BUONAIUTIBuonaiuti scrive la propria difesa: non gli si può negare ascolto. Molto facilmente risorgono le vecchie obiezioni contro il modernismo; con troppa facilità anzi, tanto da insospettire, perché troppo facile è questa logica che porta all'apologia del Santo Uffizio; e l'alleanza che pensiero idealistico moderno e dogmatismo cattolico sembran stringere per salvaguardare ciascuno il proprio ordine intimo, ha troppo il carattere di Santa Alleanza contro ogni tentativo di liberazione individuale. Poi, con grande fortuna del nostro tempo, ogni atteggiamento spirituale palesemente ed immediatamente si rivela concretandosi in atteggiamento politico: ora, questa Santa Alleanza delle logiche pure, in termini di politica italiana d'oggi si chiama accostamento fra centro cattolico nazionale e gentilesimo politico: e tutti e due stan fianco a fianco, si fondono e si confondono, per la maggior gloria del fascismo. Ma, a parte anche le riprove fornite dalla politica, certo è che occorre cautela e serietà nel formular giudizi, nell'approvare l'una o l'altra tendenza svolgentesi in un mondo religioso che non sia il proprio. Al non cattolico troppo facilmente il Vaticano appare come Museo Vaticano e tutta la religiosità della Chiesa gli sembra irrigidita in dogmi e in atti di fede consacrata che non lasciano al religioso alcun'altra via se non quella di pietrificarsi per divenir statua in San Pietro. È molto probabile, come ha scritto Gentile, e come a distanza d'anni ha ripetuto Romolo Murri, che il modernismo altro non fosse se non momentaneo accostamento di casi di coscienza individuali irriducibili l'uno all'altro senza larga e durevole risonanza al di fuori: e ormai si conviene anzi di parlare ancora più che del modernismo, di caso Loisy, caso Tyrrel, caso Murri, caso Buonaiuti, e nessuno di questi uomini ha probabilità di divenir santo né i loro libri potranno mai formare oggetto di edificazione e ritualità di preghiera. Il pensiero laico ha così precorso e convalidato l'opera compiuta dalla "Pascendi" quando frantumò il modernismo: e la Chiesa, con quella netta totalità senza residuo concessa a lei sola, pare abbia del tutto stroncato il movimento sorto nel suo grembo. Pure, l'infierire delle condanne sopra Buonaiuti viene a dirci che alla Chiesa è sfuggito un residuo di quel ch'essa bollò come eresia delle eresie, ed essa ora lo stronca; ma stroncandolo, essa stessa denuncia come nel terreno del modernismo che si credeva del tutto sconvolto, si svolga e viva ancora l'opera attiva d'un uomo. E allora chi è estraneo alla Chiesa riman dubbioso se lasciarsi andare a fornir convalide, ancora una volta, alle condanne formulate dal dogma implacabile, o piuttosto se non sia doveroso giudicare con più umana cautela, osservar bene se veramente l'uomo sia incorreggibile nella propria eresia, e rivedere infine i giudizi già pensati sull'eresia e sull'eretico. Ora è Buonaiuti stesso, con la propria autodifesa che si presenta a noi uomini laici; e c'è nella sua parola un accento di commozione e una complessa esperienza del soffrire a cui sarebbe cattivo rispondere con una nuova affrettata condanna. Bisogna quindi dargli ascolto. A prima vista, questa sua difesa ha un carattere spiccatissimo di caso personale, come di vicenda che può provocar l'interessamento o al massimo la simpatia, ma riman sempre strettamente legata ai casi dell'uomo che l'ha compiuta e la narra. È la storia di due scomuniche e del tempo trascorso fra l'una e l'altra di queste due scomuniche che non sono, del resto, le sole nella vita di Buonaiuti. Colpito nel '21 dall'accusa d'aver negato il dogma della presenza divina nell'Eucaristia, Buonaiuti si difende energicamente con alcune lettere inviate al Pontefice e al cardinale Gasparri; e in queste lettere nega sì d'aver mai disconosciuto un dogma essenziale alla fede cattolica, ma afferma anche vigorosamente la propria necessità e il proprio diritto di seguire negli studi sulle origini del cristianesimo il metodo critico, e di svolgere questi studi nell'autonomia d'una cattedra universitaria. Che cosa