POLITICI D'OGGIMILLERANDAlessandro Millerand nacque a Parigi il 10 febbraio 1859. Famiglia piccolo-borghese di commercianti originari dell'Alta Saône. I suoi genitori fecero dei sacrifici per i suoi studi: così Millerand fu subito, già in scuola, l'uomo che non deve perder tempo, l'uomo diligente e tenace. Al Liceo Michelet, poi al Liceo Enrico IV era lo studente destinato ai primi premi per la sua laboriosità. A ventidue anni Millerand era già iscritto alla Corte d'Appello e si classificava secondo, dopo Poincaré come segretario della Conferenza degli Avvocati. Il successo professionale lo portava naturalmente, in un paese come la Francia, alla politica. Incominciò a farsi notare nel processo per gli scioperanti di Montceau-les-Mines. Nè egli rinnegò poi queste origini della sua fortuna: lo studio d'avvocato è stato un suo pensiero costante, e lo interruppe solo per andare all'Eliseo. Chiuso con la sconfitta il grande duello con le Sinistre della primavera scorsa, i giornali parigini annunciano subito che Millerand riapriva studio. Avvocato e tribuno. Naturalmente in politica il posto di un piccolo-borghese era a sinistra. Millerand cominciò con una sfumatura di moderatismo partecipando nell' '82 alla redazione de La Justice, diretta da Clemenceau con Pelletan, Pichon, Delcassé collaboratori. Con programma repubblicano radicale fu eletto consigliere nell' 84 nelle elezioni municipali e nell' 85 andava alla Camera rappresentante del dipartimento della Senna con la sinistra radicale. Il capitano, il grande tattico delle Sinistre era Clemenceau e Millerand dovette accontentarsi di prendere la parola su questioni tecniche, specialmente giuridiche. Erano gli anni degli ultimi vani tentativi reazionari e Millerand dovette presto convincersi che l'avvenire era a sinistra. L'occasione per accentuare la sua posizione gli venne durante la crisi boulengista. Direttore della Voix, Millerand incominciò una campagna a fondo contro Boulanger e contro Ferry. Non é senza interesse ricordare, oggi che il Senatore Millerand é l'uomo di fiducia dell'opposizione, che il suo programma dell' 89, come candidato del XII circondario, reclamava: la Camera unica, il potere giudiziario elettivo, il potere esecutivo di tipo svizzero e le più ampie libertà locali. Rieletto a grande maggioranza le sue battaglie furono tutte in difesa di una politica sociale: si ricordano i suoi atteggiamenti per gli scioperanti del Pas-de-Calais, per la legge Bovier-Lapierre in difesa della libertà sindacale, per gli scioperanti di Carmaus ecc. Nel '91 Millerand sostiene a Lille la candidatura del Dottor Lafargue, socialista rivoluzionario. Senonché tutto ciò non bastava a differenziarlo dalla politica del suo maestro Clemenceau. Nel '93 il sovversivo del '91 va alla direzione della Petite République per farne, con Viviani, l'organo del socialismo riformista: ora nel suo programma si parla di riforma fiscale. Al congresso dei Comuni socialisti del 30 maggio 1896 a Saint-Mandé, Millerand traccia le tavole di un programma collettivistico pratico. Egli identifica allora la patria, la Francia, con la Francia del lavoro e dei lavoratori. Evidentemente Millerand si sentiva maturo per una politica di responsabilità: il socialismo pratico di questo futuro ministro tendeva ormai esplicitamente "à mener le parti socialiste vers la conquête des pouvoirs publiques, à l'eloigner, des violences en le rapprochant des réalités". Con questo programma fu fondato un nuovo giornale, La Lanterne, un vero semenzaio di socialisti futuri presidenti del Consiglio, visto che ne erano magna pars Millerand, Viviani, Briand. Egli cominciava a essere stanco della vita di oppositore. Nel polemista, nell'uomo della lotta nascevano le nostalgie per la realizzazione, per la costruzione. In sostanza i costumi dell'opposizione erano valsi a mettere in luce e a portare alle prime posizioni l'uomo della piccola borghesia costretto al sovversivismo dalla logica del parvenu. Ma in realtà si sa che le organizzazioni radicali e socialiste del primo cinquantennio della terza repubblica francese sono stati una specie di noviziato per uomini d'ordine. Millerand era dunque pronto per collaborare, l'occasione glie la offerse Waldeck Rouseau che formando