La borghesia in ItaliaNel N. 14 di Rivoluzione Liberale compariva una mia nota intitolata Ceti medi in Italia. In quella nota eran contenute, essenzialmente, queste affermazioni: l'esistenza di una democrazia liberale, cioè di uno stato moderno presuppone l'esistenza di una classe media politicamente organizzata e capace di esercitare il potere, cioè di una borghesia: in Italia non si è avuto finora uno stato democratico-liberale degno di tal nome perché in Italia non è mai esistita una vera e autentica borghesia: primo nucleo di questa classe media capace di avverare in Italia il liberalismo e la democrazia, prima autentica "borghesia" italiana è da noi il cosidetto "proletariato politico", che è stato organizzato ed educato alla vita politica del socialismo italiano. Per noi di Rivoluzione Liberale fare queste affermazioni non è che ripetere per l'ennesima volta uno dei capisaldi del nostro programma: noi crediamo nel liberalismo e nella democrazia, che sono per noi l'essenza stessa della civiltà moderna; noi crediamo che liberalismo e democrazia non possano non incarnarsi in una classe sociale interposta fra la "plebe" ed i "grandi", fra gli strati crepuscolari della società civile e le sussistenti forze dell'antico regime, in una classe a cui in mancanza d'altro nome, seguitiamo a dar il nome di "borghesia": noi crediamo che oramai le forze sociali capaci in Italia di attuare quel tanto che da noi é attuabile di liberalismo e di democrazia siano le forze operaie di cui sopra: noi dobbiamo, per necessità, considerare queste forze operaie non come "ceti infimi", come "quarto stato", ma come ceti medi, come terzo stato, come "borghesia". Questi sono per noi oramai dei luoghi comuni: e del resto non siam neanche noi che abbiamo scoperte questa verità: altri le hanno dette o prima di noi o contemporaneamente a noi per proprio conto: l'originalità di Rivoluzione Liberale, a questo proposito, non e nel dire o nel ridire, queste cose, ma è, se mai, nel crederle. Il che non impedisce che di tanto in tanto qualcuno, anche dei nostri vicini, ritrovando in qualche nostro scritto qualche nuova o meno consueta illazione ricavata da quelle tali nostre premesse e teorie, si scandalizzi e ci obbietti e ci obblighi con ciò a svolgere un'altra volta il gomitolo dei nostri ragionamenti, a rispiegare ancora quello che a noi pareva chiaro e pacifico; il che, inutile dirlo, noi facciamo assai volentieri, anche perché il ritornare spesso su di una idea giova a renderla sempre più chiara e probabile anche a noi medesimi. ***
Storia di uno stato moderno democratico è, notoriamente, storia della borghesia di questo stato. Se la storia della terza Italia è una storia così rachitica, così grama e così penosa, è perché penosa, grama, rachitica, povera è stata finora la vita dei ceti medi, della borghesia di questa terza Italia. La quale borghesia (il Popolo dell'Alfieri: "quella massa di cittadini e contadini più o meno agiati che posseggono proprii lor fondi o arte, e che hanno e moglie e figli e parenti") come forza politica, per un pezzo fu da noi piuttosto un'astrazione ed una speranza di scrittori e pensatori che non una vera realtà operante nella vita pubblica, e ad ogni modo ebbe da noi purtroppo, come tutti gli istituti sociali e attrezzi politici di questa nostra Italia, origine letteraria curialesca burocratica anziché economica e politica, come accadeva invece negli altri stati moderni. Da noi più che altrove, sul finir del '700, ostetriche e madrine di questa "nuova nazione" furono le élites eretiche dei ceti superiori: i primi nostri borghesi furono quei nobili, quei prelati, quei ministri, quei consiglieri reali che noi troviamo un po' dappertutto in Italia nella seconda metà del '700, "forastieri alla loro patria", i nostri "primi Europei", che dicean di sé quel che diceva per tutti loro il Verri: "Se fossi nato nell'Inghilterra o nella Francia io sarei un uomo come gli altri: nato nell'Italia... io non posso sfogare i miei pensieri se non collo scrivere": scrittori e pensatori che pure non eran sempre né dappertutto cosi soli e inascoltati come propendevano a dire nei momenti di maggior sconforto, ma