LA NUOVA ECONOMIA EUROPEA
Conosciamo pochi libri che diano la sensazione delle ultime novità europee, come quello di Richard Lewinsohn: "Die Unschichtung der europeischen Vermögen", "La trasformazione della ricchezza europea", pubblicato giorni fa dal Fischer di Berlino. Ne consiglieremmo la lettura ai nazionalisti italiani: ma i nazionalisti italiani leggono solo libri di Parigi, e ne aspetteranno la traduzione in francese, che è la loro lingua madre. Il Lewinsohn è un economista, figlio d'Israello, come il suo nome dice: non si occupa esplicitamente di politica. Tiene dietro alle peripezie dei "trust", dei "Konzern", spiega in quale modo Schneider-Creusot venisse ad essere congiunto per interessi con Stinnes, racconta la storia dei tre fratelli ebrei Cyrut che nel 1920, (in una mattina di primavera...) partirono da Costanza sul Mar Nero per le borse di Occidente, Filippo a Parigi, Marcello a Bucarest, Emilio a Berlino, e diventarono gli agenti delle grandi scalate bancarie di Stinnes, di Bosel, di Michael; racconta dei grandi banchetti che Otto Wolf, il plutocrate democratico tedesco, dava al presidente del governo prussiano nel suo hôtel Einsiedler a Potsdam, e dei grandi ricevimenti che il Gluckstadt, il plutocrate cortigiano danese, offriva al re di Danimarca, e all'ex-zarina di Russia per tentare di salvare col loro tacito avallo, le precipitanti sorti della Landsmannbank: e più, statistiche e dati, calcoli continui di valute e informazioni di ipertrofici aumenti di capitale. Da tutte queste avventure di popoli e di uomini, il Lewinsohn, economista, non trae conclusioni politiche; eppure, dalla storia della trasformazione della ricchezza europea le conclusioni politiche derivano chiare, limpide, spontanee.
Riassumiamo.
I tre grandi puntelli della "conservazione", dell'"ordine", nel 1914, erano, in tutta Europa, questi:
1 - I ceti dei risparmiatori e dei reddituari, legati allo Stato dai coupons della rendita;
2. - Le grandi famiglie dell'industria pesante, legate allo Stato dall'interesse agli armamenti;
3. - La aristocrazia terriera, legata allo Stato dal latifondo o addirittura, dal fidecommesso.
Or, dopo dieci anni di inflazione di valuta e di consumo di ricchezza, si vede come questi puntelli siano stati logorati tremendamente.
IL CETO DEI REDDITUARI E L'AFFLUENZA ALLE BORSE
Il ceto dei reddituari, che si rifugiavano quasi esclusivamente sui titoli di Stato, era potentissimo in Francia, dove diede le ultime prove delle sue enormi capacità, sottoscrivendo 50 miliardi di prestiti di guerra e 70 miliardi di prestiti di ricostruzione. Il borghese francese non si arrischiava sul titolo industriale: la sua fiducia nella consistenza del franco era immensa: ne veniva che tutti i risparmiatori francesi erano in politica conservatori, con - tutt'al più - una tinta di anticlericalismo. I fondi di Stato erano, per la borghesia francese, ciò che la grande proprietà fidecommissaria era per gli Junker prussiani: e col regime matrimoniale del figlio unico, il fidecommesso funzionava, nonostante il Codice di Napoleone. Durante la guerra, questo regime e questa psicologia conservatori hanno un primo colpo enorme: la volatizzazione dei titoli russi. Nel dopo guerra, la svalutazione del franco, culminata nel panico della primavera del 1924, porta il secondo colpo. Il risparmiatore francese "scottato" una prima volta con titoli di Stato russi, una seconda volta con titoli di Stato francesi, si precipita sulle azioni industriali. La cartella del consolidato cede lo scettro della Borsa di Parigi. Neppure alla più grande impresa metallurgica del paese, Schneider-Creusot, riesce di collocare obbligazioni a reddito fisso. Quello stesso pubblico, che dieci anni fa spasimava per il reddito fisso, ora affronta l'alea. Trasformazione finanziaria, che presuppone e provoca insieme un enorme mutamento di abitudini e di concezione della vita. In certo senso, un ringiovanimento. Il borghese francese è meno legato di prima al sistema di idee conservatore. La restaurazione monarchica, che doveva essere offerta come una specie di garanzia suprema ai borghesi conservatori e detentori dei titoli di Stato, è un sogno svanito. Il borghese compra azioni della Societé Genérale d'entreprise, non è più conservatore, da aver bisogno della restaurazione. Come Loucheur e come Caillaux, è uomo di sinistra.
