornale. Vi sono quotidiani il cui nome non apparirà mai sulle colonne del Corriere. Fin dal primo giorno di lavoro al Corriere è un esercizio di adattamento e di sottomissione. Occorre che il soggetto sia saturo dell'atmosfera del giornale prima di poter muovere qualche passo. Tutto il suo ingegno è affinato dai bisogni del giornale e solo a quelli cui si deve dedicare interamente. Di qualunque calibro sia, deve essere come una ruota in un orologio, e compiere soltanto quei dati movimenti. E' incredibile la sensibilità con cui al centro di questo organismo si registrano le minime scosse e i più lievi spostamenti dell'ambiente interno. Ricordo che fui colpito dall'attenzione con cui i poteri centrali erano informati dell'attività dei redattori e perfino del loro umore. Una igiene morale spinta a questo punto io l'avevo riscontrata nell'esercito e nelle buone scuole dei gesuiti. E non ricorderò senza pena l'evasione d'un vecchio capo ufficio. Aveva sessanta anni. Dopo quaranta anni di lavoro sedentario e oscuro lo osservai per molte sere al suo tavolo coprire per lungo delle lunghissime cartelle con la trascrizione dei resoconti della Camera. Improvvisamente tutti quegli anni gli pesarono e smaniò di volare. Ottenne di partire malgrado tutti i divieti. Morì sul cielo di Verona in un disastro aereo, al primo volo. Senza tristezza, ma con forza e fedeltà, un altro prese il suo posto dopo pochi giorni, il tempo di cambiare il cuscino alla seggiola e il tappetino al tavolo. Queste cose mi facevano balenare alla mente verità che fino allora avevo respinte. Ma credo che la specie degli uomini di quel genere si vada perdendo, con tutto il disperato amore di quella ribalta accecante che è il Corriere dove si rappresenta quotidianamente un dramma senza protagonisti, ma dove è ugualmente bello stare, come il cittadino che di buon mattino si cerca un posto per assistere al passaggio del Re e aspetta delle ore per poter dire d'averlo veduto da vicino e magari d'essere stato guardato per caso. CORRADO ALVARO.
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