VITA MERIDIONALEIl problema agronomico del mezzogiorno"Ancor oggi il grave problema alimentare italiano risulta strettamente connesso con l'importante problema agrario meridionale e questo costituisce, per comune riconoscimento, uno dei punti più deboli dell'economia nazionale; d'altra parte le angustie meridionali nascono anzitutto dalla bassa produttività agraria di quelle regioni" così Vincenzo Rivera inizia il suo ultimo, poderoso studio sul Problema agronomico del Mezzogiorno (1). Infatti mentre il Sud da un prodotto medio di meno di otto quintali di frumento raccolto ad ettaro, l'Italia settentrionale da un prodotto medio di circa 13 quintali, a sua volta, assolutamente inferiore a quello delle altre regioni di Europa, che arrivano a produrre (Danimarca) fino a 31 quintali per ettaro. Perché, dunque, una così bassa produttività? Forse perché non si adoperano i mezzi culturali, già in onore nella valle padana, e l'agricoltore meridionale è restio a fare largo uso di macchine e di concimi chimici? No, anzi l'agricoltore meridionale è uno dei più tenaci ed eroici agricoltori del mondo, e gli stessi metodi culturali dell'Italia settentrionale, trasportati nel Sud hanno costantemente fallito lo scopo. Il problema è un altro, di natura essenzialmente tecnica, completamente ignorato finoggi dalle classi dirigenti italiane, le quali non hanno saputo far altro che creare il mito dell'intensificazione della cultura del frumento, per emancipare la nostra Nazione dall'importazione straniera. Questo mito, fertilizzato dal "pensiero embrionale, che induce i contadini nostri a seminare grano a tutti i costi, fin sulle impervie pendici sassose", è divenuta la divisa dei passati governi, i quali hanno creduto che il basso reddito dipendesse da scarso amore del contadino per il frumento; ignorando invece che l'estensione delle terre aride, dedicate a tale genere di coltivazione nell'Italia meridionale, superava di gran lunga quella di ogni altra regione di Europa. Così il problema è rimasto identico, immutato, e la retorica politica, esacerbata in questo campo dai dolori della guerra, non ha mosso un ragno dal buco. E perciò oggi s'impone di reagire contro tale mentalità semplicistica, affrettandosi a studiare il gravissimo problema da un punto di vista scientifico, per poter pervenire a quelle soluzioni veramente adatte a raggiungere lo scopo. ***
Iniziando tale esame è facile rilevare che tutti gli scrittori, che si sono occupati dell'argomento, hanno unanimemente identificato come principale causa di riduzione dei prodotti di più che mezza Italia, il difetto di piovosità. "L'Italia settentrionale - scriveva il Cuboni - col suo inverno rigido e l'estate caldo-piovosa non è molto dissimile, quanto alle condizioni climatiche, da quello dell'Europa media. L'Italia meridionale invece, col suo inverno mite e la sua estate asciutta, tranne le zone montuose; appartiene a quella che i botanici chiamano regione mediterranea, che forma un tutto coll'Africa settentrionale e le coste dell'Asia minore fino alla Palestina". E' perciò che, mentre a Torino cadono ogni anno 994 millimetri di pioggia e vi sono 84 giorni piovosi, mentre a Milano cadono 1011 millimetri di pioggia e si notano 119 giorni piovosi, a Foggia cadono soltanto millimetri 476 e si notano 82 giorni di pioggia, ed a Bari ne cadono millimetri 583 e si notano 103 giorni di pioggia. Ma non soltanto questa caratteristica si rileva nello studio del clima meridionale perché v'ha di più, ed il Rivera lo mette in luce con gran copia di dottrina. V'ha che mentre il maximum di precipitazione annua cade nell'Italia settentrionale proprio nella primavera, nell'Italia meridionale vi cede il minimun, cosicché nel Mezzogiorno la siccità comincia con l'inalzarsi della temperature, quando nel settentrione s'inizia invece un periodo di pioggie abbondanti. Tutto ciò porta quindi squilibri nella crescita della pianta, perché questa sviluppa solo quel poco che permette il più basso dei due fattori, secondo un fenomeno espresso in agronomia dalla così detta legge del minimum. Paragonando, quindi, i dati di Torino con quelli di Girgenti si rileva che mentre nella prima località, nei mesi di gennaio a luglio, i due fattori, acqua e temperatura, si presentano in continuo aumento, concordando convenientemente, nella seconda località la qualità di acqua di pioggia si presenta gradualmente decrescente, man mano che la temperatura dell'ambiente cresce, discordando marcatamente. Ne deriva che la vita vegetativa, più intensa nel Nord, viene racchiusa nel periodo che va da marzo a novembre, offrendo alla cultura del frumento ogni possibilità di sviluppo, mentre nel Sud è stretta dal settembre all'aprile, segnando invece nei mesi di massima attività della pianta, maggio e giugno, una precipitosa discesa nei fattori della produzione. Ciò, forse, spiega certe predilezioni dei nostri agricoltori per le culture che, come il prato invernale e forse anche l'olivo, possono giovarsi della ripresa della vita dell'ottobre e del novembre. ***
