MONTALEMBERTGli elementi costitutivi d'una forca sono: una corda e un palo. Il palo si ricava da un tronco d'albero. Più il tronco è saldo, più la forca dura. Peculiare studio del boia e dei teoreti del capestro fu quindi quello di garantirsi un tronco resistente all'azione degli agenti esterni. Il cattolicismo é una rovere formidanda: non se ne potrebbe cavare un palo, per uso di capestro? Posto il quesito, i reazionari e i sofi al loro stipendio si sono messi freneticamente a studiare una tecnica per utilizzare questo tronco imbattibile. Le attenzioni di cui esponenti atei del nazionalismo e del conservatorismo avviluppano da decenni la Chiesa hanno di mira questa utilizzazione. Per le tentate contaminazioni, a tale bruzzaglia é capitato di essere qualificata per filo-cattolica, proprio mentre andava rinforzando di motivi nuovi la gazzarra anticlericale consistita per più anni nell'imputare ai cattolici propositi di reazione, sino a quando la spinta degli avvenimenti non ha determinato la netta differenziazione, in Italia divenuta antitesi, tra i reazionari e la maggioranza dei cattolici. In Francia c'é ancora della confusione: e di essa si alimenta l'anticlericalismo e la crisi religiosa; per quanto anche lì sul terreno politico si stia compiendo uno sforzo per creare un nucleo democratico, volto a disintegrare masse cattoliche dalla servitù, mal rimunerata, di ceti nazionalisti reazionari plutocratici; riprendendo il moto iniziato da Lacordaire a Montalembert per conciliare i cattolici francesi con la democrazia, e rovesciare così le antipatie erette nella coscienza popolare dal connubio con la dispotia cesarista di Napoleone III. La dittatura di costui scisse i cattolici, di cui la maggioranza gli si offerse magnificandolo come "un redivivo Carlo Magno, un S. Luigi, l'uomo della destra di Dio, lo strumento della Provvidenza", giusta le espressioni dei Pestalozza dell'era. Grandi masse disertarono Montalembert e Lacordaire, rimorchiate dall'Univers, che passato nei ranghi del forte e fattosi petulante e aggressivo rinnegò tutti i diritti della libertà proclamando le ragioni dell'assolutismo e la sua alleanza con la Chiesa. Il nuovo leader fu Veuillot, peraltro sì grande. Strano il divergere di questi uomini! Quanto più Veuillot, figlio del popolo passava dall'estremismo repubblicano all'esaltazione del dispotismo, tanto più Montalembert, pari di Francia e parente di Re, piegava verso la democrazia. Questi sulla sua strada, vide tra i rottami delle istituzioni costituzionali brulicare i rinnegamenti, i voltafaccia, le viltà dei suoi; e farsi il vuoto attorno alla sua figura di aristocrate messa vigorosamente contro corrente. Vittima d'un lungo dramma politico, lottò per più anni giganteggiando nella bufera come un monolito. E tale resta: un fondatore della democrazia cristiana - quella democrazia a cui Leone XIII diede il sigillo meritandosi il rancore... devoto dei conservatori, che sognano il cattolicismo palo di forca; - e un assertore delle libertà. Abbandonato dalle masse, attaccatesi, per paura del socialismo e per speranza di privilegi, alla dittatura, restò vessillifero d'una pattuglia che reclutava i suoi gregari tra i membri dell'Accademia di Francia - fortilizio antidittatoriale - e accoglieva Lacordaire, Foisset, Cochin, Dupanloup, De Broglie quali più insigni rappresentanti della corrente cattolico-liberale, il cui liberalismo naturalmente si diversifica non poco dalle accezioni correnti in paesi dove si spaccia per liberale sin quel menestrello di neobaroni che è G. Gentile. Dopo il colpo di Stato del due Dicembre, superando l'amarezza e per l'amicizia personale verso Luigi Bonaparte, credette di fiancheggiarlo, a fin di bene, per cooperare alla normalizzazione. Ottenne subito dal Presidente che non esigesse dal clero manifestazioni di giubilo per il colpo di Stato: difatti, 20 giorni dopo la promessa, il Presidente imponeva un Te Deum ufficiale a Notre Dame! Intercorsero altre richieste e altre promesse: tutte annegate nella norma del prometter lungo con attender corto, comune a ogni sottospecie di dittatura. Dopo alcune settimane - Montalembert narra - "avevo sufficienti prove per convincermi che L. Napoleone si credeva solo necessario e per conseguenza in stato di risparmiarsi qualunque consiglio e qualunque concorso". Dittatura e fiancheggiamento sono termini antitetici che coabitano solo nelle soffitte dell'illusione, al lume equivoco della paura. Seguirono gli esilii, le confische, la legge sulla stampa, per cui un giornale alla terza diffida veniva soppresso, proprio come in tempi bastardi successe in un Regno attiguo alla Francia; vennero le corruzioni sfacciate, le inframmettenze nell'esercizio della giustizia e le pressioni sulla magistratura, con gli scandalosi casi Occhiuto e Tramonte. Montalembert protestava con crescente vigore, al Parlamento - le dittature moderne abbisognano del paravento parlamentare - e sulla stampa. Eletto deputato nel '52, il ministro Persigny se ne crucciò: "Montalembert ha il carattere troppo cavalleresco; ama troppo difendere i deboli, perché il Governo possa rallegrarsi della sua entrata nel Corpo Legislativo", cioè nell'Assemblea, definita dal leader cattolico "regno delle ombre, popolato da