MACHIAVELLI SU MISURAMachiavelli ebbe molte disgrazie. Ma la più grave non fu, come pensarono sempre i suoi biografi, d'esser stato sfrattato dalla segreteria della Repubblica di Firenze, ché, anzi, quella gli giovò assai costringendolo a ridursi in quel di San Casciano, dove, dopo i noti giochi a trictrac nelle taverne, "rivestitosi di panni curiali", entrava a conversare con i grandi della storia, regalando all' Italia e al mondo quel suo libercolo sul Principe e gli altri su le Deche e l'Arte della guerra. La più grave, s'io non son miope dopo tanti anni di studi machiavelliani, che mi portarono a temere assai il grande fiorentino, e a scrivere il meno possibile di lui, fu e resta quella di aver prodotto una pletorica selva di critici in tutti i tempi e in tutti i paesi, col risultato poco soddisfacente che, per capire qualche cosa - una piccola parte - del suo pensiero non c'è che una sola via di scampo: ridursi in solitudine, in una specie di San Casciano, e riprendere la vecchia edizione delle Opere, che porta l'indicazione Italia - 1813, così... chiari son divenuti, non dico i saggi critici machiavelliani, ma, verbigrazia, anche i testi, con quel po' po' di comenti, che finiscono per ingarbugliare le idee. Potrei facilmente divertirmi a parlare di edizioni nostre e straniere, e più ancora di scritti intorno al Machiavelli a traverso i tempi. Il risultato, però, sarebe tutt'altro che quello che si ricava per Dante, al quale gl'italiani ritornano quando più nel loro spirito si riaccende la fiamma dell'ideale patriottico, e non solo patriottico, ma anche morale. Ma l'indagine non sarebbe agevole qui. Più tosto è interessante fermarsi al dopo-guerra italiano. Già. Perché come c'è un dopo-guerra italiano (e nel dopo-guerra, a esser logici, non si può escludere la guerra), che si chiama carovita, lotta civile o incivile, bolscevismo, fascismo, e quel che tutti, più o meno, conosciamo, c'è anche un dopo-guerra nel campo del pensiero. Molti speravano, ma ora pare che siano delusi, in una vera e propria letteratura nuova, frutto della guerra, la quale, si capisce, avrebbe dovuto esprimere sorgenti ideali originali, inserendosi nell'attività dello spirito con una sua peculiare impronta. La poesia e il romanzo - queste due forme vive dell'arte - si sarebbero, per così dire, rinnovati, ricreati anche in Italia. Invece, tranne pochi esempi, ch'esistevano anche prima della guerra, la poesia e il romanzo han continuato il loro corso; e i profeti, umiliati, si son ricreduti con il grave torto della fretta, che, nei movimenti del pensiero, è semplicemente assurda, e, nei popoli, porta a delle sicure sconfitte. Ciò che dimostra che il rinnovamento atteso come frutto della guerra può avvenire ancora, fra dieci, venti, cinquant'anni: dato che la guerra è un fatto così immenso che non si può esaurire nel giro di pochi anni e nella cerchia - nonostante la superpopolazione... - di una generazione. I profeti, pur dopo l'incidente sul lavoro, possono dunque riprendere il loro bravo mestiere di acchiappanuvole... E torniamo a Machiavelli. Il quale, come se non fossero stati bastevoli i giudizi di Federico di Prussia e di Gino Capponi (il primo davvero coerente per la politica perseguita e per le teorie... dell'Anti-Machiavello!) per illuminare definitivamente l'umanità sul Principe, e incappato anche lui tra i chiffons de papier del signor Betman Hollweg, e vi è uscito come al solito: col vestito di Arlecchino. Perché, se c'è stato un tempo in cui Machiavelli venne considerato senza complimenti come un malvagio d'ingegno e d'animo corrotto (per dirla col marchese Gino), almeno di guadagnato c'era... l'opinione bell'e fatta, e accolta senza stupore. Ma dacché i critici si volsero a scoprire l'uomo di San Casciano, che, allora, si vestiva "condecentemente", non c'è più verso di farsi una tranquilla opinione sullo strano scrittore di Castruccio Castracani. Ora pensate un po' allo stato d'animo suscitato dovunque dalla guerra; a quello stato particolare, contingente e, storicamente, in tutti più o meno fallace, e ditemi se a trascinare Machiavelli nelle