In Germania, prima del '14, il ceto dei reddituari su titoli di Stato si andava lentamente formando, fra gli allarmi dei democratici e degli imperialisti (Max Weber) i quali capivano che sarebbe stato la remora più forte al rinnovamento sociale del paese. La guerra, e lo svuotamento del marco, lo spazzarono via. Il borghese tedesco ha, oggi, orrore del titolo di Stato. Bisogna leggere nel Lewinshon la descrizione del modo con cui il pubblico tedesco prese confidenza colla Borsa: l'emozione dei funzionari, dei militari, dei ceti tradizionalmente immobili nella devozione alla monarchia e allo statu quo, quando cominciarono a dar la caccia anch'essi ai titoli pesanti, come la "Bochümer Verein": un titolo, dice il Lewinshon, "fino tuttora mai toccato dai profani". E non c'è da sbagliare. Un funzionario o un militare che corre dietro alle Bochümer Verein non è più un "fedel servo del suo signore". Certe sere del '22, era impossibile ottenere comunicazione telefonica da Berlino con una località della Marca o della Pomerania: tutto preso. Erano i proprietari agrarii, i nobili di provincia che dal fondo dei loro ex-Rittergutbesitzungen, dalle loro proprietà fide-commissorie, davano gli ordini agli agenti di cambio. In queste occupazioni finì la nobiltà prussiana, che aveva creato, colla sua mentalità esclusivamente agraria, il rocher de bronze della monarchia. Si capisce, ora, perché la restaurazione degli Hohenzollern non sia ancora avvenuta.
I NUOVI CAPITANI DEL CAPITALE INDUSTRIALE
Fino al 1914, l'industria degli armamenti è in mano a grandi famiglie, sorte press'a poco contemporaneamente alle monarchie costituzionali. Eugène Schneider va a Parigi nel 1825; Alfred Krupp aziona la sua prima fonderia nel 1820; gli Stumm, nel territorio della Saar, sono i più antichi, hanno già delle fonderie nel XVIII secolo; Emil von Skoda fonda la sua prima officina boema proprio negli anni in cui Francesco Giuseppe dà la Costituzione. Sono, dunque, famiglie antiche: tutte legate alla aristocrazia fondiaria: gli Schneider sono prima devotissimi al Secondo Impero, poi accettano la Repubblica, e finiscono - nel 1923 - per imparentarsi coi Borbone; l'erede di Krupp sposa un von Bohlen; gli Stumm sono una dinastia di ambasciatori e di ministri, più ancora che di industriali; gli Skoda si congiungono con famiglie magnatizie di Ungheria.
Per capire lo sviluppo delle aziende rispettive, bisogna studiare l'albero genealogico delle famiglie; l'industria procede ancora pacatamente, i Consigli di amministrazione sono un po' Consigli di famiglia, ci sono delle fasi di arresto perché quella tale generazione di Krupp o di Schneider non dà la testa quadra che ci vuole, o perché l'impresa cade in eredità a donne e a generi che non se ne intendono. Si capisce quale formidabile elemento di conservazione politica siano queste famiglie; quale deposito di tradizioni, quale ostacolo ad ogni innovazione. Il dominio della Banca e della Borsa le urge poco. La maggior parte del capitale azionario forma l'asse patrimoniale della famiglia ed è sottratto alle razzie e alle scalate; la sicurezza della trasmissione per via di eredità dà una consistenza dinastica alle intraprese.
Tutto ora è trasformato. La guerra e il dopo guerra hanno battuto in breccia non solo le dinastie politiche, ma anche quelle siderurgiche. Resiste un po', ancora, la dinastia Creusot in Francia, per le qualità eccezionali di Eugène Schneider; ma ha il passo fortemente contrastato dal Comité des Forges e da De Wendel, un nuovo arrivato, un parvenu. Krupp ha perduto significato dinanzi ai nuovi fenomeni della vita industriale tedesca. Stumm e Skoda sono stati spodestati dallo Stato francese e dallo Stato boemo, in condizioni che non mancano di drammaticità: rileggere gli ordini del generale Gérard che sequestra, in Base al Trattato di Versailles, tutto il patrimonio secolare degli Stumm, concentrato mirabilmente nel Bacino della Saar, e li manda a farsi pagare dalle casse di Berlino... in marchi deprezzati!
