WINDTHORST

    Alla politica imperialista, egocentrica, dispotica che Bismarck inaugurava nell'Impero da lui creato venne ad opporsi un nuovo partito, che si sottraeva all'orbita da lui tracciata, piazzandosi nella vita nazionale con un programma autonomo di rivendicazioni democratiche e sociali: il Centro, capeggiato da Windthorst. Bismarck che non ammetteva ostacoli e si vantava di saperli spazzare, andando sino in fondo, come coi Francesi, come coi Polacchi, volse tutte le forze a sbarazzarsi di questi antagonisti, e volendo stroncarli alla radice, chiamati a raccolta nazionalisti e liberali, concentrò i fulmini sulla Chiesa Romana. Poiché questa non si prestava a liberarlo da questi cattolici, raccoltisi in partito indipendente, scatenò, per causa di Windthorst, la grande persecuzione liberticida contro clero e Chiesa che si disse "Kulturkampf".

    Nella lunga schermaglia seguitane tra Bismarck e S. Sede, la posta che egli sempre chiedeva era Windthorst, e per esso il Centro. "Sbarazzatemi di quest'uomo - egli chiedeva a tutti i fiduciari del Papa - e io abrogherò il "Kulturkampf".

    Naturalmente, malgrado lo scatenamento di vessazioni e di ingiurie, alle quali tutti i clienti dei dittatori sono particolarmente portati, né Pio IX, né Leone XIII sconfessarono mai né il Centro né il suo capo; e si limitarono a far rispondere che il Vaticano non si immischiava nella politica interna degli Stati. Ciò esasperava il Cancelliere di ferro il quale intonava per la sua troupe coribantica il motivo calunnioso: "I cattolici del Centro sono Guelfi contro l'Impero, sono spie francesi, gregge senza patria, alleati di socialisti: il vescovo Kettler è un demagogo, Windthorst è un anticristiano...".

     - Tutto questo, - rimbeccava il piccolo Guelfo - perché non siamo deputati... bismarckiani!

     - Due cose - asseriva Bismarck, - mi conservano, due cose mi abbelliscono la vita; l'amore di mia moglie e l'odio di Windthorst.





    Odio che accendeva folgori grandiloquenti, le quali non turbavano il leader cattolico; alle concioni passionali e contradittorie del Cancelliere, egli opponeva la sua dialettica caustica e precisa; spietato, ironico, cavalleresco, col suo filo di voce, trivellava le costruzioni retoriche dell'antagonista pomposo e ne logorava col ridicolo e con la logica sfavillante i sofismi. Intransigente e tranquillo sopportò tutte le arti con cui il Cancelliere tentò disfarsene: le carezze per staccarlo dal Centro, le manovre per metterlo contro il Centro, i ricatti contro la S. Sede, le interpretazioni arbitrarie di documenti pontifici per contrapporlo al Papa; pressioni su nunzi apostolici; travisamenti, acrobazie, menzogne montate dalla stampa imperiale.

    Il corpo mingherlino serrava un'anima consapevole di potere presto o tardi sottomettere il colosso. David e Golia: ma, in attesa di colpirlo in pieno, se lo tirava dietro, facendogli ripercorrere a ritroso tutta la via del "Kulturkampf".

    Bene spesso nelle discussioni parlamentari su progetti di legge, come quelli contro il socialismo, poiché Windthorst si rifiutava di assecondare le mire reazionarie del Cancelliere, questi, abilmente, per molto tempo - sino a quando il sistema non fu... denicotinizzato dall'abuso - mescolava nelle questioni politiche l'elemento religioso, onde suscitare imbarazzi alla coscienza cattolica dei deputati del Centro. Senonché, mentre A. Reichensperger, di fronte alla minaccia di recrudescenze antireligiose stabiliva: "Accada quel che potrà: noi dobbiamo essere anzitutto coerenti" -: Windthorst precisava l'aconfessionalità del Centro; e nel 1880, alla vigilia della discussione di emendamenti alle Leggi di Maggio - fondamentali del "Kulturkampf" - fissava con la Curia alcuni accordi, di cui il primo diceva: "Nelle questioni puramente politiche il Centro è affatto libero e indipendente dalla Santa Sede".





