LA CRISI BRASILIANAIl Brasile attraversa una grave crisi dalla quale non si intravede come e quando possa uscirne: crisi politica, crisi economica, crisi finanziaria: risultati di errori e di imprevidenze dissipatrici. Il governo della repubblica si sente minacciato nella stessa capitale federale e vive alla giornata mercanteggiando la fedeltà della polizia e degli ufficiali superiori dell'esercito e della marina. Ridotto ad una logora corteccia di apparenze il governo resiste più col denaro delle facili corruzioni che con l'autorità del proprio prestigio. Stato d'assedio, censura sulla stampe, vigilanza poliziesca lungi dal sanare la situazione l'aggravano. Le voci più allarmiste trovano facile credito fra la popolazione, politicamente assente, rassegnata, spaurita e passiva spettatrice delle contese, dell'indisciplina, delle congiure offerte dalle forze armate dello Stato. Il presidente Arturo Bernardes, temendo un attentato, vive segregato nel palazzo del Cattete circondato da un abbondante cordone di fidate guardie di polizia. Benché tra il palazzo e la strada vi sia un vasto giardino cintato, il passaggio, lungo la strada che fiancheggia la residenza presidenziale è proibito ai pedoni ed ai veicoli. Le truppe fedeli al regime danno scarso affidamento di combattività e si teme che a contatto dei ribelli si sfaldino fuggendo o andando ad ingrossare le file avversarie. I generali inviati all'inseguimento delle forze ribelli comandate dal generale Isidoro Lopez hanno creduto esaurita la loro missione alle frontiere dello Stato di San Paolo e sono rientrati trionfanti agli ozi tranquilli delle città annunziando che i rivoluzionari erano stati schiacciati e dispersi. Ma pochi giorni dopo si apprendeva che il generale Lopez, entrato indisturbato nello Stato di Paranà, procedeva a nuovi arruolamenti ed annunciava un ritorno offensivo nello Stato di San Paolo. Il governo della repubblica, non sapendo più a qual generale affidarsi, si é rivolto al generale Candido Rondon, tutore delle popolazioni indiane, e lo ha incaricato di distruggere i ribelli. "L'impresa - mi diceva melanconicamente il generale Rondon alla vigilia della sua partenza - non è tanto facile perché la ribellione cova dappertutto. Non sappiamo con precisione dove si trovi il generale Lopez, quali forze abbia e quali intenzioni nutra. Si sa solo che si trova nel Paranà ma il Paranà ha l'estensione di due terzi d'Italia ed è senza ferrovie e senza strade". Da qualche giorno sono tornati nello Stato di Minas duemila soldati che avevano partecipato alla passeggiata nello Stato di San Paolo: sono ritornati a riposarsi ed a godersi i frutti del bottino razziato nelle case private. Ma. se San Paolo è apparentemente tranquilla un nuovo, vasto focolare rivoluzionario si accende nello Stato di Rio Grande do Sul con l'improvvisa ribellione di tutte le forze militari e poliziesche finora fedeli al governo federale. Queste rivoluzioni, frequenti nello Stato di Rio Grande do Sul, immiseriscono le campagne, paralizzano i traffici, scompigliano la vita economica, schiudono tristi cronache di speculazioni, di violenze, di rappresaglie e di ruberie. A Rio de Janeiro si attende di giorno in giorno qualche sorpresa. Un mattino la città si desta al rombo del cannone. Non si tarda ad apprendere - perché la censura non riesce a soffocare il fatto clamoroso avvenuto nella stessa capitale - che gli equipaggi di un incrociatore e di una controtorpediniera si sono ammutinati. I forti di Rio aprono il fuoco sulle navi ribelli. La popolazione spaurita si ritrae nelle case; le strade diventano squallide e deserte; il rombo del cannone ha bruscamente interrotto il ritmo della vita cittadina. La controtorpediniera Goyaz si arrende ma l'incrociatore San Paolo, quello stesso che sei settimane prima aveva condotto il nostro ambasciatore Pietro Badoglio ed il ministro brasiliano degli esteri ad incontrate il principe Umberto nelle acque di Bahia, parte per ignota destinazione. Vi è un senso di smarrimento e di disgregazione nei pubblici poteri consunti moralmente da decenni di corruzioni. Le oligarchie politiche, isolate dal popolo e male assise sul disordine amministrativo, vacillano sotto l'urto di nuove cupidigie. Lo Stato dell'Amazzone, dopo alcuni mesi di una caotica e incruenta rivoluzione compiuta da ufficiali inferiori dell'esercito e della polizia, confessa la propria impotenza a darsi un governo ed invoca l'intervento federale. Singolare rivoluzione quella di Manaos. Da parecchi anni il governo dell'Amazzone era considerato quasi un feudo