RISORGIMENTO

RICORDI DELLA REGINA DI NAPOLI

    Maria-Sofia-Amelia regina delle due Sicilie, morta quasi novantenne a Monaco di Baviera parecchie settimane or sono, fu una donna singolarissima sia per intelligenza che per bellezza. I napoletani e i siciliani veramente colti la compresero e l'amarono. Finchè Maria-Sofia-Amelia visse il suo popolo la circondò di fanatismo. Detronizzata e quindi esule la regina non dimenticò più i suoi sudditi e continuò fin che visse ad amarli da lontano come figliuoli. Ma siciliani e napoletani non fecero lo stesso, sì che la bella regina di Napoli partitasi, rimase all'ombra, dimenticata e invano sperò di tornare nel Golfo Incantato.

    Perduto il regno, Maria-Sofia-Amelia si sentì più di prima regina e nessuno glielo tolse dalla testa che avrebbe riconquistato il trono. E piangeva come una fanciulla quando le si ricordavano gli splendori tramontati. Spesso ripeteva: Ho avuto tre grandi disgrazie: un breve regno; un marito zotico, la lunga vita.

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    Nella primavera dell'anno 1922 la regina di Napoli dimorava a Parigi, in un'ampia e deserta palazzina del viale di Neuilly. Sola, con il suo fedele segretario Barcellona e la sua servitù composta di due napoletani, tre messinesi e una siracusana neghittosa alquanto. Il vecchio pappagallo Toledo dalla voce rauca era l'unico spasso di questi otto esuli.

    Maria-Sofia-Amelia visse però una vita agitatissima. Suo marito Francesco duca di Calabria, divenuto poco tempo dopo il fastoso sposalizio, Sovrano delle Due Sicilie, era stato il grande motivo delle sue amarezze e inquietudini. Nevrastenico e capriccioso si mostrava con Maria-Sofia-Amelia, gentile e remissivo con i suoi compagni di bagordi. La povera regina rimasta vedova non si sentiva di dir bene dello scomparso sposo. Aveva conservato di lui ricordi troppo meschini.





    Non voleva Francesco che la consorte suonasse il cembalo in certe ore del giorno e le aveva proibito di eseguire la quarta e la metà della quinta sinfonia di Beethoven insieme con altra musica classica. Se Sofia aveva voglia di sedere al cembalo doveva scegliere i motivi popolari di Posillipo e di Santa Lucia. Allora il re si ammansiva e andava a trovarla per coprirle di lacrime le candide spalle.

    Parecchie volte falsamente pregandola di suonare Beethoven, al momento che la regina si chinava per sedere sul seggiolino, questo le toglieva di sotto per farla stramazzare a terra.

    Il duca di Calabria era anche gelosissimo e fino al punto di farle credere d'essere una donna singolarmente brutta e stupida. E ciò le faceva dire con astuzia da tutti i messeri della corte. Tanto che durante una intera settimana la regina rimase chiusa nelle sue stanze a guardarsi da mane a sera negli specchi e a domandarsi a ogni istante con le lagrime agli occhi: - Ma sono veramente una donna brutta? E dopo quella settimana Francesco le fece pervenire un inno scritto e dedicato a lei dal famoso poeta napoletano Pasquale Lèpore, un inno della lunghezza di cento ottave in versi ottonari struccioli, ove la satira e l'elogio si confondevano con malignità tutta partenopea. Poco mancò che per questo Maria-Sofia-Amelia non tentasse il suicidio. Tuttavia la regina gli salvò il trono e la pelle numerose volte.

    Quando nei quartieri popolari si preparavano le sommosse, Maria di Possenhofen montava sulla bianca giumenta e correva là ove i rivoltosi si adunavano e scendeva dal cavallo e si confondeva tra i rivoluzionari dicendo loro: - Volete la testa del re? Eccovi la mia che è molto più bella, ma lasciate il re sul suo trono.





    Nessuno però aveva in animo di uccidere la regina, anzi tutta Napoli era innamorata di lei, bellissima donna e amazzone. E i rivoltosi le rispondevano col baciarle la lunga veste bianca e col bagnargliela di dolci lacrime. La regina si lasciava persino baciare in viso dai più scalmanati pescatori. Indi la folla scortava la bianca cavalla e accompagnava Maria-Sofia-Amelia fin sotto il palazzo reale. Scendeva di sella la regina, più di una volta regalando ai capi della tentata rivolta la sua magnifica cavalcatura. Subito dopo faceva affacciare al balcone grande il re odiato e gli faceva salutare tre volte la folla in delirio e gli portava agli occhi un largo fazzoletto, fingendo con questo di asciugargli copiose lacrime di pentimento.