Subentra nel dopo guerra un altro stato maggiore della grande industria. Questo manca di ogni assise tradizionale, non rappresenta più nessun conservatorismo famigliare o statale. Non ha passato. Anche quando riesce a "creare ", e non soltanto a "negoziare", non lascia eredità. Le vicende del capitale industriale diventano rapide come quelle del capitale finanziario. Stinnes fu un uomo, in parte dell'antico regime, pre-1914: era figlio di una vecchia famiglia di magnati della Ruhr. In parte fu uomo dei tempi nuovi, post-1914; la parabola del suo Konzern fu rapidissima, limitata al periodo dell'inflazione. Gli italiani credono che Stinnes sia l'ultima parola dell'industria tedesca; e sono indietro di due anni almeno. Oggi i due uomini più interessanti di Germania sono Otto Wolff, l'industriale che sfruttò economicamente il trattato di Rapallo fra Germania e Russia; e Jacob Michael, il profittatore della reintroduzione del marco-oro. In Austria, Bosel.
Tutti i paesi hanno nomi e astri nuovi, che ardono qualche anno sull'orizzonte, poi via. La stabilità delle antiche dinastie è scomparsa dall'industria e dalla Borsa per sempre. Parecchi sono coloro che arrivano alla ricchezza, attraverso la politica: vere creature del suffragio universale. Il fenomeno era antico in Francia, il paese, appunto, del suffragio universale: dei nostri giorni, i fratelli Cambon, ex-ambasciatori, lo hanno brillantemente riprodotto. Ma tutta Europa è oggi paese di suffragio universale; ed ecco l'ex-ministro prussiano Hugo Preuss che, a cavallo della Costituzione di Weimar, entra nei Consigli di amministrazione di Bosel, e Korfanthy, che a cavallo del plebiscito di Alta Slesia diventa grande industriale, e si impadronisce d'accordo col capitale francese, delle miniere e degli alti forni di Kattowitz e di Laurahütte, ch'egli ha, con la sua abilità di demagogo, fatto attribuire alla Polonia col voto dei minatori. Gli Stumm, gli Skoda, i Krupp erano diventati nobili e ministri attraverso la grande proprietà industriale, mantenuta per generazioni; i Cambon, i Preuss, i Korfanthy diventano milionari siderurgici attraverso le vicende parlamentari, e sopratutto, con le benedizioni del suffragio universale.
Tutto ciò porta a un nuovo indebolimento delle tradizioni sociali conservatrici, in tutta Europa. I nuovi capitani di industria sono più spregiudicati, più liberi di movimenti, e sopratutto più caduchi. L'industria europea si americanizza anche nel ritmo delle fortune individuali: e questo corrisponde ad una americanizzazione dell'Europa nella vita spirituale e nella vita politica. Castiglioni e Stinnes hanno potuto condurre la lotta di classe con spietatezza: difatti, sono stati tutt'e due accaniti sostenitori del ritorno alla giornata di dieci ore. Ma conservatori non furono, come lo furono invece, ai loro tempi, Alfred Krupp, Carlo Ferdinando Stumm capo dei Freikonservativen nel Reichstag, e tutti gli industriali delle dinastie del secolo scorso. Manca ai nuovi il pathos del conservatorismo, manca l'attaccamento ad ogni patrimonio di tradizioni: sono agli antipodi spirituali dell'antico regime, fondato sull'aristocrazia e sulle monarchie ereditarie. Vedono il mondo, presso a poco, come Rockefeller lo vede in base alla sua educazione e alla sua esperienza di americano: e ciò spiega come praticamente si adattino alla repubblica, e al regime del suffragio universale.
LA PROPRIETÀ TERRIERA PRIMA DELLA GUERRA
Noi italiani difficilmente riusciamo a comprendere quale importanza conservatrice avesse la grande proprietà del Centro Europa prima della guerra europea.
Diciamo spesso, che in Italia, non c'è aristocrazia: ed abbiamo ragione in questo: che la aristocrazia è di sua natura terriera, si ràdica sul fondo; è terriera, o non è; e quando il grande possesso fondiario è scomparso, rimane il patrizio urbano, che è un'altra cosa: e questo abbiamo in Italia. Ma anche la aristocrazia forma una internazionale; la più antica di tutte. La nobiltà storica italiana, come quella francese, sono un ramo del grande albero della aristocrazia europea, un ramo malandato, se si vuole, ma sempre alimentato da certi succhi nascosti, sempre dipendenti dalle sorti del ceppo centrale.
