LACORDAIRE

    Lacordaire ci richiama al primo esperimento d'una politica fatta da cattolici nello Stato moderno, liberale. Il valore dell'esperimento sta anche nell'aver superato le difficoltà derivanti dal condurre la massa inerte, dubitante, ostile dei cattolici sul terreno scelto dagli avversari per combattere la Chiesa: il terreno della libertà e della democrazia.

    Lacordaire non è prevalentemente l'uomo politico. Egli resta l'apostolo, il conferenziere, l'asceta che flagella a sangue le sue carni e fa la politica solo in funzione del suo apostolato sacerdotale.

    Egli, nel campo ecclesiastico - come Montalembert nel campo laico - domina quel periodo di convulsioni sociali e politiche che va dalla caduta d'un tiranno (Luglio 1830) al colpo di Stato d'un dittatore (2 Dicembre 1851) periodo in cui lo Stato moderno liberale e democratico cerca di determinarsi e assestarsi tra tentativi reazionari e sommovimenti anarcoidi e nel travaglio tumultuario la Chiesa batte le vie nuove per svolgere la sua missione. Se è difficile al nuovo regime di districarsi dai tentacoli dell'assolutismo, arduo del pari è per i cattolici di sgrovigliarsi dai viluppi delle antiche caste dominatrici.

    In questo scontro di due mondi, uno duro a morire, l'altro impacciato nel nascere, il Padre Lacordaire s'avanza a chiedere per la Chiesa e pei cattolici le stesse libertà degli altri cittadini, rinunciando ai privilegi dell'ancien régime.

    Il terreno della libertà è quello da lui scelto sin da ragazzo; e vi si mantiene, senza cedere ad allettamenti, senza spostarsi per le minacce, sino alla morte: rettilineo come la bontà della sua anima grande.

    Capisce perciò sin da giovane che il suo posto non è in una parrocchia o una Certosa, ma nella vita pubblica, a contatto col mondo, risoluto, per suo conto, di prenderne la direzione, quanto potesse, pel bene del cristianesimo. Capisce che il cattolicismo non deve lasciarsi spodestare, straniare dalle forze nuove, non lasciarsi relegare nel fondo delle coscienze fedeli, non chiudersi nei recessi nè attendere fatalisticamente il dito di Dio per la resurrezione di defunte forme di vita sociale: deve invece riprendere il suo posto di conduttore spirituale nel nuovo stato di cose, revincendo e mettendosi alla testa.





    Intuisce che la Chiesa non debba esaurirsi in proteste o indugiarsi in nostalgie sterili, ma affermarsi in regime di libertà. Essere assenti equivale ad essere trattati da nemici.

    E Lacordaire vuole la conciliazione col nuovo mondo, o meglio vuole dissipare l'equivoco, creato da nemici e tepidi amici, di pretese solidarietà del cattolicismo con forme statali sorpassate, rompendo quell'incantesimo per il quale esso pareva dannato a perire con queste. Lacordaire accetta la libertà, la fa anima sua, la santifica nella sua santità, trova in essa lo spazio per le dilatazioni della sua grande anima avida d'espandersi, e insieme le condizioni della rivalutazione del pensiero religioso e dello sviluppo della Chiesa.

    Perciò entra in azione, accanto a La Mennais, a Montalembert e Gebert, con l'Avenir, giornale di riscossa, sorto al motto: "Dio e libertà!" e con esso scuote una massa letargica e sfiduciata riuscendo persino a porla contro il Governo.

    Per questa sua accettazione dei postulate fondamentali degli Stati moderni, egli si dice, come O' Connel, come Montalembert, liberale, definendo così questo speciale liberalismo: "Al tempo della mia giovinezza la questione liberale non si presentava a me che dal punto di vista della patria e della umanità... Poi il mio liberalismo abbracciò la Francia e la Chiesa" negando, quindi quella sorta di libertà anche allora corrente "che pare il privilegio dei miscredenti contro i credenti". Ciò perchè anche in Francia, come da per tutto, per le condizioni con cui lo Stato moderno si era svolto dall'antico, i cattolici erano stati messi in condizione d'inferiorità: condizione da cui il grande Domenicano vuole risollevarli, restituendo loro la coscienza e l'orgoglio del loro essere.