sia questo metodo critico per Buonaiuti, qui non appare bene; non si sa se egli sia dominato dal dubbio corroditore dello studioso o dall'inquietezza del mistico; ma è difficile ad ogni modo che la Chiesa possa mai affidarsi ad una revisione profonda che, per la stessa individualità dei mezzi con cui vien compiuta, è eretica. Percorrer la storia della Chiesa sceverandola, intendendola, rivivendola attraverso la critica storica, è avventura grande: si può trovar la riprova definitiva della santità della Chiesa, si può perder per sempre la fede. E l'individualità dell'interpretazione storica necessariamente sempre provvisoria non potrà mai scrollare l'interpretazione autentica fornita ed elaborata nei secoli dalla Chiesa condottiera delle masse; e tanto bagaglio non può esser caricato e condotto su una così fragile navicella. S'intende quindi il dubbio, l'equivoco, la scomunica: tristezze che possono essere l'amaro prezzo con cui Buonaiuti paga la propria avventura audace, ma possono apparire anche come la necessaria salvaguardia della Chiesa. E nulla è più bello, allora, della paterna benignità con cui il cardinale Gasparri si fa incontro al sacerdote messo al bando e che domani può essere per sempre perduto, ma che oggi testimonia la propria fedeltà alla Chiesa da cui è cacciato, con una sofferenza da cui non è possibile non essere colpiti. Nessuno può decidere chi sia nel giusto in questa lotta fra un uomo solo e l'istituzione che par perenne: il pronunciar giudizio è opera cattiva poiché il problema è del tutto interno della religione, e solo il religioso può tentar di risolverlo ispirandosi al proprio Dio. E Dio infatti par bruscamente interrompere il dialogo bellissimo, ma senza possibilità di risoluzione, fra il sacerdote smarrito e il prelato paternamente buono: una grave malattia conduce Buonaiuti fin presso a morte proprio il giorno dopo che egli ha pronunciato il discorso in cui espone la sua più radicale visione della Chiesa e che dovrebbe porlo definitivamente al bando da essa. Ma Gasparri si fa prossimo al letto del morente, e al confine quasi fra l'una e l'altra vita, avviene per le due anime religiose il congiungimento, la possibilità di risoluzione del dissenso. Senza dispute teologali, ma da cuore a cuore, non vien negato al prete morente quel sacramento di cui era degna la sua vita tutta spesa a servir la Chiesa. Se triste è stata l'avventura, essa non fu senza bellezza, e se vi fu peccato in essa, certo non vi fu peccato per scarso amore. Al suo termine quindi può ben essere concesso il premio. Ma Buonaiuti sopravvisse: e l'assoluzione e i sacramenti concessi al morente divennero uno degli elementi complicanti la sua vita successiva. Non vi furono dispute, quasi non vi fu nemmeno sottomissione formale, sopratutto non si parlò più di storicismo e, tacitamente, il diritto della cattedra fu riconosciuto. Buonaiuti riprese allora la propria via, ed è probabile che quella riconciliazione a sottomissione avvenuta ai confini della vita abbiano pesato su lui, sordamente lavorando, ben più di tutte le altre solenni e formali. Incominciò per lui un periodo di travaglio - e di travaglio non sempre chiaro: in quella malattia quasi miracolosa, e in quella inaspettata salvazione dell'anima v'era qualcosa che doveva fortemente toccare una coscienza impregnata di religiosità. E lentamente prima, sempre più visibilmente e anche ostentatamente dopo, a molti elementi della propria vita passata egli rinunciò. Quelli che potevano essere gli ultimi echi dell'eresia modernista, ci dice Buonaiuti, morirono allora; e dello storicismo non volle parlar più, tanto meno lo volle teorizzare come guida per la ricerca della nuova fede e conservò la cattedra universitaria sì, ma per farne un pulpito, un posto avanzato nel seno della pagana civiltà moderna per la difesa della Chiesa. Così Buonaiuti accettò di essere quasi perso per la cultura, occidentale ed elaborò anzi teorie, o meglio svolgimenti di stati d'animo adeguati a giustificare questo distacco in lui e a provocarne altri al di fuori. La scienza non salva, ma