VITA MERIDIONALE

IL MERIDIONALISMO

    In tempi, come il presente, in cui più fervida ed operosa è la critica dello Stato storico in Italia, è dovere di ogni meridionale che abbia un pensiero sul Mezzogiorno, di esporlo francamente, quale esso si sia, affinché dal crogiolarsi degli opposti pareri emerga quella serena visione realistica della "questione meridionale", che - per nostra grande disgrazia - ci è sinora mancata. Nelle intenzioni di queste modeste parole è di comunicare con quanti vivono il pathos del Sud, esponendo loro dubbiezze e credenze. Della consistenza di queste, sarà giudice il lettore spregiudicato.

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    Per un senso di dignità, non cerchiamo definire "questione meridionale": qualsiasi definizione di essa, se pur ampia, potrà imprigionare qualche aspetto concreto, giammai potrà racchiudere né la grande passione che è in essa, né le notevoli sfumature che la soffondono. Nell'atto in cui si tenta definirla, la si impicciolisce e volatizza. Or bene questo non deve essere, tanto più che, istintivamente, la si avverte, meglio ancora (ed in termini da giuristi), è portata dai meridionali.

    Preferiamo piuttosto domandarci: - il Mezzogiorno può o non può migliorare?; e come? - In quanto diremo è altresì il nostro pensiero sul meridionalismo.

    Chi, meridionale, agita oggi un problema "politico" del Mezzogiorno è evidentemente fuori del seminato, e sciupa, un'attività di cui certo non si abbonda, per bisogni essenziali. Costoro son gli aristocratici del meridionalismo, perché una questione "politica" di primo piano non riusciamo a vederla, nemmeno in sede prospettiva. Giacché domani, quanto di peculiarmente "politico" dovrà esser valutato nel "problema meridionale", si risolverà automaticamente e per coordinazione (con un orientamento che chi non ha spirito profetico non può prevedere), sol che si ponga cura a quel problema del Mezzogiorno che dicemmo ed andiamo svolgendo su queste colonne, come tecnico-romantico. A meno che non si voglia fare del meridionalismo uno degli elementi di dottrine dello Stato diverse da quelle attuale.

    Se pur possiamo spiegarci come altri ponga, così, come "politico" il problema meridionale, questo "meridionalismo" a noi non interessa: ci trova diffidenti.





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    Una schiera di forti studiosi ha sostenuto, e la stampa meridionale che per le nostre contrade piglia premura va ripetendo, il concetto che una positiva elevazione del Mezzogiorno è in funzione della revisione di due cose, in principal modo: politico doganale e riforma tributaria. Il giudizio anche per noi è esatto. Ma, praticamente, per il modo secondo cui si son congegnate e si presentano le cose, con la richiesta di revisione si postula (implicitamente) l'esistenza di uno "Stato etico". Solo chi crede ad esso, può fare della revisione suddetta, un argomento di azione meridionalista. Gli altri devon constatare che il problema non si risolve menomamente in sede di congressi, con relativi ordini del giorno, dei "produttori" meridionali. E ciò senza nessun senso di acrimonia verso altri che conoscono e dirigono superbamente la macchina della politica commerciale e finanziaria dello Stato.

    Noi meridionali non invidiamo chicchessia, ma dobbiamo voler progredire! La forza motrice di questa elevazione si sostanzia in un problema di dignità. L'elemento concreto può risiedere in quanto esporremo, ripigliando il concetto attivo tutto nostro della self-made-country.

    Astrattamente, tutto quel che il Mezzogiorno potrà attendersi, sarà di veder più evoluta l'economia terriera ed attivato un industrialesimo che da quella promani, elaborandone le produzioni ed assorbendo così tutto quel lavora che eccede i bisogni diretti delle culture rurali. Questo può essere nella più lieta visione finale. Ma il processo si indovina oltremodo faticoso. Che cosa vi si oppone, oltre le cattive condizioni generiche dovute a pesi tradizionali e la poca rispondenza dell'indirizzo economico statale, in rispetto ai bisogni meridionali? La mancanza di un movimento interiore di rivalutazione ideologica!

    Il Mezzogiorno può far de sé, col solo ausilio delle sue forze organiche?: - Pensiamo di si, ponendo mente - beninteso - non più in là di quanto gli è necessario per "aggiornarsi" in rispetto alla realistica natura dello Stato, e distruggere la sensazione che esso voglia vivere erodendo larghi margini dei pubblici bilanci.

    È questa l'ora di creare i "miti"! Ad es. se c'è un bracciantato rurale che magari è esuberante, in contrapposizione sta la ben più vasta mancanza del "mito della terra", nel mentre lo "snob" penetra e dissolve parte degli stessi ceti rurali; nel senso di destar in loro voglie cittadine e insofferenze alla vita rurale, oltre che per bisogno, per creder dappoco la vita campestre. Vi invito a meditate su questa nota psicologica, e a generalizzarla!





    Son pochi i capitali del Mezzogiorno?: - Procuriamo di potenziare la proficuità degli esistenti, rendendone gli impieghi sicuramente locali e più "veloce" la circolazione, col creare la psicologia della banca regionale.

    Si fanno auguri per l'avvenimento della "proprietà coltivatrice"; - Ebbene, anche per questo si agevoli il processo di formazione capitalistica, tendenzialmente innegabile presso alcune classi di fittavoli, nonostante che il presente non sia più il tempo delle forti realizzazioni marginali, né lo sarà dippiù il futuro.

    Su questo argomento torneremo con uno studio particolare.

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    Poche parole di conclusione. La "questione meridionale" è, genericamente, problema di passione; "concretamente" è un problema di rassegna, di revisione e migliore indirizzo delle nostre attitudini. Anche in questa sede bisogna richiedere allo Stato, e compiacersene, opere pubbliche e altre premure. L'equivoco sta nel valutarle più nei fatti materiali, e perdersi dietro le vicende di esse.

    L'impostazione "politica" del problema meridionale; a seconda dei casi, o non ci riguarda, o è superflua, o è erronea. Nell'oggi, piuttosto che esser solleticati dal voler avvelenare le masse rurali con la propaganda (a sapor demagogico) dello Stato che trascura gli interessi del Mezzogiorno, si pensi a rendersi migliori, a credere, a creare la "poesia", il "mite", e a possedere, di pari passo, aspetti concreti e fondati di possibilità, a trasfonderli nel popolo; e a vivere, con esso, nello sforzo di trionfare, a dispetto delle avversità presenti, perseguendo con sentimenti di aspettazioni messianiche, la visione di un domani meno infelice.

GIUSEPPE DELLA CORTE