competizioni armate di 420 e di bombarde e di bombe Sipe, non doveva accadere un carnevaletto settecentesco. E il carnevaletto è avvenuto. E come la guerra non si è esaurita nel protocollo di pace, ma continua a regalarci tante sorprese politiche ed economiche, il dopoguerra machiavelliano non può essere che in funzione logica di quello stato d'animo sopra accennato... In complesso tutti i buoni intenzionati trovano in Machiavelli il fatto proprio. La morale? Ohibò: e che forse il fiorentino non ha avvertito il valore della morale, della religione, eccetera? Il delitto di Stato? Ma che scherziamo? Se nel Principe, nelle Deche, nell'Arte della guerra e nelle altre prose non si parla che di delitti di Stato! L'amor di patria? O che il Principe non finisce forse con i celebri versi del Petrarca? Basta. Tutti trovano in quest'immenso arsenale machiavelliano le loro brave ragioni; e a tutti vien voglia di rispondere - almeno! - che messer Nicolò Machiavelli era un gran burlone se ha saputo giocare un così enorme tiro a tutti i suoi critici, meritevole davvero d'altri nodi di corda, che non i pochi applicatigli nelle carceri medicee... Fermiamoci a qualche caso. Durante la guerra. Tutto è mobilitato: naturalmente noi, avendo poche mitragliatrici, mobilitammo - com'era nostro diritto - le artiglierie di carta. Ma la sconfitta militare costa sempre cara: sangue giovine dalle arterie della patria. E allora, nell'amarezza disperata, non avendo armi per far fuoco, eccoci a vituperarci con quintali di male parole, contro la nostra imbecillità, la nostra dabbennaggine, il nostro umanitarismo, eccetera, eccetera... In questo stato d'animo, spunta, vivo, beffardo, Nicolò Machiavelli. Anzi ritorna. Ritorna, si capisce, in fretta. Diavolo, sul Carso e sull'Isonzo si muore; non c'è tempo da perdere! E così, fatto su misura, assistiamo al Ritorno di Machiavelli (studi sulla catastrofe europea) di Mario Mariani. Non c'è che dire. La pubblicazione è tipica: la catastrofe. Sentite un po': "Tentiamo dunque una generale inversione dei valori morali. Dichiariamo buono, bello, giusto - trinità platonica - tutto ciò che serve all'uomo, all'uomo più scaltro, all'uomo più forte per il soddisfacimento dei suoi appetiti, delle sue voglie". Non c'é che dire. Il povero Machiavelli - malvagio d'animo e d'ingegno - assurge (filosoficamente, alla tedesca, ma senza filosofia...) a prototipo dell'"immoralità morale". E giù citazioni, con salsa di Stirner, Nietzsche, Treitzsche, Real Politik... Non c'è che dire. Le parole sono di Machiavelli. E dopo 68 pagine di buona insalata alla Macedonia, ce ne possiamo delibare altre 300 in cui Machiavelli (poveretto!) non c'entra più: e fa la figura dell'avallante d'una cambiale in cui la firma dell'accettante è falsa. Oh, ma non è tutto. L'Italia é entrata in guerra. Salandra ha pronunziato il discorso del Campidoglio. Bene: ci vuole un po' di Machiavelli. E vien fuori (dico subito che io ho molto rispetto per Michele Scherillo che accosto a Mariani per coincidenza occasionale...) una accurata edizione del Principe, ed altri scritti, curata dallo stesso Scherillo. Ma se l'edizione è buona, non manca, tuttavia, una lettera dedicatoria dello Scherillo al Salandra, in cui, in polemica con quel "mediocre uomo di Stato che è il Cancelliere dell'Impero Germanico" (e che ora non è più né pure a questo mondo), Machiavelli è in funzione antitetica a quella dell'"immoralità morale" del Mariani, tanto che lo stesso Salandra osserva a quelli che si figurano il fiorentino "maestro di ogni nequizia", che questi "constatava più che consigliare" ... Fra le due opinioni non si può essere che di parer contrario, per vestire d'altri colori messer Niccolò. Ma non continuo a rilevare altre tesi. Non discuto quella dei ricercatori dello Stato panteista, nazionalista, ecc. Sarebbe troppo lungo; ed io desidero venire al dopo-guerra; e, saltando a piè pari tutte le corbellerie scritte per il noto abito di Machiavelli, vengo al caso tipico di Benito Mussolini. Il quale ha voluto trarre la più vasta morale della favola dei critici machiavelliani. Superficiale