Vita meridionaleLETTERE DA ALTAMURAAltamura, 15 gennaio 1925.Caro Gobetti, Tu insisti dunque per la collaborazione mia e di amici di quaggiù, attribuendo a me non so quali attitudini e preparazione, e che io conosco la Puglia o che so io; e sembri amareggiato del nostro silenzio. Degli altri non so, anche perché non ci si vede quasi più ed io non ho mezzi nemmeno per recarmi a 20 chilometri di distanza, e la gente pare che abbia smesso di scrivere, e ad ogni modo non è cosa molto prudente affidare i proprii pensieri alla carta e alla posta! Figurati che l'anno scorso all'incirca, per un'inchiesta sulle condizioni della nostra vita nei Comuni della Provincia, non mi riuscì, pur rivolgendomi ad amici fidatissimi, tutti gran divoratori di fascisti, di ottenere più di tre o quattro risposte, naturalmente su paesi che già conoscevo. E' probabile che i miei amici, per non farne niente di niente, sieno allucinati, come lo siamo noi tutti di quaggiù che non vediamo nulla fuori del Comune, dallo spettacolo appunto della vita delle nostre cittadine, ormai ridotta nelle mani di due o tre agrari assenteisti, di due mazzieri e di qualche avvocato o anche professore alle prime armi. Tu non immagini, per esempio, che nella mia città, che minaccia in questi tempi di sopravalutazioni senatoriali di raggiungere una notorietà politica più che nazionale, si agiti nel circolo dei signori la questione se debba essere consentito ai soci la lettura di giornali sovversivi quali quelli del Vettori e del sen. Albertini, ché quello del filosofo di Sarno non trova ormai più un cane che, pubblicamente, voglia esporsi alla responsabilità di difenderlo. E tu, mio caro amico, e voialtri sognate... o che cosa? Quanto a me, mi dispiace che l'Italia non abbia tante letterature e tanti analfabeti quanto la Cina, e così complicati: bisogna che ci affrettiamo a ritornare all'ideale del letterato cinquecentesco e del suddito fedele, a non voler passare per pazzi e perdere il poco pane: Tanto, i figli delle spie borboniche e dei carnefici, scomodati appena un poco il '60, riottenevano qualche anno dopo cariche ed onori. Tanto è assurda quaggiù l'idea di una qualsiasi rivoluzione o mutazione di cose! Ma insomma, di che cosa debbo scriverti? Speravo, queste vacanze scorse, che tu arrivassi quaggiù, come ne avevi mostrato desiderio. In genere quello che manca a voi, non è la conoscenza dei nostri problemi, ma piuttosto del colorito speciale di essi e delle nostre cose: voialtri fate degli schemi, ed io ne leggo di ottimi, in cui il Mezzogiorno entra come quadro in una bella cornice: dopo qualche giorno tu vedi che la figura è un po' di traverso. Insomma, se vuoi, ti scriverò qualcosa, come mi viene, suoi nostri uomini, sulle nostre cose e sui nostri paesi, senza nessuna pretesa di teorizzamenti o di soluzioni definitive e con la cautelosa parsimonia che è propria del mio temperamento, senza peraltro assicurarti di poter continuare. Anzitutto la Puglia è un'espressione archeologica. La nostra vita fu. Pochi risalgano alla Magna Grecia, ma a Federico II e ai suoi castelli, alla cattedrale di Troia ed a Nicola De Apulia pare che ci si pensi spesso. Per quel che io sappia molti stranieri, negli ultimi vent'anni, hanno frugato nel nostro passato, insieme con parecchi del paese; non so chi si sia occupato di andare a vedere le cantine di Cerignola, i pomodori di Palagiano, le verdure precoci del Leccese o che so io, i metodi di pesca di Molfetta, i marmi del Gargano. Il problema della irrigazione è ancora quasi allo stato mitico ed io che, ultimo arrivato, mi affiancai due o tre anni fa, per dovere di ufficio, ai pochi che se ne occupano, fui gratificato delle più spiacevoli barzellette degli amici. Tu devi dunque sapere che la Puglia, più ancora che per questi suoi sforzi di redenzione economica, è conosciuta pel suo passato, anche meno significativo. Avrai certo sentito parlare dei nostri trulli, diamine! Tu non sai però che la zona dei trulli ad Alberobello è stata dichiarata monumentale, né più né meno che la passeggiata archeologica di Roma. Ma quanti si sono occupati di far qualcosa per i contadini di Alberobello, di Conversano e vicinanze? Di qui anzi è quel giovine deputato Di Vagno, che fu ammazzato come un cane, senza che l'opinione pubblica si commuovesse gran che. Cosa perfettamente logica in regime feudale. Ora seguimi dunque verso questi paesi. Non bisogna andare molto lontano per trovare la terra dalle casettine lillipuziane. Si prende la piccola ferrovia che da Bari risale verso le Murge di Conversano e Noci. Il paesaggio é dapprima soffocato dalla densa vegetazione di ulivi, mandorli, fichi, carrubbi, vigneti, nel cui folto fertilissimo le cittadine sono sommerse, se non si annunziano dai pioppi d'un cimitero, da qualche campanile aguzzo ed alto sulle case basse, da qualche torre. Questa zona era già tale o quasi sul finire del sec. XVIII, quando il resto della Puglia era pascolo regio o bosco o cerealicoltura. Dopo Rutigliano la scena si snoda; numerosi e spessi s'affacciano i muretti a tagliare i poderi; si sale lentamente sotto Conversano con l'occhio alle