della famiglia Rego Monteiro e dei suoi amici. Le malversazioni non avevano limiti; l'erario veniva dilapidato; i funzionari dello Stato da dieci mesi non percepivano più lo stipendio. Scoppiata la rivoluzione tutti i beni mobili ed immobili del governatore Rego Monteiro, compresi gli abiti di sua moglie e delle sue figliuole, vennero messi all'asta pubblica ed il ricavato venne distribuito fra i funzionari come acconto sugli stipendi arretrati. Alle convulsioni rivoluzionarie, ai pubblici mercati delle leggi e della giustizia corrisponde una situazione economica tutt'altro che prospera e solida malgrado le ricche risorse del paese e le vaste possibilità di sfruttamento ch'esso potrebbe offrire ad una saggia e sana amministrazione. "La nostra intera vita economica - scrive il brasiliano Alberto Torres - riposa sopra i monopoli, i privilegi, gli azzardi, le eventuali valorizzazioni, sopra operazioni aleatorie, favori, speculazioni...". Una vita economica alla giornata con le imprevidenze, con le dissipazioni, con le corruzioni dei politicanti, con gli sperperi amministrativi, con le speculazioni, gli accaparramenti, i giuochi delle predominanti banche straniere. I governi che si succedono hanno per principale obiettivo la distribuzione di illeciti favori alle loro fazioni. Non vi è un organico disegno costruttivo lungimirante. Senza l'intervento di capitali e di iniziative straniere il Brasile avrebbe ben poche ferrovie e pochissime industrie. La sola Inghilterra ha impiegati in compagnie industriali e servizi pubblici 114 milioni di lire sterline ed in prestiti federali, statali e municipali 141 milioni di lire sterline. Gli Stati prodigano non poco denaro nelle apparenze festose delle principali città. Rio de Janeiro, con le sue ampie e belle avenide, con la luminosa collana di perle dei suoi globi elettrici offerti all'oceano, con la sua opulenza, coi suoi diecimila automobili vi sembra, malgrado le sue brutte architetture, l'espressione di un ricco e bene organizzato tessuto economico. Ma non tardate ad accorgervi che è un errore trarre dalla grandiosità delle opere compiute a Rio un'immagine rappresentativa del grado di sviluppo e di progresso del paese. La capitale è un'incrostazione illusoria su un paese ancora primitivo per grandissima parte. Andate alla stazione ferroviaria di Rio de Janeiro e non comprendete perché si è speso e si spende tanto per la manutenzione di alcune avenide di lusso mentre meschino, sudicio, disordinato rimane l'edificio della stazione quasi a dirvi che qui finisce l'appariscente mantello della città e si apre la porta effettiva sull'interno del paese. Le strade carrozzabili in Brasile sono rarissime; le ferrovie disorganiche, non collegate o mal collegate fra loro, in parte tracciate a gomiti per la via più lunga per sfruttare i sussidi chilometrici governativi, con materiale mobile insufficiente. Non vi è strada carrozzabile neanche tra Rio de Janeiro e San Paolo. Il mezzo più comune di locomozione nell'interno é la cavalcatura. Nello Stato di San Paolo, il più progredito, proprio in questi giorni si abbatte una carestia di viveri e la capitale e le città interne devono importare il riso dall'estero, e pagarlo attraverso la sfrenata speculazione intermediaria sei lire al chilo, mentre a cinquecento chilometri dalla capitale, sulla linea ferroviaria della Naroeste, quattrocentomila sacchi di riso deperiscono e non possono essere trasportati ai centri di consumo per mancanza di locomotive, di vagoni e... di strade carrozzabili. Le finanze della Federazione, a differenza di quelle degli Stati che traggono il loro principale alimento dai dazi di esportazione, si basano in gran parte sul gettito delle dogane. Il protezionismo domina in tutti i campi dell'attività brasiliana. Le industrie, favorite da larghe concessioni, da esenzioni di tasse e da enormi dazi di entrata sui concorrenti prodotti esteri, realizzano lucri enormi. La dissennata politica protezionista brasiliana pesa duramente sulla grande massa dei consumatori condannata a spogliarsi, in questo esoso mercato chiuso, per arricchire avventurosi e poco scrupolosi industriali. Il colono è la principale vittima, condannata a fare le spese di parecchie, protette industrie usuraie, non ultime quelle tessili. Lo Stato di Minas ha fatto delle ferrovie uno strumento protezionista, anche verso gli altri Stati dell'Unione Brasiliana, a profitto dell'agricoltura e delle poche industrie locali. I generi di importazione sulle ferrovie centrali pagano per tonnellata-chilometro un terzo di più