il cui esempio suscitava pure qua e colà qualcuno di quegli "uomini oscuri" di cui parla il Croce nella sua Storia del Regno di Napoli, qualcuno "di quei giovani appartenenti alla borghesia delle provincie che, dopo aver studiato ed essersi dottorati nelle capitali, tornando nel comune natio, toglievano a curarne l'amministrazione e a proteggerne i diritti contro le prepotenze dei baroni e dei loro agenti". Ma scarsi e isolati erano questi primi borghesi italiani in un paese generalmente povero e tenacemente medioevale com'era l'Italia, poco capiti e mal secondati dal volgo di cui s'ergevano a difensori, non sempre indipendenti economicamente dai ceti a cui tendevano a contrapporsi. Ma poi: 1789 - 1796: la povera Italia ripresa nel turbine degli avvenimenti europei e sballottata dal fortunale, senza che abbia potuto mai più riaver posa fino al 1870. In tanto sbalestramento è facile immaginare che cosa sia avvenuto del processo di selezione sociale iniziatosi a mezzo il secolo XVIII nel modo che s'è visto. Lo scoppio della rivoluzione francese e il suo traboccare in Italia sbigottisce e delude una parte di quei neoborghesi risaldandoli alle forze dell'antico regime, mentre di rincontro la legislazione laica e antifeudale viene a creare d'improvviso una nuova classe mezzana più recente e grezza; il regime napoleonico col reclutamento dei "begli ingegni" e dei "bravi ufficiali", deriva gli uomini della più recente e men recente borghesia italica nel mare magno dell'esercito e della burocrazia, distornandoli dal libero esercizio dei diritti civili; le restaurazioni in parte proseguono e compiono l'opera napoleonica di captazione della borghesia da parte del Regime, in parte spingono gli spiriti più irrequieti agli sbaragli e alle dispersioni d'energia delle congiure e delle insurrezioni. Poi, senza interruzione, guerra federale e moti mazziniani, guerra di conquista regia e spedizioni garibaldine e, in capo al miracoloso decennio, il neonato Regno d'Italia, buttato sulle braccia ad un drappello di valentuomini che lo inghebbiassero, lo ripulissero, lo svezzassero, lo istruissero, lo mettessero all'onor del mondo e gli facessero far buona figura, non indegna del suo nome, non indegna dei fratelli maggiori o dei coetanei d'Europa. E a supplire alla bisogna chi furono, quanti furono allora? Fu quella pattuglia di borghesi raccozzatasi a Torino da ogni parte d'Italia, sopravvanzata alle forche, alle galere e alle battaglie, che sarebbe stata scarsa per reggere alla moderna anche il solo Stato Sardo, e che dagli eventi era posta nella necessità di sopperire ai bisogni d'uno Stato tanto più grande e tanto più sgangherato del Piemonte: non la borghesia italiana ma un manipolo di essa, il manipolo dei moderati, lasciati soli nelle peste dalla contumacia delle borghesie austriacanti e borboniche, dalla irreconciliabilità della borghesia repubblicana, dalla aperta opposizione del laicato e del clero cattolico: vogliamo dire gli uomini della cosidetta "destra storica": dieci figure, di prima grandezza, cento d'importanza secondaria, che in un decennio e mezzo dal '61 al '76 dovettero fra due guerre esterne, una guerra interna, e, fatica più improba, imporre alla nuova Italia l'assetto e la figura di uno stato moderno. In un'Italia dove le plebi erano feroci e abbiette e primitive, dove gli antichi ordini privilegiati, nobiltà, alto clero, alti funzionari o s'eran come squagliati o eran posti in una quarantena che accennava ad essere eterna, dove la Monarchia nata da una rivoluzione poteva durare solo a patto di fermare e limitare la rivoluzione, gente posta a quello sbaraglio, per quanto borghese di estrazione o di elezione, per quanto liberale di educazione e di propositi, doveva necessariamente trasformarsi in una aristocrazia, in una oligarchia, e comportarsi come tale; di fatto quegli uomini cessaron d'esser borghesi appena cessarono di cospirare e di combattere; posti sulla croce del potere divennero dei "grandi", dei "Don Rodrighi"; e furono i famosi "seccatori" della Destra, i più noti ed i più oscuri autoritari, caparbi, invadenti, che ti facevan del bene come se ti strigliassero, che ti bastonavan