Il ceppo era ancora saldamente piantato nel mezzo dell'Europa; il ceppo germanico, feudale, terriero, donde tutte le grandi famiglie europee sono discese, vigoreggiava indisturbato, sui suoi latifondi della Germania Oltrelbica, di Boemia, di Ungheria e dei Paesi Baltici. Le sue grandi piazzeforti politiche erano la Camera dei Signori prussiana, la Camera Magnatizia di Ungheria, le Diete di Estonia, di Curlandia, di Livonia: questi erano ancora gli ultimi "parlamenti di nobili" nel senso intiero, feudale del termine.
Ma le basi economiche erano ancora più imponenti.
Alla testa della grande proprietà fondiaria europea, e quindi della nobiltà europea come ceto sociale, c'erano le dinastie degli Stati federali tedeschi, vagina di principi consorti e di principesse da marito, intrecciate con connubii o per comuni discendenze con tutte le Corti e tutte le aristocrazie europee. I principi sovrani della Confederazione tedesca possedevano, da soli, 400.000 ettari di dominii, di cui 150.000 pertinevano alla Corona di Prussia, 90.000 al Granduca di Meklemburg-Strelitz, il più grande proprietario di foreste del Continente; e il resto, variamente spartito. Questo era il grande asse patrimoniale, derivante dalla ripartizione feudale.
Attorno ad esso, in Germania, prosperava la grande proprietà fondiaria degli Junker, vincolata in buona parte a regime di fidecommesso inalienabile: vero rocher de bronze non solo della monarchia prussiana, ma di tutta la costituzione politica e sociale europea. Nella Prussia Orientale e in Posnania, il 60% della superficie del suolo era in mano alla nobiltà terriera. Nell'Alta Slesia, quasi la metà della provincia era proprietà di 54 nobili: un quarto del paese apparteneva a 6 Magnati. L'Alta Slesia era il paradiso della grande proprietà. I nomi dei Donnersmarck, degli Hoenlohe, dei Pless, dei Rabor, dei Tiele-Winkler, evocano distese sterminate di foreste, enormi riserve di caccia, una organizzazione di vita rurale e una ristrettezza di vita cittadina come noi abbiamo pena a concepire. Pare talvolta a molti che l'Europa, nel '14, fosse più "democratica" di oggi, perché Jaurès la dominava colla sua eloquenza, e la socialdemocrazia era nel fiore delle sconfinate speranze. Errore. In realtà dietro a Jaurès e a Bebel, c'era ancora, nella provincia tecnicamente più progredita di Germania, a poche ore di treno dalla socialdemocratica Berlino, un uomo che partiva alla mattina per la caccia, fra l'ululo delle mute e il suono delle centinaia di corni, e batteva per delle giornate intiere le foreste, senza uscire dal suo: un "privato", che aveva il diritto di essere chiamato. "Altezza Serenissima", dall'Imperatore di Germania suo ospite, e di stare a capo coperto quando l'Imperatore gli rivolgeva la parola; tale quale come l'"adelingo", barbarico dei Carolingi e dei Sassoni; e pur viveva nel secolo ventesimo, era il Principe di Pless, o il Duca di Ujest, o qualchedun altro grande magnate terriero dell'Alta Slesia. Tali contrasti offriva l'Europa nel '14. Molti non li vedevano. In Italia poi, i sovversivi credevano che fosse alla vigilia della Repubblica sociale, perché gridavano la rivoluzione per le strade di Romagna; come ora credono che sia alla vigilia della "restaurazione integrale" perché essi, quelli sovversivi, si son messi a gridare, per le stesse strade di Romagna, viva la forca. No: l'Europa è più vasta, di quanto i sovversivi italiani non pensano: essi sbagliano ora, come sbagliavano allora.
In Boemia, su una superficie di circa 500 milioni di ettari, la terza parte era in mano di 150 famiglie nobili, quasi tutte di razza tedesca. Primo il principe di Fürstemberg, che da solo possedeva il 3,4 per cento di tutta la Boemia; poi il principe di Liechtenstein, i Coburg-Kohari, i Colloredo-Mansfeld, i Clam-Gallas, e via via tutte le grandi famiglie della Corte absburghese, legate per parentela alle Case regnanti di Germania, e a non poche grandi famiglie italiane e francesi. E si noti: la Boemia, ben prima del 1914, era già uno dei paesi più progrediti d'Europa, come sviluppo industriale; anche qui la nobiltà dominava tutta una regione di immenso avvenire economico, possedeva la maggior parte delle miniere e delle disponibilità in materie prime.