    E stette sulla breccia, sino alla vittoria, per vent'anni, sostenendo contro la dittatura una politica di libertà, di riforme, di autonomie. Con che ironia faceva constatare ai liberali come la difesa della libertà fosse lasciata tutta e soltanto agli "oscurantisti romani", e come rideva quando i cattolici conservatori - cattolici di Stato detti meglio: Cattolici Nazionali - alleati naturali del più forte, lo chiamavano demagogo! Aveva la coscienza di una missione: sovvertire il principio pagano hegeliano d'infeudamento della Chiesa nello Stato e di prussianizzazione del cattolicismo. Sereno quanto più roco grandinava sulla piccola persona lo scroscio di vilipendi, caricature e tutte le espressioni, onde la mediocrità si vendica di chi osa sormontarla; ironicamente sprezzante contro la ciurma dei reggipenne del Cancelliere, sciamata poi con la caduta di costui; pur quando obbligava l'avversario alle prime concessioni, dopo nove anni di lotte, e quando le transazioni potevano risparmiare ai cattolici prigione ed esilio, rimase inflessibile sul postulato: abrogazione intera assoluta delle Leggi di Maggio. Sotto la pressione di quella intransigenza Bismarck allacciava disperatamente trattative con la S. Sede e... cedeva; e intanto nelle successive elezioni il suo partito segnava decimazioni e il Centro una progressione irrefrenabile, non avendo il dittatore, benché... Bismarck, pensato mai a un sistema "totalitario".

    Stratega formidabile, pregava il Cardinale Jacobini che a Roma non si allarmassero pel vigore con cui attaccava il Cancelliere, poiché, diceva, costui non cede che alla paura. "Con una periodicità tenace - scrive Goyau, - metteva in linea i suoi argomenti, poi li menava all'assalto, tutti insieme, sempre gli stessi, ma sempre agili, rinfrescati, gagliardi, contro l'edificio già traballante delle Leggi di Maggio". E intanto che scardinava le leggi, obbligava Bismarck ad avvicinarsi carezzevole e a lanciare ponti al Centro che per tanti anni, scomodando storia e teologia, aveva qualificato nemico dell'Impero.





    Nil sub sole novi... Vedo in quegli anni pullulare, sotto il fermento del Centro, una generazione - ahi, non spontanea! - di sorrisi cortigianeschi alla Chiesa romana, già oppugnata fragorosamente in nome della Kultur. Che nèmesi sentiva nella sua alacre anima Windthorst! I nemici di Roma si profondevano in salamelecchi verso il Papa e verso i principii della Chiesa, così come i figli d'Aretino in Italia, bastardi dell'ateo Maurras di Francia, tra un'alcova e una roulette gratificano i cattolici di lezioni catechetiche!...

    I giornalisti di Bismarck - udite! udite! - "si facevano vedere in giro con rosarii i cui grani erano grossi come nocciole": e ciò per mostrare come il cattolicismo fosse contro il P. P. I..., pardon!, contro il Centro. Bismarck, di fronte all'ostinazione di questo contro il settennato, iniziò una campagna elettorale sfruttando il nome di Leone XIII contro Windthorst, cui la Kölnische Zeitung (organo competente come alcuni giornali di Roma!) definiva "l'antipapa guelfo"; mentre gli aristocratici e slesiani (nit sub sole...) tentavano "in pieno accordo con gli scritti pontificali" (! ) di fondare, contro il Centro, un partito cattolico conservatore! Non riuscirono, naturalmente.

    Fu quella una campagna elettorale tremenda, in cui Bismarck con abilità satanica si adoperò a mettere in piedi - lui! - un'antitesi tra il Centro e la S. Sede.

    Ma i cattolici, sgombrati degli elementi più retrivi e pavidi, non si lasciarono fuorviare.





    Windthorst, benché malato e contro il divieto del medico, si gittò nella mischia con una vigoria impetuosa: e l'ultima battaglia elettorale fu la sua massima vittoria. "Vinto dalla Chiesa a cui aveva ceduto per isolare da essa il Centro, Bismarck aveva creduto almeno di poter vincere Windthorst". Fu un disastro. Egli dovette venire a patti col piccolo Guelfo.

    Questi, in un colloquio drammatico, gli chiese nettamente: ritorno dei Gesuiti, ristabilimento dello stato quo di prima del 1870. Bismarck cedette e intanto domandò chi volesse per successore: (da uomo intelligente, direbbe Labriola, si preoccupava della successione). Windthorst fece il nome di Caprivi. Poche ore dopo Guglielmo II congedava il gran Cancelliere e gli sostituiva Caprivi.

    L'imperatore raccoglieva il programma sociale del Centro a favore degli operai, vantandosi di essere d'accordo con Leone XIII. Ai chi tornava a chiamarlo socialista, Windthorst rispondeva: "Ma allora il Dio del Sinai fu il primo dei socialisti?".

    Un anno dopo la caduta dell'avversario di tutta la sua vita politica, Windthorst moriva. Ebbe onori imperiali al suo funebre. E si disse: "Windthorst è morto e vive, Bismarck vive ed é morto!".

    "Bismarck - conclude Goyau - aveva iniziato il "Kulturkampf" per sbarazzarsi del piccolo Guelfo; e il "Kulturkampf" invece ingigantì la sua potenza; mirando a sopprimere il Centro, non riuscì che a moltiplicarne le ragioni di esistenza" si che nato debole ed eterogeneo "il Centro - constatava un avversario - sotto il martello bismarckiano si è forgiato in un blocco solido, vigoroso, omogeneo".

IGINO GIORDANI