anzi nel proprio inguaribile soggettivismo, ha creato una forza che ora si erge irriverente e minacciosa dinanzi alla Chiesa. E questa lotta si svolge storicamente nel nostro tempo e nell'intimo d'ogni uomo: fede e scienza hanno entrambe la propria necessità, la propria logica che porta entrambe a tutto unificare e assorbire in sé. Ma la scienza e il pensiero nel proprio ultimo trionfo sono insieme pienezza e dissoluzione dell'individuo inguaribilmente ridotto in se stesso, anzi nel frammento di sé, annullato nella impossibilità a comunicare con gli altri uomini e costretto a unificare la propria vita intima con la sola attività della ragione. La fede, invece, nel suo compiuto svolgimento, è conquista dell'equilibrio, dell'armonia fra l'individuo singolo e le società; è indicazione di quei valori e di quelle direttive morali che soli permettono alla vita di continuare senza cadere in rovinose dissoluzioni; la fede è infine limite ferreamente imposto al pensiero umano per la sua stessa salute, perché non si disperda, quasi come una ragione più alta che domina e trattiene ed ispira la ragione stessa. Tutto il pensiero moderno nell'espressione del proprio massimo orgoglio par trovare il culmine e insieme la riduzione all'assurdo nell'idealismo italiano, e par quasi che Buonaiuti dica che la filosofia di Giovanni Gentile è veramente la filosofia, ma appunto per questo deve essere domata, trattenuta, combattuta. Qualcosa di divino è nel pensiero umano, ma bisogna che questi strumenti divini siano strappati da mani di folli: e solo la Chiesa può compier quest'opera. Ora, nell'attuale momento della vita spirituale italiana, deve la Chiesa attendere ferma l'inevitabile resa dell'idealismo moderno, o non deve piuttosto domarlo muovendogli incontro per imporgli il senso del suo limite? Per Buonaiuti par non vi sia dubbio. L'idealismo italiano sveglia in tutti, anche in coloro che credono esser più digiuni di filosofia, une sete d'assoluto che l'idealismo stesso non potrà mai appagare in nessun momento, in alcun modo, poiché anche nella sua forma più alta e cosciente è solo rivelazione di questa sete, o meglio ardore provocato da una purezza d'atto che non si può mai fermare. E può darsi quindi che gli spiriti moderni resi quasi folli per la passione d'assoluto provocata dall'idealismo, muovano essi stessi alla fine verso la Chiesa che sola può dispensare l'assoluto agli uomini in fermo e gioioso godimento, ma se questo può essere, pochi superstiti di queste generazioni giungeranno a trascinarsi fin innanzi alle porte della Chiesa per averne salvezza e perdono. Tutti gli altri, moltitudini di uomini, rimarranno uccisi, dissolti, dopo esser stati resi folli, briachi da questo falso estremo possesso della verità destinato a far degenerare nelle più mostruose turpitudini. E la Chiesa non può rimanere impassibile, non può dominare sopra un mondo disseminato di cadaveri né rendersi essa stessa per troppo tempo pietoso asilo di alienati. Bisogna invece e coraggiosamente essa osi prender l'iniziativa, salvare gli uomini; l'idealismo italiano è la estrema paradossale forma messa dalla Provvidenza proprio accanto alla Chiesa di Roma, perché essa meglio intenda un male diffuso in ogni parte della terra, una folle omicida superbia umana. La Chiesa deve intervenire: domani potrebbe essere troppo tardi; deve andare incontro agli uomini intendendo il loro male fino in fondo, senza timore alcuno di contaminazioni che non la possono toccare, deve rinnovare la propria apologetica, alcune delle proprie forme, la propria stessa politica, per far tornare gli uomini alla sua sostanza eterna. E quando, ci dice Buonaiuti, egli aveva appena iniziato la propria opera d'ammonimento e di denuncia, la Chiesa bruscamente proprio allora lo metteva al bando con violenza irreparabile. Era sfiducia nell'uomo o incredulità del male denunciato? Perché, se è vero che per denunciare un male bisogna averlo molto intimamente conosciuto, nel caso di Buonaiuti, la Chiesa sentiva insieme ben presente ancora la malattia e incerto il momento del pentimento. Molte