    Nelle notti seguenti si intrecciavano le serenate sotto la reggia e quante belle canzoni si cantavano in onore di lei! La regina ne ricordava ancora una a ottant'anni e la insegnò a uno dei suoi napoletani servitori il quale la cantava facendosi accompagnare dalla languida chitarra di Barcellona, durante le notti estive nel giardinetto dei villino di Neuilly, a volte alla presenza di Zita e di Sisto di Borbone. Anche il vecchio e rauco Toledo era riuscito a imparare due versi della prima strofa:



L'uocchie tue, regina bella,
sunu funne come o' mare...



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    Maria-Sofia-Amelia, questa prodigiosa regina che era stata fino a cinquant'anni amazzone invincibile, che a settant'anni aveva tentato di imparare ad andare in bicicletta, questa donna coraggiosissima, moderna, colta, dalla mentalità squisitamente politica, dalla natura maschia e temprata, diveniva una cosa fragile, un cencio madido di lacrime tutte le volte che le si ricordavano i fasti del regno di Napoli, l'incanto del Golfo Partenopeo, le musiche di Santa Lucia e di Posillipo, il chiaro di luna di Chiaia e la serenità delle ville mediterranee. Faceva veramente pena il solo vederla sperduta nel passato, vagante coi larghi occhi immobili nello splendore di una inutile visione. Mezzo secolo visse illanguidendo di nostalgie.





    Barcellona avvertiva il visitatore: - Di tutto parlate a Sua Maestà tranne che di Napoli. Ne abbiamo fin troppo noi che ci siam dentro della sua melanconia. Povera regina, se la volete far piangere ricordatele la bella città che era la sua.

    Maria-Sofia-Amelia ospitava volentieri nella sua villa di Neuilly tutti i curiosi siciliani e napoletani che avevano espresso a Barcellona il desiderio di baciar la mano abbrustolita della Sovrana. Siciliani e napoletani erano ancora i figlioli della deposta regina di Napoli. E quanti di essi residenti in Francia ricordano di aver passato un'ora a colloquio con lei!! Venditori ambulanti di stoffa da Casoria (son quelli che portano casco a maglia da marinai inglesi), da Marcianise, da Caserta, da Sparanise, da Pozzuoli; agrumai di Sicilia e di Calabria; trafficanti d'oro e di corallo ionico; giocolieri e lottatori messinesi e palermitani; fiore di mafia e di camorra del Messinese e del Siracusano; feudatari dell'interno selvaggio dell'Isola; centinaia di questi emigranti hanno baciato un lembo della veste di Maria-Sofia-Amelia e hanno segnato il loro cognome e nome uniti a un gentile pensiero nel pesante album di Neuilly.

    La regina li riceveva in piedi e li tratteneva circa un'ora ognuno, e parlava loro come madre a figlio tornato dopo lunghi anni da lontano paese e li congedava singhiozzando, indi si ritirava nella sua cameretta per lasciarsi calar le lacrime sulla lunga veste di cotonaccio affumicato, fino a quando Barcellona non veniva a distrarla con le sue smorfie e piroette.





    Avrebbe voluto tornare a Napoli e non sentiva di poter vivere a lungo senza il suo regno trapunto di stelle, odoroso di mare e di zagara, tuttavia non moriva, anzi lasciava che morissero gli altri sovrani; lei si struggeva e s'alimentava col desiderio infantile di tornare regina a sessanta, a settanta, a ottant'anni.

    E nelle odorose e stellate sere di primavera inoltrata, Maria-Sofia-Amelia s'ammalava addirittura di malinconia e di nostalgia. Allora si presentava dinnanzi ai suoi occhi incantati una continua visione di Napoli; la povera regina delirante chiamava a sé tutta la servitù e sotto il profumo delle acacie e delle false zagare, a un sedile di marmo del giardinetto di Neuilly, rievocava i ricordi della sua avventurosa giovinezza e del suo tempestoso passato di regina, senza stancarsi li raccontava ai servi addormentati e al vecchio Toledo agonizzante, dal sorgere della luna fino al tramonto delle stelle. Poi dava la buona notte a chi non l'ascoltava ormai da un pezzo e con gli occhi umidi di lacrime se ne andava a dormire in un letticciuolo umile di suora, non prima però di avere accarezzato con le brune e scarne dita la lunga argentata veste di regina delle Due Sicilie che Maria-Sofia-Amelia custodiva in un grande forziere antico insieme con gli altri regali indumenti e i ricordi personali.

ANTONIO ANIANTE