Marxismo e liberazione proletaria

    La facilità, davvero un po' sorprendente, colla quale Carmelo Puglionisi ha liquidato - con una colonna di stampa! - il marxismo come dottrina del proletariato rivoluzionario, intorno a cui pure già si son fatti scorrere tanti fiumi d'inchiostro, avrebbe dovuto, mi sembra, ingenerare a lui stesso il dubbio che le cose non stessero proprio come egli le ha poste, e che una qualche inesattezza sia venuta ad insidiare il corso del suo ragionamento. E a dir vero, questa è appunto la mia opinione. Parmi anzi che questa inesattezza abbia viziato il suo ragionamento alle fondamenta.

    Asserisce infatti il Puglionisi che il rovesciamento della dialettica hegeliana non apportò alcuna conseguenza, mentre invece essa ne apportò una fondamentale, che cioè gli uomini, i quali nella filosofia hegeliana eran soltanto mezzo dell'astuzia della ragione secondo la classica espressione di Hegel, diventano per marxismo gli autori stessi della storia, mossi ad agire dai loro bisogni (1). Da cui una filosofia attivistica, nient'affatto catastrofica, come il Puglionisi pretende, perché il proletariato vien costruendo da sé, nello sforzo costante dell'elevazione e della lotta, la nuova società. Né vale in proposito l'invocata autorità del Sorel, del quale è nota la superficialità filosofica. Ch'egli ripudiasse l'essenza filosofica del marxismo, discende appunto da ciò che egli, non penetrandola al vivo, l'interpretava, com'era d'uso ai suoi tempi, in senso fatalistico (e ciò per influenze naturalistiche e positivistiche estranee al pensiero di Marx che ebbe una cultura ed una forma mentis fondamentalmente idealistiche), e sentiva la necessità di sostituirvi una concezione attivistica, che credette di trovare nel pragmatismo e nell'intuizionismo. Senonché questa parte della polemica soreliana è confutata dalla stessa ricostruzione critica del pensiero marxistico, che ci dà esso pure una filosofia attivistica, ben più seria delle forme degenerative in cui l'accolse il Sorel. Quel che del grande teorico francese rimane più che mai vivo è invece proprio la sua opera educativa di Tertulliano del socialismo, il suo culto dell'intransigenza, che é marxismo schietto. Perché senza intransigenza, checché ne pensi il Puglionisi, non può darsi educazione.

    Da quanto son venuto sin qui osservando, discende, a mio credere, una conseguenza importantissima. La storia é attività degli uomini mossi dai loro bisogni. Questi bisogni fanno sorgere rapporti sociali, i quali costituiscono l'intima essenza dell'uomo, dell'uomo sociale e storico, del solo uomo concreto. Dunque gli uomini aventi identici bisogni, legati dagli stessi rapporti sociali, avranno una comune coscienza (coscienza di classe), agiranno nello stesso senso (lotta di classe). Ma quale sarà il resultato di questa lotta, se non quello di negare la società borghese, superandola in una forma più alta? Questa è la logica conseguenza del ritmo dialettico.





    Senonchè, obbietta il Puglionisi, questo superamento della società borghese non è possibile, perchè la storia non consente mai l'assoluto, e sarà sempre un eterno succedersi di classi dirigenti, di borghesie avvicendantisi al potere. Marx mirerebbe in sostanza a fare del proletariato una nuova borghesia. Ma qui sta celato un grave errore, errore storico e filosofico. "La vita non consente l'assoluto, l'attuazione completa del bene e la fuga definitiva del male", d'accordo; e Marx sarebbe stato davvero antistorico, se avesse preteso che la rivoluzione proletaria segnasse un termine alla storia. Ma questo era ben lungi dalla sua mente, che anzi egli asserì (con una frase che potrà anche essere criticata, ma che è abbastanza significativa), che là cominciava la vera storia. Da quanto sopra però, non si può legittimamente concludere, come fa il Puglionisi, che la storia debba essere un continuo infecondo succedersi di classi dirigenti, una perpetua alternativa senza méta. Una tale veduta pecca pur essa di antistoricismo, poiché, per dirla col Croce, questo "progresso all'infinito, non raggiungendo mai il suo termine, non é progresso"; né a dargli un contenuto potrebb'essere sufficiente di ricorrere a un infinito progressivo approssimarsi a una méta irraggiungibile, perché "il concetto di approssimazione... quanto può essere utile nelle scienze della quantità, altrettanto è vano e vuoto in quelle della qualità, dove tutt'al più puó prestare talvolta servigi di metafora. Che cosa importa che il dolce pomo e la fresca acqua si approssimi più o meno alle labbra di Tantalo, se non le toccano mai in guisa ch'egli possa cibarsi e bere?... Il vero concetto del progresso deve dunque adempiere insieme alle due opposte condizioni, di un raggiungimento a ogni istante del vero e del bene, e di una messa in dubbio a ogni nuovo istante senza tuttavia perdere ciò che si è raggiunto, di una perpetua soluzione e di un perpetuo rinascente problema per una nuova soluzione: deve evitare le due opposte unilateralità di un fine bello e raggiunto e di un fine irraggiungibile, del progressus ad finitum e del progressus ad infinitum" (2), E questa è appunto la veduta di Marx, che concepisce la rivoluzione proletaria come superamento d'una forma sociale, conchiusione d'una lotta, raggiungimento d'una méta, che tosto si converte in punto di partenza per una méta ulteriore. Quale essa debba essere, in quali forme e traverso quali lotte debba raggiungersi, non si può, dal punto di vista marxistico, né conoscere né indagare.





    Che questo, e non quello accennato dal Puglionisi, sia il pensiero del Marx, mi sembra debba risultare evidentemente a chi lo esamini intimamente. Il trionfo del socialismo, egli ha detto, dev'essere il trionfo della libertà; ma di quale libertà? Non certo di quella degli individualisti del secolo XVIII, che era in fondo l'astrazione della libertà e che si riducea in ultima analisi all'arbitrio. Per Marx, nutrito degli insegnamenti della filosofia classica tedesca, la libertà è coscienza, è azione. E poiché, come abbiam visto, l'essenza dell'uomo è data dai suoi rapporti sociali, e l'uomo è concreto soltanto nella sua classe in lotta con un'altra classe, è evidente che l'arma dei lavoratori per la conquista della libertà è la lotta di classe, che è appunto l'azione traverso cui il proletariato prende coscienza di sé stesso. La liberazione conseguente alla rivoluzione proletaria non può esser quindi per Marx altra cosa che la liberazione del proletariato come tale, e cioè il superamento della società a classi. La trasformazione di una parte del proletariato in classe borghese dirigente, cui accenna il Puglionisi, non è la liberazione dei proletariato come tale, come classe oppressa, ma un mero caso di miglioramento individuale, sia pure esteso ad un gran numero di individui, che non interessa il marxismo, dottrina di classe, ed é estraneo al suo concepimento storico-dialettico.

PROMETEO FILODEMO