delle ostilità di cui ha sofferto Buonaiuti da parte di uomini di opposte fedi, derivano appunto da dubbio o diffidenza che qualche volta giunge fino a divenir fastidio. Che cos'è alla fine Buonaiuti, mistico o storico o filosofo? E' tomista o è pragmatista o è idealista? Quando partecipava attraverso il giornalismo, alla vita politica italiana, era il cavallo di Troia del Vaticano nelle cose interne dei partiti d'Italia o dei partiti d'Italia nelle cose interne vaticane? E questo concitato allarme contro la forza disgregatrice dell'idealismo italiano, non potrebbe essere la confessione della sua appartenenza a due mondi in reciproca irriducibile antitesi che egli pone prossimi e minacciosi l'uno all'altro appunto perché non riesce a congiungerli? Molti profetici annunci di apocalittiche catastrofi universali non sono che letterarie trasposizioni di individualissimi casi di coscienza. In tanti anni di operosità, dove Buonaiuti ha espresso il nucleo del proprio pensiero, in quali opere confessate? Alla fine, vi è questo nucleo di pensiero a cui tutta la sua opera possa riferirsi, come é formulato, o come formulabile? Nella Chiesa non basta la intuizione di un pericolo all'esterno che può essere anche reale, per essere ascoltati e seguiti: bisogna anche che colui in cui si manifesta questa intuizione, possa convalidarla e suffragarla con la testimonianza della propria vita, possa, cioè, con la chiara esposizione della sua totale esperienza, eliminare il dubbio che il pericolo denunciato sia immaginoso sogno provocato da un groviglio di vicende individuali. Ora, se la privata vita personale e sacerdotale di Ernesto Buonaiuti è incontaminata, difficile è intenderne il centro spirituale vivo ed eliminare il senso di diffidenza. Si ha impressione che non vi sia un pensiero, ma ve ne siano molti, e non una, ma parecchie fedi, quasi come sè la sua vita spirituale fosse disposta a strati di cui ciascuno ha la propria vita per se, ma non si sa quale sia il più profondo, né il primo o quello di mezzo a dar linfa vitale a tutti gli altri. Non si può intender questo se non tenendo conto della qualità di sacerdote che compènetra di sé Ernesto Buonaiuti. Vi è nell'interno della Chiesa una libertà o almeno una possibilità di libertà pressoché illimitata. Noi, nel nostro spirito laico moderno, viviamo in un mondo spirituale senza oltretomba e senza assoluzioni. Ogni atto e ogni pensiero può comprometterci irreparabilmente; entrati in un atteggiamento spirituale, noi siamo costretti a percorrere con inesorabile logicità tutto lo svolgimento, fino in fondo, per vivere poi in questo fondo; noi viviamo in un mondo di inflessibili leggi etiche che ora ci gravano tanto più fortemente, in quanto noi le subiamo senza essere ancora riusciti a formularle in chiara coscienza, e con poche probabilità di riuscirvi mai. Così, le linee in cui si svolge e s'inquadra la nostra vita individuale son aspre, dure, senza sfumatura: aspre e dure e quasi spietate come quelle della vita sociale in cui la nostra vita d'uomini s'inserisce con dolore. Tutto quello che può esserci ancora di ombroso e di sfumato in questo mondo rigido è determinato dalla molto spesso volontaria ignoranza di questa rigidezza inesorabile, che vien subita e patita piuttosto che accettata. Una esperienza può bastare ad interrompere o ad eliminare tutte le altre, un pensiero a far precipitar senza fondo. Questo, appunto perché il nostro mondo è moderno, cioè libero, senza confini: ma è infinitamente difficile la libertà degli individui nel mondo libero non oppresso da fantasmi divini, nel mondo che è tutto dell'uomo e in cui ogni opera si svolge e si diffonde con ritmo inesorabile. L'alienazione della libertà spirituale a una entità divina rappresentata e amministrata da una Chiesa, fa ottenere come premio costante il godimento d'una ricchissima serie di varie combinazioni di vita; la rinuncia al patrimonio della propria libertà può farne ottenere un'altra più adeguata alle esigenze della vita individuale e collettiva. Ora, purché si stia nell'interno della Chiesa, non