come se ti facessero una grazia, contornati da una corte che li inchinava e li isolava, li serviva e li sfruttava: non più borghesi né liberali, ma aristocratici, tiranni, in una parola "consorti". E gli strumenti di questi nuovi "grandi", nel loro titanico lavoro di largir d'impero il regime liberale e costituzionale ad un paese africano, furono i prodotti della media e minuta borghesia, dei famosi "ceti medi", che, in un paese povero e umanistico come il nostro, man mano che spuntavano, venivano avviati alla carriera degli impieghi, e "burocratizzati". Per cui nella nuova Italia le vie della borghesia furono queste: o "grandi" o "impiegati"; il che significava appunto l'esaurimento e lo snaturamento della borghesia man mano che si veniva formando. - E la rivoluzione parlamentare del '76? e l'avvento delle sinistre? - Quei sinistri là furono, nei fatti, più destri, più "seccatori", più Don Rodrighi, e infinitamente meno liberali dei loro predecessori: io ne ho sentito parlare da' miei, ne ho studiato un po' l'attività, ho conosciuto le creature di alcuni di essi: i Saracchiani in quel d'Acqui, i Marcoriani in Valtellina, gli Zanardelliani in quel di Brescia: fior di code, nonostante il loro liberalismo demo-massonico, consorti, con in peggio, rispetto a quegli altri, il mangiapretismo e l'irredentismo. E che incremento abbia avuto sotto le sinistre l'altro fenomeno della "impiegatizzazione" dei ceti medi, è cosa troppo nota e documentata perché ci si debba ora tornar sopra. Dunque non solo fino al '76, ma anche dopo, per un bel po', parlar di borghesia autentica in Italia, di ceti medi veri e proprii, agenti come tali nella vita politica italiana, è come parlar della luna a mezzogiorno: qualche borghese si ebbe, dei ceti medi si costituirono e si trasformarono, qualche liberale parlò e scrisse per sé e per dieci malinconici come lui, ma una borghesia liberale nella vita politica italiana non ci fu. ***
Qualcosa che arieggiava ad una borghesia siffatta si veniva costituendo da noi nei primi decenni del secolo corrente: il rinnovarsi della coltura e del pensiero filosofico, il sorgere e l'affermarsi d'un industrialismo e d'un capitalismo sull'esempio e sotto la scorta di quello belga e tedesco, l'elevarsi del tenor di vita delle masse per l'industrialismo nel Nord e per l'emigrazione nel Sud e nel Nord, l'ingresso nella vita politica italiana del proletariato o, meglio, dei suoi educatori e organizzatori, il ritorno in questa stessa vita politica delle masse cattoliche o meglio dei più colti e moderni e spregiudicati dei loro capi, tutto questo era venuto in quel decennio singolarmente arricchendo ed elevando il tono della vita pubblica italiana: finalmente si vedevano e abbastanza numerosi i primi rappresentanti di questa nuova e vera borghesia, studiosi e scrittori antiaccademici e antiprofessorali, industriali, banchieri, organizzatori di operai, organizzatori di contadini, gente vivace, realistica, capace di studiar problemi, gente che veniva da diverse parti, ma che s'incontrava sulla base del comune realismo e storicismo e che era visibilmente avviata ad un identico neoliberalismo. La vita politica ufficiale, la vita parlamentare ignorava quasi completamente questa gente: ma questa gente non ignorava l'insufficienza di quella vita, ne denunciava le malefatte assiduamente e inesorabilmente, cominciava ad attraversarne i disegni, la "vecchia guardia." Qualche volta sentiva venir di là odor di polvere. Si formava finalmente una vera borghesia? una nuova classe dirigente? Forse che sì, forse che no. Ad ogni modo, nel meglio che questo processo di selezione si veniva delineando, ecco il 1914, ecco il 1915, ecco la guerra: si ripeteva, più in grande, per questa borghesia italiana del principio del 1900, quello che già era accaduto per i primi nuclei di borghesi italiani sulla fine del 1700: lo scompiglio, la decimazione, l'esaurimento. Come nel dopoguerra l'antidemocrazia abbia vinto in Italia e quale ceto, dopo la diserzione dei ceti medi, abbia assunto in Italia la funzione di borghesia è quello che vedremo un'altra volta. AUGUSTO MONTI
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