Il partito del lavoro

    C'è l'equivoco perfino nella denominazione. Ne stanno parlando nei convegni confederali e in Battaglie Sindacali i dirigenti della Confederazione del Lavoro. Anzi: riparlando; poiché, prima della guerra, avevano accennato alla costituzione di un partito del lavoro, che avrebbe dovuto rappresentare gli interessi operai nel campo politico, al di fuori delle pregiudiziali teoriche. Era evidente che si mirava alla costituzione di un partito riformista, alieno dalle intransigenze, verbali e pratiche, rivoluzionarie e disposto a contatti con la democrazia: legislazione sociale - cooperative sussidiate - aziende municipalizzate - statizzazioni. Rappresentanza degli interessi operai nel campo politico significava tutto questo. E le pregiudiziali teoriche significavano: sindacalismo rivoluzionario, moralismo salveminiano, ecc. cioè tutto quello che non andava a genio ai dirigenti della Confederazione.

    Che la Confederazione voglia inquadrare il movimento operaio in organizzazioni accentrate, manovranti agli ordini dei socialisti riformisti, è evidente. Che non capisca che è impossibile un partito del lavoro, sotto i suoi auspici, date le avversioni suscitate dagli evidenti fini egemonici, è strano.

    Un partito del lavoro in Italia richiederebbe un ben diverso sviluppo e ben diversi indirizzi di quelli che il movimento sindacale possiede. E un ben diverso modo di concepire la lotta di classe da parte dei vari partiti di sinistra.

    Quattro correnti politiche che tendono al dominio del movimento operaio sono da tener presenti, nel calcolo delle possibilità della costituzione del Partito del Lavoro.

    La prima è quella dei socialisti riformisti, ed è inutile parlarne. La seconda è quella comunista ed anche di questa è evidente la tendenza al dominio politico delle masse sindacali. La terza è la popolare, e sappiamo tutti come la sua azione sindacale costituisce gran parte della sua ragion d'essere come partito. La quarta è la sindacalista - rivoluzionaria, ed è a quest'ultima che credo utile accennare.





    Questa corrente è nata come una reazione al politicismo socialista, a rivendicare la funzione del sindacato come cellula di ricostruzione contro lo Stato accentrato, per rivendicare l'azione diretta contro l'azione legalitaria, ecc. Ma, poi, il sindacalismo rivoluzionario, disperso il movimento eterogeneo ed incomposto, che si polarizzò intorno ai teorici (Labriola, Dinale, Orano, Pannunzio, ecc.) e a qualche tribuno tipo De Ambris, si determinò nell'Unione Sindacale Italiana, in mano ad organizzatori più o meno anarcheggianti od anarchici. La politica sindacale degli anarco-sindacalisti e dei sindacalisti anarcheggianti partecipò alla degenerazione delle altre avanguardie rivoluzionarie. Il movimento sindacale diventò per costoro una massa di manovra. La ginnastica degli scioperi, l'appello alle masse, gli ordini dell'Unione Sindacale divennero per molti di essi: l'azione diretta, la politica rivoluzionaria, ecc.

    L'Unione Sindacale speculò sulla propria adesione alla IIIª internazionale, sull'abbandono delle officine, voluto dai "traditori" della Confederazione del Lavoro, e ogni qualvolta si prospettò la possibilità di fusione con la Confederazione pose come condizione: il movimento sindacale senza politica. E la politica era, naturalmente: partecipazione alle lotte elettorali, cooperativismo sovvenzionato dallo Stato, ecc.

    Anche Luigi Fabbri, che é uno degli anarchici più equilibrati ed intelligenti, scrivendo, in Critica Politica, sull'unità sindacale, ribadiva il principio dell'apoliticità del movimento operaio, cercando di nascondere lo spirito squisitamente politico che è insito nella concezione sindacalista rivoluzionaria. Il Fabbri era coerente, ed io concordo in gran parte con le sue idee. Ma credo sia questo il momento di affrontare il problema dell'unità sindacale senza eccessive pregiudiziali e senza intenti polemici.

    Il Partito del Lavoro non può, se vuol vivere, essere la Confederazione del Lavoro ampliata con lo stratagemma di un'etichetta nuova. La Confederazione può farsene iniziatrice, ma deve modificare la propria struttura, si che le eventuali adesioni di forze sindacali non siano accrescimenti esterni facilmente friabili all'attrito delle molte concorrenze sindacali e dei probabili contrasti politici, ma forze ben distribuite in un organismo abbastanza elastico ed articolato per conciliare l'unità direttiva nel campo strettamente sindacale con la varietà e i contrasti politici delle sue singole parti.





    Il Pierangeli, trattando la questione su La Critica Politica (gennaio c. a.) afferma che il tentativo della Confederazione dovrebbe concretarsi "in una federazione di organizzazioni economiche della classe operaia con l'adesione di quei gruppi politici, che pur partendo da diverse premesse ideali consentano nella finalità dell'emancipazione operaia e in alcuni, definiti punti programmatici di attualità più o meno immediata, consentendo loro un'ampia libertà di pensiero, di discussione e di critica".

    A quanto pare, il P. accenna, ad una specie di Costituente operaia, che farebbe da pendant al blocco delle opposizioni. Un Aventino sindacale potrebbe rispondere alle necessità difensive del momento, ma non risolverebbe il problema dell'unità sindacale.

    Un Partito del Lavoro che risultasse composto di organizzazioni coordinate per le necessità delle lotte sindacali, e nel tempo stesso autonome per la partecipazione o no alle lotte politiche, sarebbe un'esperienza feconda di risultati formativi.

    I riformisti non potrebbero trascinare il movimento sindacale nell'orbita delle alchimie parlamentari e ministeriali con baratti politici simili a quelli avvenuti al tempo di Giolitti; i rivoluzionari si abituerebbero a far conto sulle proprie forze, invece che su quelle delle masse. La lotta politica fra i partiti e le frazioni non danneggerebbe il movimento sindacale suscitando la diffidenza o il disgusto, delle masse operaie. E sarebbe evitato l'errore di trascinare le organizzazioni operaie nelle lotte strettamente politiche.

    I riformisti trionferebbero? Si cadrebbe in un sindacalismo senz'anima, tutto economico? Non credo. Ché i riformisti possono dominare solo attraverso l'accentramento direttivo e la propaganda politica entrerebbe sempre a riscaldare e ad elevare l'ambiente del sindacato.

    Quella del Partito del Lavoro è una questione che va dibattuta. Non tanto perché ci siano possibilità di una pronta e solida realizzazione quanto perché essa presenta dei problemi che investono tutta la vita operaia e la rigenerazione dei partiti politici che si mostra più che mai necessaria.

C. BERNERI