dei generi di esportazione. Per alcune voci le differenze sono assai più sensibili e la tariffa di importazione giunge a superare perfino quattro volte quella segnata per l'esportazione. Le tasse indirette sono le più sviluppate e ricadono quasi esclusivamente sulle classi disagiate. L'agricoltura, che è la più redditizia delle industrie brasiliane, è stata esclusa dalla tassa sulla rendita e parecchie industrie, benché prospere, ottengono esenzioni di imposte. Durante la guerra il Brasile fece ottimi affari con gli Stati belligeranti alleati. Dal 1915 al 1918 il saldo medio della bilancia commerciale visibile fu di 17 milioni di lire sterline e nel 1919 salì a 52 milioni di lire sterline. Malgrado queste favorevolissime condizioni della bilancia commerciale la Federazione e gli Stati hanno continuato a far debiti esteri, la circolazione cartacea (con minima riserva aurea) è salita a due milioni e mezzo o a tre milioni di contos di reis (un contos di reis corrisponde a 2.700 lire italiane). Nessuno sa dire con precisione quale sia l'emissione cartacea - e questa è un'altra caratteristica delle finanze brasiliane - che viene fatta oscillare fra queste due cifre, cioè, al cambio odierno fra sei e mezzo ed otto miliardi di lire italiane. Il cambio ha segnato un continuo peggioramento: il prezzo del dollaro nordamericano è salito da tre milreis nel 1913 a 5 nel 1920 a 8 nel 1922 a 9 oggi. Governo federale e governi statali si trovano a corto di quattrini: l'estero preoccupato per la sorte dei prestiti già fatti non si mostra disposto a farne di nuovi e quanto ad un prestito interno le difficoltà sono anche più grandi sia per la poca fiducia che ispirano i governi, sia per la scarsezza del risparmio privato che rifugge, comunque, dagli impieghi in titoli di Stato di minor reddito degli impieghi privati che danno un interesse normale dal 12 per cento in su. Il Brasile si trova in gravi imbarazzi nel pagare i suoi impegni esteri che ascendono ogni anno a trenta milioni di lire sterline. La missione inglese presieduta da Montagu e dal direttore della Banca d'Inghilterra venuta a studiare la situazione economica e finanziaria del Brasile, per invito del Presidente della Repubblica che sperava di ottenere, dopo questo esame, un nuovo prestito, ha steso una relazione che non è riuscita gradita ai Brasiliani malgrado il tono di cortesia che incorniciava le caute constatazioni della realtà e gli energici consigli risanatori proposti. La relazione della missione inglese rileva i preoccupanti squilibri del bilancio, ritiene che al momento attuale debbano essere evitate le spese per grandi lavori pubblici, consiglia la diminuzione dell'enorme numero di funzionari pubblici e la severa repressione delle corruzioni. "Il servizio pubblico - dice la relazione - non sarà mai efficente senza impiegati ben rimunerati e senza giustizia nelle promozioni che debbono essere libere da influenze politiche". L'imbarazzante situazione finanziaria del governo deriva, secondo la relazione, dalle condizioni del suo debito fluttuante, conseguenza di una serie di bilanci in deficit e del sistema di realizzare grandi lavori pubblici senza i relativi stanziamenti e di pagarli con titoli a breve scadenza. La missione inglese ha suggerito la vendita o l'appalto dei beni patrimoniali dell'Unione: ferrovie, imprese di navigazione, azioni del Banco del Brasile per ridurre, con queste risorse, l'importo del debito estero. Ha proposto inoltre il lanciamento di un prestito interno, contemporaneo ad uno esterno, poiché una felice operazione interna si rifletterebbe sul credito del Brasile come dimostrazione dello sforzo di riscattare gli impegni con le stesse forze nazionali. Con queste due operazioni - esterna ed interna - si consoliderebbe il debito fluttuante. Ma la relazione, dopo aver rilevato che il credito del Brasile è rimasto scosso all'estero dal fatto che Stati e Municipi non hanno fatto fronte ai loro impegni, consiglia che il governo federale si pronunci sempre in caso di nuovi prestiti municipali e statali, dando l'avallo morale solo quando il progettato prestito sia degno di approvazione. Al marasma economico e finanziario si sono aggiunte le convulsioni rivoluzionarie, la lotta delle fazioni militari, le competizioni armate per la conquista del potere. Il paese è profondamente ammalato in tutti i rami dell'organismo statale e la sua salute non risiede certo nelle confuse sedizioni militari, promosse da clan politici di non altro preoccupati che delle loro cupidigie e delle loro ambizioni. LUCIANO MAGRINI
|