nel 1899 il Ministero di difesa e di azione repubblicana gli offerse il portafoglio del commercio. Ci furono proteste nel partito, ma il socialismo francese era ormai così maturo per i compromessi che il Congresso di Parigi accolse la tesi dei difensori di Millerand. Questi tentò di giustificare i suoi due anni e mezzo di Ministero; proponendo timidamente le prime leggi sociali. Ma le qualità per le quali sin d'allora lo apprezzarono furono le qualità di energia, di tenacia, di organizzazione. Apprezzavano nell'ex-sovversivo le qualità di uomo d'ordine e di decisione. Ora, in tutta la sua carriera Millerand conserva come qualità costante la volontà assoluta di riuscire. Nel '99 il caso Millerand fu una rivelazione, sembrò un paradosso; nel 1909 egli superava invece la prova del fuoco per conquistarsi la fiducia di quella borghesia contro la quale aveva combattuto per quindici anni in sott'ordine a Clemenceau. Ministro dei Lavori Pubblici con Briand egli poté dimostrare dove lo traessero i suoi nuovi gusti, offrì la prova della sua attitudine a diventare l'uomo di fiducia delle classi privilegiate. C'è questo ricordo negli uomini che cercano oggi in Millerand il duce della lotta contro la politica finanziaria di Herriot. Il difensore degli scioperanti di Montceau-les-Mines non esita nell'ottobre 1910 a stroncare lo sciopero ferroviario coi mezzi più inesorabili. Si trattava di salvare la sua posizione di Ministro. Egli dichiarò che "quaud on a l'honneur, et la lourde charge d'appartenir au gouvernement, on doit chercher avec le programme de son parti, à faire le bien du pays, c'est-à-dire à servir exclusivement les intérets généraux sans acception de personne". In quel "lourde charge" c'é tutta la voluttà del governare del piccolo-borghese! Da allora Millerand è diventato per antonomasia l'uomo della maniera forte. Ma il 1910 non è stato che la prova generale del 1912. Tra il gennaio 1912 a il gennaio 1913, Millerand tenne il ministero della guerra nel gabinetto Poincaré, il Gabinetto che preparò la guerra europea. Egli pensò a tutta la tecnica di questa preparazione: la legge sui quadri, l'organizzazione del concorso delle Colonie Africane, il rafforzamento della disciplina col ritorno alle forme tradizionali di militarismo, ecc. ecc. Alcuni dei suoi provvedimenti hanno avuto una reale utilità pratica e formano l'orgoglio di certo patriottismo francese: l'errore stava nell'ispirazione politica a imperialistica sottintesa in tutta questa tecnica. Scoppiata la guerra europea Millerand parve l'uomo destinato a riprendere l'opera cominciata. Egli successe a Messimy come ministro della guerra il 25 agosto. Questa volta la sua opera fu apprezzata, ma non sollevò più entusiasmo. Millerand uscì dal Ministero con Viviani nell'ottobre 1915. Come deputato l'ex-socialista continuò a occuparsi prevalentemente di questioni militari. La carriera di quest'uomo, dagli anni di sacrificio e di dura laboriosità di studente povero all' Eliseo potrebbe dunque sembrare a un rapido sguardo una di quelle storie che noi ben conosciamo, di imborghesimento del sovversivo. Invece ci sono degli elementi più sostanziali e più solidi in questa psicologia. Anzitutto, almeno le forme sono salvate, nel paese repubblicano, e si evita la figura non bella dell'uomo di popolo che deve fare, maturo, una specie di noviziato di Corte. In secondo luogo c'è in Millerand, come in ogni uomo di Stato francese, la tradizionale pratica di amministratore. Una delle più belle pagine della sua carriera è la sua opera di Commissario generale della Repubblica per l'Alsazia e Lorena. A questo compito, di grande delicatezza, egli fu chiamato il 21 marzo 1919: in dieci mesi egli vi dispiegò un'opera organica e liberale. Agì con diplomazia, senza urtare sensibilità locali, senza pretendere di introdurre improvvisamente tutti i congegni del centralismo amministrativo francese, anzi annunziando che avrebbe conservato tutto ciò che vi era di buono nell'amministrazione locale. Quest'ultima prova di responsabilità e di tatto gli aprì la via alla Presidenza del Consiglio. Fu chiamato a sostituire Clemenceau il 18 gennaio 1920; il Gabinetto fu pronto in 48 ore: Millerand oltre alla Presidenza, scelse il Ministero degli