v'è vario equilibrio, non v'è complessa oscura stratificazione di pensieri e di attività che non sia concessa. Sotto l'infinito campo dei giuochi, degli acrobatismi spirituali, si stende provvida la gran rete della Chiesa: e anche cadendo, sa molto bene chi giuoca che sempre c'è quella rete a salvarlo. E lo spirito moderno, invece, che ha tutto il peso della propria libertà, è come l'uomo che s'arrampica sulle Alpi: se solamente egli pone il piede in fallo, giunge cadavere al fondo. Ora, fra tutti i figli moderni della Chiesa, pochi usarono ed abusarono tanto della sua salvaguardia, come Buonaiuti: non v'è confronto fra quel che egli poté permettersi nella propria vita e quel che è concesso ai moderni uomini viventi di pensiero - salvo, forse, i dilettanti. Ma Buonaiuti non aveva bisogno della falsa difesa del dilettantismo se sotto di lui c'era la rete della Chiesa... Condotto dal proprio spirito critico di storico del cristianesimo primitivo, egli giungeva fin presso a quelle nette visioni totali che fan svanire la fede nello svolgimento religioso di cui troppo chiara s'è vista l'origine. Ributtato dallo stesso rigore di queste negazioni, si appagava poi in un misticismo in cui poteva esser fatta rinuncia d'ogni fede o forma concreta, per il solidale unanime abbandono d'ogni creatura a Dio. E a tentare di colmar l'abisso che divide il critico dal religioso soccorreva infine il filosofo, pronto a consolarsi per la fede forse scossa nella eternità e nella bontà della Chiesa, con l'immagine della sua durevolezza e della sua unità. Da ognuno di questi atteggiamenti spuntava inevitabile l'eresia: ma in realtà sì può dire che Buonaiuti non vi cadesse mai; anche se la sfiorava sempre, nei momenti di freddezza critica o in quelli di fervore mistico. Poiché Buonaiuti par voler vivere sì, le esperienze, le preoccupazioni fondamentali dello spirito moderno, ma nell'atmosfera, sotto la salvaguardia della Chiesa: se è il più laico fra i preti, è certamente anche il più prete fra i laici. Ed essendo tale atteggiamento di spirito la formazione estrema più genuinamente e artisticamente espressa della libertà concessa dalla Chiesa, appunto per questo uomini come Buonaiuti par non possano vivere fuori della Chiesa. Cercare d'inquadrarlo in schemi logici è opera del tutto inutile: Buonaiuti vive fra contradizioni in cui qualunque altro uomo moderno educato laicamente affonderebbe. Come uomo, sarebbe un letterato, e come letterato un dilettante; se non fosse prete; se non fosse cioè costretto a compiere le proprie esperienze con serietà, con coscienza dei valori morali e con costante pagar di persona. Ma in queste stesse varie esperienze qualunque altro uomo moderno rimarrebbe inchiodato se non fosse soccorso dalla agilità e dalla incomparabile ricchezza di sicura vita spirituale concessa a un sacerdote cattolico. Come nelle pagine migliori di questo suo ultimo libro, tutta la vita di Ernesto Buonaiuti è un dialogo costante fra lui e la Chiesa, dialogo in cui a volte la Chiesa è maternamente sollecita verso il più prodigo dei propri figli, altre volte e più spesso indispettita e dura fino alla crudeltà. E non si può intendere la voce di Buonaiuti se non ascoltandola intonata a questo dialogo: rivolta verso il mondo della cultura occidentale essa sarebbe del tutto spersa o inintelligibile. Perché l'originalità, il paradosso, la contradizione costante di Buonaiuti sorgono da un fatto solo: dall'essere egli uomo intimamente moderno fino alla totale laicità: ma questo temperamento gli è possibile svolgerlo solo nell'atmosfera antica della Chiesa. La sua persona sta ritta e viva solo se possa inquadrarsi, inserirsi in qualunque modo, in un ambiente dove sia anche perseguita, umiliata, non importa; la libertà della cultura occidentale gli par corruttrice ed anarchica e non seria e non vera e non degna alla fine che per lei si spenda una vita. Per tutti i cosidetti modernisti il momento della crisi fu quando ebbero netta coscienza del distacco ormai insanabile nei loro spiriti fra la cultura moderna e le rigide forme della