Una brillante applicazione di questi concetti l'Autore fa all'Agro romano, che mentre non rientra completamente nel clima meridionale, ha già dovuto subire gli esperimenti dei novatori, i quali, dopo aver profuso molti capitali, si sono accorti che l'aumento di reddito, che pur si riusciva a ricavare dell'intensificazione colturale frumentaria, non era proporzionato alle spese, ed hanno conseguentemente abbandonato l'impresa. Ora il paragone tra le medie della pioggia e della temperature, mese per mese, raccolte a Torino e le medie raccolte nell'Agro romano porta a concludere che mentre nella prima località il periodo annuale vegetativo è unico (aprile - ottobre) con un solo massimo di altezza dei due mezzi considerati (acqua e temperature) ed una grande regolarità di decorso della curva che ne raffigura l'utilizzazione, cosicché, in maggio ed in giugno, prima, durante e dopo il momento critico della vegetazione frumento, si ha il massimo di mezzi di ambiente presenti; nella seconda località il periodo vegetativo dell'anno è nettamente spezzato in due curve, con un minimo più elevato in gennaio ed un altro più basso in luglio, e con un massimo più basso in aprile e l'altro più elevato in ottobre, delimitando così due netti periodi utili per lo sviluppo dei vegetali erbacei, l'uno ricadente da febbraio a giugno, l'altro da settembre a novembre. Ciò spiega perché nell'Agro, anche con terreni ottimi, ben preparati e lavorati, ed in annate particolarmente felici, non si riesca a superare 20-25 quintali di raccolto per ettaro, mentre il raccolto di 30 quintali è più che normale nella pianura del Po nei terreni di migliore costituzione, e perché il terreno dell'Agro sia più adatto alla coltivazione dei prati vernili. L'attaccamento, perciò, di quei coltivatori al pascolo non dipende da pigrizia, neghittosità od imperizia, come tutti gli orecchianti grandi e piccoli di arte agraria meridionale dicono ed anche stampano, ma rappresenta bene spesso per gli agricoltori e per il paese stesso, una razionale e proficua utilizzazione dell'ambiente agronomico locale, contro la quale è irrazionale e non patriottico lottare. A tal uopo l'autore paragona il reddito di 100 rubbie di terreno a pascolo col reddito della stessa estensione di terreno a frumento, dimostrando così che vi é un utile maggiore di circa 28 mila lire annue con la prima forma di sfruttamento, e che, data l'alternativa del pascolo col frumento, quest'ultima cultura beneficia per lo meno per un terzo dell'ingrasso delle pecore. Ma ciò che più conta è che l'industria del bestiame alimenta la nostra fiorentissima esportazione di formaggio all'estero. Oggi il cacio pecorino romano è venduto in America a circa 50-60 lire, ed il nostro esportatore-importatore con poco più di un Kg. di formaggio può caricare circa un quintale di grano. Quanto poi alla produzione di tutte le 100 rubbie di terreno coltivato a pascolo si vedrà che il pecorino ricavatone e venduto in America permette di acquistare più di 300 quintali di frumento, cioè circa il 65% in più della produzione di frumento ottenuta in agro, e che tutto il reddito ricavato dalle 100 rubbie di terreno, calcolato in oro è circa tre volte quello ottenuto con la cultura granaria. ***
La irregolare distribuzione delle acque è, dunque, secondo il Rivera, la cause principale della difficoltà di coltivazione del frumento nell'Italia Meridionale. Ma ad essa si aggiungono altresì due fattori non meno importanti quale la luce ed il calore, le di cui variazioni occorre tenere assolutamente presenti. Ora, s tale riguarda l'Autore, sulla base di osservazioni sperimentali, da lui condotte con grande severità di metodo scientifico, crede di poter concludere che il clima meridionale presenta, confrontato a quello settentrionale, la seguente caratteristica: intensità luminosa maggiore e numero delle ore di luce minore. Questa caratteristica porta profonde modificazioni sia nella formazione fogliacea che in quella radicale della pianta e conseguentemente determina delle profonde alterazioni nel bilancio alimentare di essa, interrompendone assai