per costituzione mentale, nel suo disegno apocalittico non poteva mancare Machiavelli; il quale rimesso a nuovo dalla criticuzza alla Mariani, meritava, ohibò, di essere applicato sul serio. E così, nei fumi di una fantasia malata, ch'esprime il decadentismo dell'epoca nostra, agitantesi fra immagini vaghe d'imperialismo letterario, frutto delle rimasticature dannunziane di Nietzsche, così risorse il nome della "milizia nazionale", come organizzazione "ternaria" secondo il disegno machiavellico. Di questa organizzazione e dell'influenza del Machiavelli sul Fascismo, io scrissi lungamente nell'ottobre del 1922 (L'ombra di Machiavelli) quando ancora sul fascismo la critica non si era esercitata. Ma quella che per me poteva costituire la bella profezia, si realizzò nella fallita tesi di laurea allo studio bolognese di Benito Mussolini. Il "Preludio al Machiavelli", di cui gustammo qualche pagina in Gerarchia dimostra meglio il dilettantismo postbellico e... bellico degl'italiani intorno al segretario fiorentino. Dico meglio: il dilettantismo in genere, che significa assenza di cultura, deficienza di tormenti spirituali: in una parola, decadenza. Non é certo il caso di discutere le opinioni mussoliniane sul Machiavelli. Come modesto lettore delle opere del segretario fiorentino, preferisco Mariani a Mussolini. Ma un rilievo va pur fatto. Ed è questo. Accanto alla esaltazione mussoliniana (certe esaltazioni sono le peggiori demolizioni) del Machiavelli, Mussolini non ha esitato di celebrare con una sagra e con una nuova edizione delle opere, Alfredo Oriani. Si dirà che il "duce" è lo stesso che commemorò Bissolati dopo averlo insultato... Ma non basta. L'editore di Oriani e scrittore dell'incompleto "Preludio al Machiavelli", non s'è accorto che tra il fiorentino e il romagnolo c'è una partita tutt'altro, che lieta. Nel suo Fino a Dogali, Oriani, prendendo lo spunto dai tre volumi del Villari su Niccolò Machiavelli e i suoi tempi, si scaglia con la violenza a lui propria contro l'autore del Principe, negandogli affatto genio politico e riconoscendogli soltanto qualità artistiche, di "pittore" della politica. Ora non ripeterò quanto scrissi altrove al riguardo (cfr. Oriani contro Machiavelli nella Perseveranza di Milano, 1921); ma mi chiedo come mai lo stesso uomo possa celebrare quali... padri spirituali del fascismo due scrittori di mentalità e aspirazioni tanto diverse, senza dimostrare di non aver letto, o compreso, né l'uno né l'altro!... O da buon arbitro il "duce" ha voluto far... la pace fra i due scrittori? Questa insufficienza critica, anzi questa impreparazione badiale in campi tanto delicati, non dimostra forse che il Machiavelli di guerra e del dopo-guerra è fatto su misura dai gazzettieri informatori di Mussolini? Pochi critici, anche mediocri e faciloni, non hanno esitato prima di esprimere giudizi sul Machiavelli; e lo stesso Oriani, che scrisse tante incongruenze nel suo saggio, contraddicendosi, anche, di pagina in pagina, avvertì la difficoltà della critica intorno al fiorentino, dichiarando il carattere "enigmatico" del grande scrittore. E pur troppo bisogna dire, dopo gli sforzi che si son fatti anche in Italia per fissare i caratteri veraci della maschera machiavelliana, che restiamo ancora in attesa del grande critico del Machiavelli. La complessità del pensiero machiavelliano assume tutti i caratteri d'un dramma spirituale che ancora bisogna scoprire. I tre grossi volumi del Villari, che pure offrono tanto materiale d'indagine, gli scritti del Tommasini, anch'essi tanto pregevoli, pur restando forse le cose migliori che si siano pubblicate in Italia sul segretario della Repubblica Fiorentina, non fissano compiutamente i caratteri di questo dramma. Da questo punto di vista, anzi, mi sembra che l'opera del Villari sia del tutto fallita, e tutto resta ancora da rifare, se bene la via sia in parte spianata. E dunque? Mussolini ha fatto bene a "cambiare autore". Ma pare che se ne occupi Benedetto Croce. Per la dignità della cultura italiana. VITO G. GALATI
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