Quello che fosse la grande proprietà in Ungheria e in Polonia, non è il caso neppure di ricordare. In Rumenia, la nobiltà possedeva circa la metà del territorio nazionale: e questa enorme riserva di latifondi era uno dei pozzi di San Patrizio in cui attingeva la nobiltà francese, in ispecial modo, per via di matrimonii; infatti, non meno di una trentina di eredi dei "gospodar" balcanici incanalarono le rendite dei petrolii e grano rumeni verso l'Occidente, liete di poter avallare la dubbia chiarità del sangue valacco con un gran parentado registrabile nell'Almanacco di Gotha. Basti citare, per tutti i casi, quello di Madame de Noailles, la più elegante poetessa francese, figlia di un latifondista rumeno.
Più interessante ancora, per le sorti di tutta la nobiltà europea, la grande età baltica. In Estonia, circa il 70 per cento dei paese era a regime di latifondo; in Lettonia, quasi il 60 per cento; in Lituania, quasi il 50 per cento. Di queste enormi estensioni di terreno arato e di foreste, erano proprietari i cosidetti "baroni baltici"; un ramo della nobiltà tedesca, discendenti o dai cavalieri dell'Ordine Teutonico, o dai cortigiani tedeschi degli Czar; aristocrazia tedesca sperduta in mezzo al contadiname slavo, isolata etnicamente, economicamente racchiusa nel fidecommesso; insomma, nelle condizioni più propizie per sviluppare appieno le proprie qualità signorili e dominatrici. Difatti, l'Europa non vide mai una aristocrazia fondiaria così raffinata e orgogliosa, come quella tedesco-baltica. Imparentati con tutta l'alta nobiltà tedesca, i baroni baltici erano, appunto per il tramite della nobiltà tedesca, una delle più grandi riserve di sangue e di doti per tutta la nobiltà occidentale; è assai interessante vedere come, risalendo poche generazioni nell'albero genealogico di tutte le grandi famiglie europee di Occidente, si arrivi infallibilmente a trovarvi un innesto proveniente dalla grande nobiltà latifondista baltica. Perfino i Savoia ne sono un cospicuo esempio: l'ava di Vittorio Emanuele II fu una principessa di Curlandia.
Questo enorme ceppo della nobiltà europea, stabilito nel centro dell'Europa, padrone, come si è veduto, della terra, con propaggini di parentele e di solidarietà in tutti gli altri paesi a proprietà più frazionata, era una delle grandi forze conservatrici del mondo, prima del 1914. Mutamenti di governi, rivoluzioni politiche, ascensione graduale della socialdemocrazia, contavano fino a un certo punto dinanzi a questo blocco di terre, su cui si ergeva un blocco di famiglie di discendenza germanica, imparentate con tutta la nobiltà europea, e intatto nel privilegio più geloso, quello della proprietà terriera. L'Europa era un po' come una damigiana, in cui Riforma religiosa, liberalismo, socialdemocrazia, versavano, sì, tutto il vino delle nuove idee e degli sviluppi del mondo moderno: ma non serviva. In fondo alla damigiana c'era qualche cosa che funzionava come funziona la "madre" del vino; il vino nuovo inacidiva presto sotto la sua influenza; o, fuor di metafora, la grande proprietà terriera rendeva inefficaci i fermenti delle nuove idee, l'antico regime resisteva sotto i colori e i nomi mutati, e gli effetti della rivoluzione liberale si chiarivano essere piuttosto meschini dinanzi alle cifre dei milioni di ettari di terreno, posseduti, con plenitudine di possesso secolare ininterrotto, dai discendenti dei compagni di sbornie e di canti del barbaro re Vitikindo.
LA TRASFORMAZIONE DELLA PROPRIETÀ TERRIERA
Ora, la guerra ha portato alla grande proprietà fondiaria del Centro Europa, e cioè al grande serbatoio di forze della Internazionale dell'aristocrazia europea, un colpo mortale: di cui per ora restano nascoste le conseguenze, ma che è destinato ad avere la più grande influenza sulla democratizzazione e sulla americanizzazione del Continente.
Il libro del Lewinsohn, ci fornisce i dati fondamentali in proposito.