spesso l'attività fotosintetica. E se si tiene presente che molte volte l'inasprimento del clima estivo nel Sud sopraggiungere quasi improvviso si vedrà come sia giustamente temuto dai nostri agricoltori il precipitare della stagione e la conseguente stretta del frumento nel mese di maggio o di giugno, così nota e temuta in Sicilia ed in Puglia, ma non ancora sconosciuta completamente perfino in Toscana ed in Umbria. Aggiungasi poi che talvolta al calore si aggiunge l'azione dei venti essicanti, la cui azione capace di cambiare, in un sol giorno, l'assetto ed il colore dei seminati, e compromettere l'esito brillante di una annata favorevole, a si vedrà con quanta ansia il metro agricoltura sapii nel cielo terso i torridi annunzi del favonio ostinato. ***
Determinati così quali sono i fattori biologici di depressione del reddito l'Autore passa a disegnare le linee della ricostruzione. Si tratta naturalmente di accenni perché questo è un argomento così grave da richiedere l'attenzione e lo sviluppo di intere generazioni. Intanto una prima conclusione s'impone: ostacolo grave allo sviluppo nazionale dell'agricoltura del Sud é stato il pregiudizio del grano. Era così generalmente e genericamente ammesso che anche le terre acide del Sud potessero e dovessero sottoporsi alla intensificazione che non si notavano le conseguenze dannose di tale pregiudizio. Ora questa direttiva, apparsa errata al lume degli studi compiuti dall'Autore, ha fatto perdere al nostro progresso agricolo molti anni di tempo e molta lena e minacciava di disorientare in modo quasi definitivo, i più audaci e volonterosi innovatori. Sgombrata così la strada da tale ostacolo, intorno a cui si era incrostata una vernice di falso patriottismo, l'agricoltore meridionale é in condizione di progredire. Ma in qual modo? Prescindendo dalla ricetta classica dell'agricoltura meridionale: il prato artificiale di medica, trifoglio, lupinella, sulla e foraggere tropicali, scritta forse a caratteri preromani nel sillabario del nostro agricoltore, è ormai risaputa che in molte zone del Mezzogiorno è possibile ottenere l'acqua per irrigazione o estraendola dal suolo o conservandola nelle gole montane. "Allora l'agricoltore del Sud, questo pigro e retrogrado coltivatore di grano, si trasforma in pochissime battute nel più acuto ed attivo amatore e cultore di lavorazioni intensive, consumando concime nella più alta proporzione unitaria che si possa immaginare: allora vedete gli orti campani ed i giardini siciliani, per portare due esempi qualunque, vero gaudio della vista, mostrare il loro verde robusto, restituendo il sorriso, che sembrava perduto, ai campi ed agli uomini che lo coltivano". "Oh, quanto acuto, moderno e liberale, in approntare i mezzi maggiori e migliori alla vita della pianta, diviene l'agricoltore Del Mezzogiorno al contatto dell'acqua d'irrigazione, che sa utilizzare con rara bravura; oh lezioni di agronomia rientrate al cospetto di un cavolo gigante e prosperoso della magnifica piana irrigua di Sulmona! "Date acqua, dovunque è possibile, alle piane riarse del Sud e strozzerete la miseria del reddito, la miseria del coltivatore e la miseria dello Stato nella maniera più assoluta e definitiva. "Ma perché la propaganda sciupata nell'imporre provvidenza di dubbia efficacia non si volge buscamente e si dedica al problema dell'acqua per il Sud, problema che ha soluzioni praziali e locali, forse neppure vistose, ma così frequenti e di efficacia che non si discute? Perché il Governo della Nazione, che oggi si chiama nazionale, non fa studiare un vero piano di guerra per la conquista dell'acqua per il Sud, che darebbe tanta indipendenza economica a questa Nazione, che pure tutti amano e vogliono servire? È possibile che non si trovi un serio ed operoso servitore dell'acqua per l'Italia? "Eppure nelle tradizioni agricole del nostro paese é conservata una traccia luminosa nella tecnica della utilizzazione dell'acqua del sottosuolo; ma oggi, più che in passato, per l'estrazione, dal fondo delle terre, o del letto dei torrenti, delle acque freatiche, le trivelle moderne e le moderne centrifughe, azionate dai motori elettrici, possono contribuire in maniera decisa ed efficace a ridare la vita d'estate alla natura morta o in letargo di zone vastissime dell'Italia calda ed arida: questa riconquista del suolo nazionale non sorride a quei numerosi cittadini che sono oggi i detentori ufficiali del patriottismo genuino? Orbene, per quanto mi viene riferito, nell'Italia del Sud sono numerose ed importanti le zone nelle quali esiste valorizzabile acqua nel sottosuolo o sulle quali si può arrivare di primavera e di estate con le acque dei serbatoi di monte; in tutte quelle zone il problema del basso rendimento sarà allora, con l'acqua, automaticamente e radicalmente risolto, pure senza bisogno immediato del soccorso di studi e di ricerche biologiche ed agronomiche". ***