Esteri. Egli ereditava la situazione di Clemenceau con la volontà di fare applicare il Trattato di Versailles ad ogni costo. L'occupazione di Frankfort, i negoziati di Spa sono i risultati della sua politica forte. Nell'interno applicò la sua energia contro i comunisti. Questa duplice politica guadagnava a Millerand una grande popolarità tra i ceti dominanti. In politica finanziaria corrispondeva alla facile formula del boche paiera, cara alla plutocrazia come alla piccola borghesia. Senonchè in politica estera la cosa finiva in un circolo chiuso. Conveniva ormai, anche dal punto di vista nazionalista, cercare una tattica di minor resistenza che potesse giocare sulla capacità di conciliazione dell'avversario. Al capitalismo francese più audace incominciava ad affacciarsi la possibilità di trovare vantaggi più considerevoli non esasperando maggiormente l'economia tedesca. Briand e Loucheur furono gli uomini di questa nuova situazione e di questa tattica continuata poi, anche attraverso le incertezze di Poincaré, sino al ministero Herriot. Millerand era troppo rigido, conveniva trovare un modo elegante di metterlo da parte. Poiché la malattia di Deschanel diventava sempre più preoccupante, si decise di eliminare Millerand facendolo eleggere Presidente della Repubblica. Millerand comprese la tattica e rimase qualche tempo incerto. Ma un piccolo borghese francese non rifiuta la suprema magistratura. Cercò le sue precauzioni, annunciò che non avrebbe inteso le sue funzioni all'Eliseo come mere funzioni rappresentative, che si sarebbe riservato il diritto di intervenire negli affari di politica estera, ma i programmi contano poco quando si tratta di tradizioni lunghe e sottili. Nessuno si spaventò delle sue dichiarazioni ed egli fu eletto il 27 settembre 1920 con 695 voti su 892 votanti. Presidente il fiero Millerand la condotta politico estera e interna veniva affidata per l'appunto al duttile e conciliante Briand. La promessa continuità di politica estera era subito messa da parte. Millerand non poté far nulla, neanche di fronte alla doppia e contradittoria politica di Poincaré. Dopo l' 11 maggio, ai suoi tentativi di resistenza contro il successo della politica radico-socialista, Herriot rispondeva col dilemma di uno dei maestri dell'ex-rivoluzionario: o dimettersi o sottomettersi. Millerand era un nazionalista impenitente, ma un onesto repubblicano e di fronte al giudizio avverso degli elettori si indusse a dimettersi. Al suo spirito ripugnava tentare un'avventura che forse gli avrebbe tolta ogni popolarità, e sopratutto la fama di uomo di equilibrio, di uomo d'ordine. La reazione è diventata la sua bandiera, ma per un repubblicano è difficile spingere la reazione sino alla dittatura. Così per continuare la lotta Millerand si è fatto eleggere senatore di Parigi e mette ora tutta la sua tenacia nella difesa della causa delle classi ricche. Forse egli ritornerà ancora ai primi posti della politica francese; ma il suo temperamento rigido, la sua energia leggendaria lo hanno fatto l'uomo necessariamente legato alla reazione che in Francia non potrà avere se non successi transitori. Per la complicata politica europea di questi anni un uomo come Millerand può essere pericoloso. Sono indispensabili uomini più duttili, più nobili, più diplomatici. Invece nulla di diplomatico né nella figura, né nella psicologia di Alessandro Millerand. Tozzo, grossa testa con abbondante capigliatura, lineamenti energici, ciglia corrugate, sguardo risoluto, chiuso e rude. Nella sua freddezza c'é della timidità. Semplice, sobrio, é rimasta il figlio dei commercianti parigini nonostante tutta la sua lunga evoluzione politico dall'estrema sinistra all'estrema destra. Perciò, si trova nella sua carriera una logica quasi continua. Più che un transfuga egli è lo specchio dello svolgimento dei costumi politici della Francia repubblicana. Tra gli uomini finiti come lui solo Clemenceau gli sovrasta per la sua vastità di movimenti. Invece della genialità di Clemenceau, Millerand possiede la mediocrità dell'uomo chiaro e logico. Per finire con un elogio questa cronistoria dell'uomo medio francese, diremo che per lui la politica è sempre stata una cosa seria: Millerand non è un demagogo né un attore. |