duecento fantasmi". Duecento; come le comparse! Ma la Francia s'addormentò nelle braccia del suo padrone. Lo scetticismo distrasse gli spiriti. I borghesi chiedevano quiete, gli operai si rassegnavano, i contadini facevano i loro affari. La massa dei cattolici rinculava verso larve assolutiste. Non Montalembert: "io sono deciso - scriveva a Cramer - a non spezzare le armi di cui i cattolici si sono così lealmente e utilmente serviti, non solo in Francia, ma in Belgio, Olanda, Inghilterra, Germania, Piemonte. Io non voglio assumermi la responsabilità di far dire agli avversari della Chiesa che i cattolici non reclamano la libertà se non dove sono i più deboli, con la segreta intenzione di distruggerla appena saranno i più forti". E scrisse il famoso opuscolo "Les intèréts catholiques au XIX siècle", trattandovi dei limiti di libertà e di autorità con criteri suggellati poi nell'Immortale Dei, insorgendo contro quanti riponevano l'avvenire della religione negli umori di un padrone anziché nella coscienza del popolo, costretti per ciò a chiudere occhi e orecchie su tutte le violenze, le infrazioni del Decalogo e i soprusi perpetrati dal despota. "Io non voglio che si dica dei miei amici e di me che abbiamo difeso nel passato e ottenuto la libertà, per trafficarla o sacrificarla alla prima occasione... Insorgo contro il sacrificio della libertà alla forza, sotto pretesto religioso". Con tale atteggiamento, rispettava sopra tutto la propria coscienza. Come aveva reclamato le libertà civili e politiche quando la tirannide liberale premeva sui cattolici, così le reclamava oggi che la tirannide imperiale favoriva i cattolici. La libertà non è articolo di mercato. Era così fedele al passato, e in special maniera al decennio in cui, trascinando la massa inerte dei cattolici e superando opposizioni disparate, aveva conquistato la libertà d'insegnamento. Rispettò sé stesso, ponendosi, in coerenza al passato, nell'opposizione: "opposizione costituzionale, sì, ma opposizione". Diceva alla Camera: "Io credo che il dispotismo abbassi i caratteri, le intelligenze, le coscienze... Io deploro il sistema che rende un sol uomo onnipotente e solo responsabile dei destini di una Nazione di 36 milioni d'abitanti... Io ho giurato di essere fedele alle leggi, non agli abusi del potere; di non cospirare, di non insorgere, ma, non già d'approvare o ammirare tutto ciò che si fa... Ho creduto che si potesse fare l'opposizione anche sotto l'Impero, poiché credo che si servano le istituzioni stesse che si disapprovano, mostrando che esse possano coesistere con un grado di opposizione. I governi che sono giunti al punto di non poter tollerare l'opposizione, toccano l'eccesso precursore della loro fine". Lo provò Montalembert; ma lo provarono anche lo stesso Veuillot e l'Univers. Questo, che giustificava il proprio contegno coi favori imperiali alla Chiesa - parvenza di favori, dietro cui si tesseva una politica di restrizione delle libertà religiose - nel '55 aveva osato scrivere: "Noi ci attribuiamo il beneficio di parlare e di scrivere ogni giorno, rifiutandolo agli altri, che non offrono le nostre garanzie... La legislazione attuale sulla stampa è quella della Chiesa: ammonimento e sospensione". Era tanto della Chiesa, che 5 anni dopo, per aver formulato delle riserve circa la politica imperiale verso lo Stato Pontificio, il giornale fu diffidato e poi avendo pubblicato un documento papale (!), fu soppresso. A Don Guéranger, da cui un tempo era stato accusato di tiepidezza verso la libertà, Montalembert predisse: "Ma voi sarete frustati con le verghe da voi stessi benedette... E quando vi dibatterete sotto la mano del padrone che vi siete dato, gemerete invano. Si riderà dei vostri mali. E voi non avrete diritto né alla pietà né al soccorso di nessuno" E questo - chiosa Lecanuet - s'é avverato. Altri prognostici espresse scrivendo al nostro Cantù, nel 1854: "La rinascita cattolica é oggi seriamente compromessa da questa scuola fanatica e servile che cerca identificarla con l'assolutismo. Una reazione formidabile si prepara"; e a Mons. Sibour: "Uomini codardamente servili nell'ordine temporale e insolentemente oppressivi nell'ordine spirituale si sforzano di stabilire tra il cattolicismo e il dispotismo una abominevole solidarietà", predicendo l'avversione popolare alla Chiesa; e nell'anno 1868: "Attenti! L'interregno di quindici anni subito dalle nostre più essenziali libertà ha preparato una rivoluzione a petto a cui le crisi del 1830 e del 1848 appariranno trastulli di ragazzi. Mille sintomi più chiari del giorno dimostrano che questa rivoluzione futura avrà per parola d'ordine una esplosione di irreligione. La soppressione della vita politica ha prodotto in certi strati della società francese uno sviluppo di sensualismo, di materialismo e d'ateismo di cui neppure il secolo XVIII ci ha offerto l'esempio". Se i cattolici francesi avessero calcato le tracce di Montalembert e Lacordaire non piangerebbero per la rovina dell'anticlericalismo, che li colpisce per la ragione e per il pretesto delle passate alleanze con la dittatura, spingendoli tuttora in braccio ai reazionari, per associarli in un unico bersaglio. IGINO GIORDANI.
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