"Ma per quel resto d'Italia del Sud, e sarà forse sempre la parte maggiore, che dell'acqua d'irrigazione non potrà giovarsi, rimane imponente e minaccioso il problema del reddito, nascente dalle disavventure della vegetazione in quel clima, di molte piante di vasta zona di cultura come il grano. "Per queste terre aride e calde la via della salvezza è stata prospettata successivamente in forme differenti: una parte degli innovatori vorrebbe estese le culture arboree oggi praticate e, principalmente, l'ulivo e la vite, le quali, pure in mezzo a gravi disavventure biologiche (parassiti vegetali ed animali, deperimenti fisiologici, ecc.), danno margini economici sufficienti a danno al Paese buone entrate d'oro per la esportazione che ancora se ne fa, sebbene in mezzo a difficoltà sempre crescenti; altri propongono che sia approfondita e perfezionata la ricerca e la creazione di razze di cereali adatte al clima meridionale, cercandole per esempio fra quelle a precoce maturanza, carattere capace di sottrarre il vegetale al periodo più ingrato, che comparisce per solito verso l'epoca normale della spigatura o poco prima; altri suggeriscono di cercare, tra le colture industriali, capaci di essere accolte nei mercati del mondo, quelle che alle condizioni del clima meridionale d'Italia si adattano con risultati confortanti nel rendimento (come ad esempio, tra le molte, pomodoro primaticcio, senape, cipolle, carciofi, soia, ecc.); altri vorrebbe insistere nella colturo granaria, cercando metodi culturali, inspirati anche a prove fatte all'estero, capaci di proteggere, almeno parzialmente, con risorse della tecnica, i vegetali dalla influenze nefaste dell'ambiente e perciò di prevenire o attenuare, il disagio nello sviluppo sui quali più avanti abbiamo riferito; finalmente altri pensano a cercare nello stesse colture erbacee in uso, per il periodo e l'epoca del loro ciclo vitale quelle a sviluppo non contrastante con le condizioni ambientali più generali d'Italia, le colture dell'avvenire, perfezionando queste ed il sistema di coltivazione di esse e tentando la via dell'alto reddito nell'ambito di quelle a reddito mediocre (come il pascolo invernale). Comunque, o che tutte queste strade possono essere sensate, o che ad alcune di esse si debba dare la preferenza assoluta, unica è la chiave della rinascenza per il Sud, la ricerca sperimentale. "La stessa enunciazione delle diverse strade possibili di miglioramento delle sorti della coltura arida lascia scorgere quanto incerta e deficiente per il Sud sia la nostra preparazione agronomica; qui la scienza agronomica non è fatta, ma è, più che per le altre zone d'Italia, quasi completamente ancora da fare. Nell'Italia del Sud incertezza di procedere, alea finanziaria ed avversità di ogni genere fermano qualunque audacia. Non vi è cioè troppo campo a propagandare conoscenze assolute, quanto a ricercare, nell'ambito delle scienze biologico-agronomiche, resultanti di prove apposite condotte sul posto, i quali ci viano innanzi tutto la conoscenza di fatti e di dati, rapportati all'ambiente particolare delle prove, fatti e dati inconfutabili, che servono a costituire per il pratico il dettame sicuro, su cui fondare senza esitazione l'industria agraria novella, che deve far risorgere l'Italia". Questo compito nazionale - aggiunge l'Autore, ormai alla fine della sua magistrale disamina - è essenzialmente compito di governo e dev'essere assolto urgentemente se si vuole giovare alla Patria. Provideant consules... Così termina questo arido libro di agronomia soffuso di poesia, in cui le ricerche sperimentali e gli studi di biologia vegetale si mescolano ai dati dell'economia politica, per arrivare alla visione panoramica di un avvenire del Mezzogiorno meno leopardiano. Era questa una reazione spirituale necessaria dopo tanto pessimismo in materia. Non più il mito vergiliano della fecondità inesauribile delle nostre terre, ma la coscienza delle possibilità di sviluppo che sapremo volere. Tutti i meridionali saranno grati a Vincenzo Rivera di avere sgombrato il terreno dai pregiudizi ed avere additato le linee di soluzione del problema. Il resto dovranno farlo i politici. GUIDO DORSO
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