Chiesa, ma mentre i più fra essi in questa luce di coscienza compirono la rinuncia ad una fede che si rivelava morta, Buonaiuti invece proprio qui, nella consapevolezza del dissidio, scoprì l'intimo insopprimibile bisogno di una fede e di una disciplina quali allo spirito moderno potevano essere imposte solo dalla Chiesa cattolica. Una fede e una disciplina: il titolo dell'ultimo libro di Buonaiuti non poteva meglio riassumere tutta la sua vita. Una fede: tutti i dubbi della cultura moderna son stati provati, tutte le tentazioni intese, anche le più radicalmente negative: ma dopo tante esperienze, che cosa ne rimane se non possono esser salvate da una fede?... E una disciplina: si marcia all'anarchia, si precipita nella folle dissoluzione se il pensiero moderno non soffre a tratti i vigorosi colpi di timone di una gerarchia religiosa organizzata. Ma se fede e disciplina son proprio quelle della Chiesa di Roma, perché allora tanto travaglio di rinnovamento e di ritrovamento? Il momento drammatico del dubbio risorge qui: con piena legittimità lo spirito critico indaga l'intimo, la storia di tutto quel che nel mondo della fede è concreto e di quanto nei rigori della disciplina è irragionevolezza di ordinamenti oltrepassati; e in questa indagine tutto si scalza e si dissolve. Ma a dissoluzione compiuta, dalle ceneri stesse dell'edificio che fu già della fede, risorge potente l'impulso a una fede e a una disciplina che dian giustificazione alla stessa distruzione compiuta. Tutto quel che di concreto e spirituale esiste nel mondo, è regno del pensiero: ma al termine di questo regno, tutto si dissolve se non soccorre la fede. Ma tutto quel che si crea con una fede è alimento al pensiero da cui risorge la fede con eterna vicenda. Ogni religione si dissolve nel pensiero, ogni pensiero si annulla innanzi alla fede: non par di sentire Giovanni Gentile? Solo, per Gentile, l'ascesa riassuntiva al pensiero è sereno anche se travagliato trionfo - per Buonaiuti l'assunzione alla fede è momento dell'angoscia sterile e della dilacerazione. E mentre Gentile, operando per il concretamento del proprio pensiero in una realtà e in un ambiente senza resistenza, trae largo, troppo largo profitto di potenza e di onori, Buonaiuti ad ogni più breve formulazione di idee cozza contro il secolare organismo della Chiesa da cui è messo al bando con una raffinatezza nelle persecuzioni ch'è senza equivalente oggi fra gli uomini laici. E nella lotta, appunto, contro la tracotanza del pensiero logistico, si svolge l'ultimo atto della drammatica avventura di Buonaiuti. Ogni residuo di modernismo è ormai del tutto scomparso nel travaglio profondo di una malattia mortale: e d'altra parte, qualunque sia stato il diretto contribuito di Buonaiuti al modernismo, solo dopo il modernismo egli ha cominciato a svolgere la parte umanamente più viva della propria esperienza. Per rivendicare l'esigenza di una fede e di una disciplina contro l'invasione dissolvitrice del logicismo Buonaiuti non ha esitato a gittare quel che in lui era l'ultimo residuo della passata eresia, la fiducia nella storia ch'egli credeva far strumento a una rinnovata convalida della religione. Fra i termini opposti cioè, in cui da anni si svolge la sua vita intima di prete audace, abituato a vivere fra tutte le contraddizioni, egli si è voluto forzare a mantenersi aderente a quello che è esigenza di una fede e di una disciplina. Ha fatto tacere in sé il critico degli svolgimenti avvenuti per affissarsi nella volontà di giustificare l'ultimo assetto dello svolgimento religioso esistente; ha affermato sì, il pensiero, ma per fargli sentire ancora una volta il limite che deve lasciarsi imporre dalla fede. E fermo in questa volontà che per lui è quasi innaturale, di rimanere avvinghiato a uno solo dei termini della sua vita intima, Buonaiuti è giunto fino a formulazioni e ad atteggiamenti estremamente sgradevoli. Ma che importa tutto questo al Santo Uffizio? Il temperamento rimane, e tanto più forte risorge la diffidenza quanto più il temperamento si piega nella contrizione. E perché