STATO E SOCIALISMO

    Lenin ripetendo ed ampliando le frecciate marxiste ed engelsiane contro lo Stato oppressore e, adattando alla polemica le critiche, che del parlamentarismo furon fatte dal De Greef (V. Regime parlamentarismo e Regime rappresentativo) e da altri, egli, il dittatore di uno Stato Leviathan, volle, con la sue acre polemica, dimostrare la necessità per i socialisti di distruggere lo Stato per non farlo più risorgere.

    È già negli utopisti questa idea anarchica d'uno Stato oppressore che, per scontare i suoi molti peccati, deve scomparire come negli utopisti del secolo XVIII troviamo già le critiche leniniste contro la democrazia.

    Nessuno fu più di loro acuto a sarcastico demolitore della chimera dell'égalité ed in essi troviamo criticato il sistema rappresentativo, come già si delineava in Europa e aveva vigore in Inghilterra. La democrazia era un principio buono applicato in condizioni false e, come tale, doveva dar frutti amari, fino a che i cittadini non fossero stati educati a far buon uso dei loro diritti. Quando lo Stato armonico fosse stato effettuato, a che avremmo dovuto perderci nelle frascherie democratiche, se la virtù era incarnata nella Communauté, la quale, avvertiva il Bazard (Doctrine de Saint Simon, pag. 214 e segg.), avrebbe potuto infliggere pene severe "aux propagateurs de doctrines antisociales", non per vendetta, ma per... educarli e "pour les soustraire à l'animadversion publique"? Così la Chiesa bruciava - per loro bene - gli eretici e cosí, ai giorni nostri, vi sono agenti, che arrestano i bastonati per... sottrarli all'animavversione dei bastonatori!





    Par di sentire il linguaggio leninista, quando sentiamo le rampogne del Fourier contro "le gouvernement représentatif, chimère favorite des philosophes", i cui benefici non possono sentirsi che dopo un "progrès réel" dopo cioè la riforma sociale. Son troppo note le idee ultraindividualiste e antistatali del Proudhon per doverle ricordare, sebbene esse sian dimenticate da coloro, i quali sono così facilmente disposti a credere al verbo leninista, così simile al sindacalismo federalista del Proudhon.

    Lo Stato non ha subito mai così ponderosi assalti come dalle varie scuole socialiste dell'utopismo.

    Anche per quel che riguarda la concezione dello Stato v'è divergenza tra il socialismo premarxista ed il postmarxista, tanto nel primo quanto nel secondo è l'idea che, una volta posta la società su basi più umane, non vi sia più bisogno di uno Stato, ma, per giungere a quel punto, il primo esagera troppo ed il secondo deprezza troppo la influenza dello Stato. Louis Blanc (introduzione all'Organisation du travail vuole ad esempio "un gouvernement fort, parce que dans le régime d'inégalité où nous végétons encore il y a des faibles, qui ont besoin d'une force sociale, qui les protège". Lo Stato, in altre parole, non è il rappresentante d'una classe, ma, siccome è l'armonica espressione d'una società contrattualista, dovrebbe fare ciò che oggi non fa e che dovrebbe fare.





    Ma per Louis Blanc questo intervento statale sarebbe provvisorio, e inutile, quando non vi saranno più classi inferiori e superiori; allora, aggiunge il Proudhon, lo Stato non avrà ragione d'essere, perché non avrebbe più alcuna funzione da esercitare e si immobilizzerebbe in una autocrazia immorale. Uguale tendenza si può trovare nella scuola fourierista e nell'Owen: lo Stato, anche se rappresentato dal Re di Francia, doveva, per filantropico sentimento, intervenire con la sua forza a sanare le piaghe sociali e poi ritirarsi e lasciare che l'Umanità, vivesse libera con le sue passioni, che, nel regime armonico futuro, saranno stimoli a felice progresso e non a lotte fraterne.

    É la teoria del miracolo sociale, che non è tanto lontana da certo socialismo riformista e rivoluzionario attuale. Inutile avvertirne tutta la incongruenza. Oggi che lo Stato è così com'è, per le condizioni economiche da cui dipende, dovrebbe essere come dovrebbe essere, e domani, quando esso potrebbe finalmente essere come dovrebbe essere, e svolgere quelle funzioni integrative della libertà individuale, che oggi non può svolgere; allora appunto dovrebbe cessare d'essere. Perché? Perché non vi sarebbero più classi...; ma allora, se lo Stato è un prodotto della lotta di classe, è un fatto economico e non una esigenza morale, han ragione i marxisti rigidi a gli anarchici nel condannarlo oggi e sempre e nel non chiedere a lui ciò che non può certo dare. Invece gli utopisti tutto attendevano da lui, anzi, col Vidal, volevano "réhabiliter l'idée de pouvoir dans l'intérêt de l'ordre et de la liberté" (Repartition de richesse; pag. 40) giacché, con uno Stato indifferente, si giunge ad una libertà cieca, che permette il trionfo dell'egoismo, "de la force sur la raison et sur le droit, à la domination de quelques intérêts particuliers, des intérêts de la minorité".





    Ma lo Stato, che questi utopisti delineano, è un parto della loro fede, che quindi di questa fede doveva vivere e farsi difensore, fino a diventare, per la convinzione d'essere l'espressione d'una verità assoluta, tiranno delle libertà individuali e coercitore d'ogni volontà. Tal quale é accaduto ai comunisti russi; i quali, nel loro fanatismo, son giunti a crear quella loro scienza comunista, la Politgràmota, che impongono chiesasticamente a tutte le scuole.

    "La Communauté - scrive il Cabet (Voyage en Icarie, pag. 403) - impose nécessairement des gênes et des entraves, car sa principale mission est de produire la richesse et le bonheur..." e perciò "il faut qu'elle soumette toutes les volontés et toutes les actions à sa règle, à sa discipline".

    Lo Stato del Cabet è lo Stato incarnatore della virtù, come quello hegeliano e quindi può essere condotto a questi estremi, non dovendo, per sua natura, rispettare nessuna libertà umana a lui preesistente nell'uomo.

    Il quale riceve quindi la sua libertà dalla e nella società, non l'ha per sua natura, giacché, se così si credesse si giungerebbe, secondo il Pecqueur (Des amèliorations matérielles, pag. 166) all'assurdo che l'uomo avrebbe "sa plus grande puissance dans l'isolement". E' assente ogni vero concetto della libertà, da questi argomenti, che si trastullano con l'uomo empirico, il quale anzi, come tale, non è libero, e ignorano affatto l'uomo, come essere di ragione che è in sé libero, appunto perché ragionevole. Si confonde l'uomo persona con l'assurdo uomo pre-sociale; come del resto fanno tutti coloro che chiamano individualista la morale kantiana.

    Per il Pecqueur, il Saint Simon, il Vidal, la società crea la libertà dell'uomo, mentre la società d'esseri non liberi non può far liberi coloro a cui, nello stesso tempo e secondo gli stessi principi seguiti dai suddetti riformatori, toglie parte dei loro diritti, per assicurar loro l'uso degli altri. Fu più acuto il Proudhon, il quale affermò che la libertà dell'uomo preesiste nell'uomo, come tale, che lo Stato deve togliere gli ostacoli e creare i mezzi favorevoli al suo continuo manifestarsi, riducendosi ad un minimo di funzioni fino ad annichilirsi.

ALFREDO POGGI