Nei paesi in cui i grandi proprietari appartengono alla stessa nazionalità della maggioranza dei cittadini - come in Germania e in Ungheria - l'assalto alla grande proprietà non è stato drammatico. Così, in Germania, abbiamo lo spossessamento fondiario solo parziale delle dinastie ex-regnanti: certe dinastie, come i Wettini di Sassonia e i Wittelsbach di Baviera, hanno dovuto striderci; altri come gli Hoenzollern, se la sono cavati riccamente, e grazie ai tribunali della Repubblica, conservarono proprietà vastissime. Anche la politica di colonizzazione nei territori di Oltrelba procede a rilento. Ma si sono verificati, in compenso, altri due fatti, che a lungo andare, spezzeranno il latifondo: 1) Il fidecommesso è abolito. 2) La piccola e media, proprietà, che prima del '14 erano gravate di ipoteche a favore della grande, e ne formavano quasi una dipendenza, sono state liberate per la svalutazione del marco; hanno avuto un vero trattamento di favore in confronto ai latifondisti. Inoltre le cessioni imposte dal trattato di Versailles, nella Posnania e nella Prussia Occidentale, la cessione dei distretti dell'Alta Slesia hanno smembrato le più grandi proprietà magnatizie. Da parte della Polonia é cominciata la guerra contro i proprietari e gli affittuari tedeschi; guerra di nazionalità, e quindi a coltello. Il principe di Pless, per esempio, Furst von und zu Pless, ha dovuto trasformarsi in "Kzidze na Pszezynie", da tedesco farsi polacco, e rompere l'unità del suo dominio a favore di affittuari e di coloni polacchi: e questa è stata la sorte di tutti i magnati slesiani. In Ungheria, la svalutazione del marco ungherese ha portato alla piccola proprietà vantaggi analoghi a quelli di Germania; e in Rumenia, la necessità di rinsaldare in qualche modo la compagine statale, portò a leggi agrarie che riducono a 500 ettari le massime proprietà fondiarie, e fissano l'indennizzo in moneta svalutata: e per quanto la legge sia stata applicata con la consueta mollezza e corruzione valacca, oggi mezzo milione di contadini-proprietari formano un primo cuneo nella massa del latifondo danubiano.
Negli Stati poi, dove la grande proprietà aristocratica era in mano di tedeschi in mezzo a popolazioni slave, essa fu battuta in breccia implacabilmente. La piccola e media borghesia di Boemia e degli Stati baltici, portatrice, qui come in tutto il resto d'Europa, del principio di nazionalità e del concetto dello Stato nazionale, si gettò addosso alla grande proprietà con provvedimenti legislativi feroci. Le leggi del Parlamento di Praga contro i latifondi di Fürstemberg e della grande nobiltà absburghese, sono il degno contraccambio alle espropriazioni compiute nella guerra dei Trent'anni a danno della nobiltà ceca. Nelle repubbliche di Estonia, di Curlandia e di Livonia i baroni baltici furono espropriati a colpi di marchi svalutati. Nella sola Lettonia nel primo anno dopo la guerra, non meno di 100.000 contadini sono entrati in possesso della terra; e negli anni successivi, lo spezzettamento del latifondo è continuato in progressione rigorosa. I baroni baltici - ch'erano forse la più ricca e potente nobiltà d'Europa, sono stati estirpati, non esistono più: un ricordo, non altro.
Queste trasformazioni del capitale fondiario nei paesi del Centro Europa hanno colpito l'aristocrazia europea sopra tutto nel suo asse, nel suo ceppo, che è l'aristocrazia germanica. Quel complesso di tradizioni e di sentimenti conservatori, che faceva capo alla esistenza di una grande aristocrazia terriera, e che si faceva sentire in tutta la politica europea, resta senza sostegno; la grande aristocrazia terriera scompare, travolta dalla guerra europea. Il più forte puntello dell'ordinamento sociale, com'era concepito prima del 1914, cade dinanzi alle masse chiamate sulla scena dallo Stato nazionale, e alle leggi di espropriazione votate a colpi di suffragio universale. Questo mutamento nell'assetto secolare della proprietà fondiaria nobiliare, è un fatto nuovo enorme, portato dalla guerra, e decisivo per le sorti di Europa.
Che cosa importa, in confronto, se in qualche paese prevalga un programma di governo conservatore? E sopratutto, di fronte a questo fenomeno europeo, quale importanza possono avere le voci e le velleità delle dottrine neo - molto neo - assolutistiche, che oggi sono di moda in Italia, e che parlano di "restaurazione integrale" e di rivalutazione dell'aristocrazia?
Bisogna guardare più al fondo, nelle trasformazioni economiche, nelle peripezie del capitale agrario; e allora si vede quale cammino abbia fatto la democratizzazione e la americanizzazione dell'Europa.
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