mai allora la Chiesa madre si è fatta così severa verso il più prodigo dei suoi figliuoli? Sarebbe forse entrato anche in lei, così flessuosa ed umana, qualcosa della rigidezza metallica dello spirito laico? È difficile dare una risposta, sopratutto quando si pensi che nella Chiesa vi è non solo Merry del Val che scomunica, ma anche Gasparri, longanime, benigno. Certo, perché Buonaiuti potesse impunemente, nel vasto campo della Chiesa, compiere le proprie audaci evoluzioni di uomo moderno salvato dalla tonaca del prete, bisognava ch'egli non s'affissasse su alcuno degli elementi della propria vita intima: Buonaiuti non è più Buonaiuti se vuol essere tutto critico o tutto mistico: e da questa totalità più forse che dalle varie combinazioni tacciate d'equivoco sorge lo spettro dell'eresia. E abbandonando lo storicismo, fratello gemello di quel logicismo ch'egli combatteva, Buonaiuti assai difficilmente poteva poi penetrare in un altro edificio speculativo rigidamente logico: più che del tomismo, egli ha fatto delle esortazioni al tomismo. O forse anche appunto perché la sua avventura spirituale tendeva a racchiudersi in una forma che pareva costante, il Santo Uffizio par abbia voluto dare maggior serietà all'ultima fase dell'avventura, togliendole di sotto la salvaguardia di quella rete della fede per cui chi cade si salva. Strappando di dosso al prete la tonaca che gli dà immunità, la Chiesa costringe l'uomo a compiere con più coraggio e più rischio un'esperienza di cui solo dopo il termine si potrà giudicare il valore. Nell'ultimo sforzo si è così interiorizzata la disciplina ecclesiastica, che egli potrebbe operare attivamente come sacerdote, pur svincolato dalla materialità delle forme sacerdotali. Tutto questo può darsi: a un passo di S. Agostino, opportunissimamente citate da Buonaiuti nel suo ultimo libro, par quasi dare sanzione canonica a questa sua estrema irregolarità di fronte alla Chiesa. E certo è anche, in fine, che questo, fra i momenti della vita di Buonaiuti, è il più arduo e il più bello: quello da cui balenano maggiori possibilità di opere libere formulate con quella chiarezza di espressione che fino ad ora Buonaiuti si é sempre vietata. Questo sarebbe forse il momento in cui egli potrebbe svolgere per dar fondamento espresso o tacito alla propria opera di scrittore, quei presupposti del proprio pensiero che fino ad ora si è sempre data gran cura di nascondere. Potrebbe: ma assai difficilmente egli lo vorrà. Il momento della scomunica è sempre stato per Buonaiuti il momento in cui si rivela il suo infrangibile attaccamento alla Chiesa. E ha bisogno della Chiesa appunto perché lo scomunica, lo colpisce, anche ingiustamente: ma così si fa sentire. Perché Buonaiuti è prete, irreparabilmente: l'abito talare che è la rivelazione della sua debolezza, è anche l'ultima difesa a cui egli si appoggia per non esser portato a compiere un'opera di riformatore che è impossibile a chi nell'intimo è figlio e sacerdote della Chiesa cattolica. Quando anche, e può esser domani, la più terribile condanna che ancora gli resta da subire sia caduta su lui, che cosa sarà dopo? Quali altre punizioni, potrà più infliggergli la Chiesa, e come si può vivere se la Chiesa interamente si rende morta a chi per lei è morto? Appare molto dubbio che Ernesto Buonaiuti possa sopportare questo dopo: troppo è prete, la libertà in questo vastissimo campo del dopo è cosa che atterisce chi così profondamente sia sacerdote, e unica libertà in cui si possa vivere appare quella limitata dai confini della Chiesa: libertà di farsi condannare. Il momento è di una tragicità umanamente toccante, e chi non lo intende dimostra di essere ben sciavo delle proprie forme logiche, veramente alleato inconscio e servo ai padri del Santo Uffizio. Vi è un povero prete solo a cui autorità ecclesiastiche e idealisti moderni e ortodossi e atei cercan di strappar la tonaca perché diventi un uomo come tutti. E il prete si ribella e lotta perché non può divenire un uomo come tutti se quella tonaca é la forma e la ragione e la difesa della sua vita. Può