     - Questa libertà - dettò nel Testamento sul letto di morte - "come ogni cosa, ha dei limiti. Se si tratta della stampa, essa non dovrebbe avere il privilegio dell'ingiuria, della diffamazione, della calunnia, nè della immoralità; se si tratta della coscienza religiosa, non dovrebbe domandare d'erigere templi pubblici alle passioni più turpi del cuore umano; se si tratta dei rapporti tra Chiesa e Stato, essi non possono essere rotti interamente o serrati sino alla servitù...".





    Fattosi banditore di queste idee, si può pensare quale lombricaio di calunnie, insinuazioni, ricatti palpitasse attorno alla sua figura dal terreno dei clerico-conservatori credenti nel dogma da essi suscitato della inscindibilità della Chiesa con la tirannide. E mentre Egli reintroduce, sfidando il Governo e piegandolo, col prestigio dei suoi successi oratorii, l'Ordine dei Domenicani, e ricompare di fronte alla Francia laica, scettica, areligiosa, vestito del saio dell'Inquisitore per chiedere al nuovo regime la libertà anche per i religiosi e riesce con un'opera di costante dedizione e fedeltà alle libertà civili e politiche, facilmente rinnegate nell'ora della prova dai più fanatici giacobini, a capovolgere l'opinione pubblica della Francia verso la Chiesa, - da quell'acquitrino lo assalgono tacce di rivoluzionario e di eterodosso.

    In questo ideale di libertà, nella funzione che gli attribuisce di risollevare nel popolo il prestigio del cattolicismo, egli crede pure quando la dittatura del terzo Napoleone stritola nelle sue morse tutte le conquiste e tante coscienze. La tirannide, anche se filo-cattolica - egli ragiona - nuoce allo spirito, alla morale, alla religione. Ma "quando in un popolo ci sono elementi seri di libertà, essi lavorano anche inconsapevolmente contro tutte le oppressioni, e come la verità chiama la verità, come la giustizia chiama la giustizia, così in questo cerchio logico di cose divine e umane, la libertà chiama la libertà": L'esser venuto meno alla libertà, rappresenta per Lacordaire la causa del crollo della Monarchia di Luigi Filippo "miscuglio incredibile di dispotismo e d'anarchia".

    Segue la repubblica Lacordaire, benché monarchico costituzionale, vi aderisce, per tentare di arrestarne la corsa all'anarchia e quindi al dispotismo. Difatti la repubblica non si sottrae al disordine che sboccando nella dispotia larvata di parlamentarismo del Napoleonide.

    Sdegnato, il gran Frate si tira in disparte. Come dice Montalembert, con cui l'amicizia si fa ogni anno più tenera attingendo espressioni sublime, occorre in tempo di dittatura salvare anzitutto la propria dignità. E le sue ultime parole morendo riflettono quest'ora di manomissione dei liberi istituti politici: "La Repubblica morì, e un nuovo impero incominciò. Io compresi che nel mio pensiero, nella mia parola, nel mio passato, nell'avvenire ancora riserbatomi, io ero ancora una libertà e che era venuta l'ora di scomparire con le altre. Molti cattolici invece seguirono un'altra linea e distaccandosi da quanto avevano detto o fatto, si gettarono con ardore ai piedi dell'assolutismo. Questo scisma, che non voglio chiamare apostasia, è stato sempre per me un gran mistero e un gran dolore: la storia dirà quale ne fu la ricompensa...".

    La ricompensa è stato l'anticlericalismo conseguente della Francia odierna.

IGINO GIORDANI