darsi che il momento attuale si estenda a tutta la sua esistenza, come può darsi che Buonaiuti debba far ritorno con totale pentimento ed umiltà alla sua Chiesa: e la seconda ipotesi é sempre la più probabile. Ma qualunque sia la soluzione, certo è cosa cattiva e teppismo non richiesto aggiungere lo sforzo della propria mano a quello delle tante che cercano strappare a Buonaiuti l'abito del sacerdote. La sua condizione di uomo solo dovrebbe già bastare a suscitare la nostra generosità, come la parvenza di compagnia che gli sta attorno basta a provocare la nostra pietà. E del resto, nulla può determinare in noi, viventi nello spirito laico, una seria e meditata condanna sopra Buonaiuti. Se lo sforzo per intenderlo può esser grave, esso viene compensato poi da un arricchimento della nostra vita ed esperienza intima. Dall'intender l'avventura di Buonaiuti viene la dimostrazione della impossibilità a viver la vita moderna nell' interno della Chiesa: e questa dimostrazione è ben necessaria se essa serve in qualche modo ad equilibrare la nostra comprensione esterna ed estetica della Chiesa. Non basta sapere che dentro di questa tutto è armonia di forme rigide, e non basta nemmeno intuire come in questa rigidezza la vita umana moderna si raggeli fino a divenire, alla fine, impossibile. Bisogna anche vedere, intendere per la testimonianza arrecata dallo svolgimento intero di una vita, come tutto questo avvenga; bisogna intendere ben chiaramente, ad eliminare ogni seduzione, come la vita che si svolge ed è reale ed umana e, alla sua maniera, libera nell'interno della Chiesa, dilegui poi fino a divenire impossibile, se l'investa il serio e rigido soffio dello spirito moderno. Bisogna cioè intendere come fra Chiesa e spirito, moderno non vi sia possibilità di conciliazione e di mediazione: pena la perdita dell'intima vita dell'uno o dell'altra se l'uno o l'altra cade nella lusinga dei contatti o degli accostamenti. E non vi è possibilità di contatti, non vi è nemmeno possibilità di visione dall'uno all'altro di questi due mondi. Quando noi guardiamo coi nostri occhi la Chiesa, essi ci pare rigida e marmorea: e l'esperienza dei preti audaci come Buonaiuti ci dimostra invece quanto vi sia in essa di vivo, di libero, di adeguato all'uomo. Pure, se noi ci avviciniamo, tutta questa vita, questa libertà s'irrigidiscono allo stesso modo che la vita moderna, in cui duramente si plasma una nuova umanità di uomini liberi, appar dissoluzione e folle anarchia vista dalla Chiesa. Collocato fra l'uno e l' altro di questi due mondi, con la volontà di creare fra essi una mediazione o di lanciare allarmi dall'uno verso l'altro, Buonaiuti è la testimonianza estrema della loro inconciliabilità: di qualcosa che più forte e definitivo della stessa inconciliabilità, come di mondi che ormai son troppo lontani per poter provare lo stimolo all'unione, sia pure nella contesa; e così, schiacciato fra l'uno e l'altro, Buonaiuti ottiene solo di subire quanto dell'uno e dell'altro è più rigido e duro. E s'intende bene ora come la sua opera appare equivoca e condannabile innanzi ai più rigorosi difensori della fede o della laicità. Ma non è collocandosi dal punto di vista della rigidezza che s'intende meglio, e i nostri sistemi di valutazione vanno appunto riprovati temprandoli a giudicar le cose e gli uomini che più profondamente sembrano ripugnare ad essi. In ogni atmosfera, anche se malsana e torrida, dove si svolga una vita d'uomo e dove restin poi testimonianze di questa vita, qui è arricchimento. Ora, Buonaiuti è riuscito a vivere in una zona che è l'equivoco e l'impossibilità stessa, l'ha resa abitabile sia pure solo per sé, e ci lascia, come ora con questo suo ultimo libro, testimonianza della umanità di questa sua avventura per ogni altro, forse, impossibile. E allora la stessa irriproducibilità del suo caso par bellezza, come gli errori e gli equivoci di cui può essere intessuta la sua vita audace appaiono destinati a por meglio in risalto una commossa dolorante umanità. MAX ASCOLI
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