linee dei primi colli a nord, all'immensa distesa a sud, che é un unico giardino di ulivi e mandorli, sino a perdita d'occhio; si precipita verso Castellana e per la campagna mossa, non più tutta verde, ma gialla qua e là di pascoli e di ristoppie, grigia e ferruggigna di petrame, si scorgono i primi trulli, le "casedde". Sono minuscole casettine rotonde, dal tetto a cono aguzzo, in cui pare che non possa entrare se non un popolo di omini minuscoli, ognuna con un piccolo comignolo ed una finestretta da bambola, e con quella buffa intonacatura in cima al cono, che è la civetteria della pulizia, e dà la impressione di un berretto da notte ritto sul cocuzzolo d'un pagliaccio, con anche una croce o una stella in fronte dipinta con calce! Ma che cosa c'è in cima a ogni trullo? Qualcosa come due imbuti uno nell'altro, con la punta in giù, o come un imbuto sormontato da una palla, così per gioco, o da una forma bianca di formaggio, per ischerzo. Anche qui i contadini, pel maggior spasso dei signori, avranno usato per lo passato la gara dei caci rotolati e... Ora, dopo Putignano, tra la folta vegetazione, e dove non è qualche straccio di boscaglia di quercia, i trulli spuntano innumerevoli dal terreno, non più soli, ma aggruppati come fratellini per mano, a due, tre, quattro; due eguali egli altri più piccoli, perché anche nel lillipuziano c'è sempre il più piccolo, e dovunque muri e muretti, non dieci, non venti, ma più, molti di più, allineati su i fianchi di ogni rilievo di terreno, orizzontalmente, alla distanza anche di pochi metri, a contenere il terreno, a raccoglierne e reggerne un pò fra tanto calcare. Mi chiederai come ha fatto questa gente a scavare ed allineare tanta pietra. Io penso che la cosa avrebbe spaventato un popolo di giganti. Questa è la Murgia più aspra e più sassosa; per ridurla a coltivazione, facendo le terrazze, come mi dicono si sia fatto nel Genovesato, nelle colline di S. Giuliano, tra Pisa e Lucca, sul lago di Guido, nelle Cinque Terre oltre Spezia, e in qualche altro luogo, non ci voleva meno della laboriosità d'un popolo di formiche. Alberobello, il paese dei trulli, è sulla costa del monte Zampino, a 416 metri. Si sale ma non si riesce a vederne: ai due lati della provinciale le case moderne danno l'impressione di lindura e di operosità di cittadine vicine, Castellana e Putignano, p. e., dove subito dopo il '60, fu tentata la nuova vita industriale, prima che altrove. Ecco ora la piazzetta ben composta, con un minuscolo monumentino per Caduti, che, se non fosse la riverenza, i monelli scalzi dovrebbero arrampicarcisi. Comunque, quanto a riverenza, so dei discorsi di rito pronunciativi per l'occasione... Purtroppo la generazione che oggi siede sulle panche scolastiche non ci offrirà più nulla di simile: né qui ci sono monelli che ancora, come in troppe parti da noi, si servano del lastricato come di moccichino, ma ragazzetti puliti, ben calzati e ben vestiti, con le loro cartelle, serii, compresi del loro compito, orgogliosi, si vede subito, della loro grande città, incuriositi, ma non troppo. Decisamente bisogna sperare nei nostri figli: noi abbiamo fatto la guerra ed ho paura che non sapremo fare altro. Per la grande strada che volge a destra e si chiude armonicamente in una maestosa cattedrale moderna, con due bei campanili aguzzi, io vado in cerca del mio amico, un esemplare raro piuttosto della specie meridionale "homo metaphysicus". A proposito, leggo in questi giorni ancora delle considerazioni a riguardo: non si tratta più del sangue germanico del grande ducato Beneventano, ma della solidarietà selvaggia delle nostre lande, su cui spuntano come i nostre campanili i nostri filosofi. Alla buon'ora! Naturalmente il mio telegramma aspettava di essere recapitato e son io stesso che, gira e rigira, riesco a pescarlo e m'incarico di recarlo a destinazione. Una contadina linda ed intelligente mi accompagna; voltiamo a destra, fra i trulli finalmente! Si allineano irregolarmente, ai due lati della minuscola strada tutta pulita, le casette basse, sulla base non più rotonda, ma rettangolare, col piccolo tetto di "chiancarelle" a portata di mano, che vien voglia di saltarci su, per vedere che dice la gente. Porticine con sopra un arco aguzzo; formato di tre pietre, chiuse per il sole, alte appena quante un uomo; finestrini all'altezza del mio fianco, con la minuscola tendina bianca, dietro il vetro, ricamata. Poi stradette laterali anche più piccole, dove le donne m'invitano ad entrare in casa, a vedere, con una franchezza anche superiore a quella pur comune quaggiù, che è grandissima in esse; quella che mi accompagna mi avverte che le casette non sono di dentro come di fuori, che la pulizia vi è massima; ed io, che lo so, mi affretto a sorridere. Il mio amico è in campagna e il padre mi guida. Giù a valle, dovunque l'occhio si spinge, fino alla selva di Fasano, altro miracolo di laboriosità umana, che biancheggia sull'orizzonte, agglomeramenti di trulli, collicelli a terrazze, grigio di pietrame, verde pallido d'ulivi, querce e noci giganteschi. La casetta del mio amico, non occorre dirlo, è una casa di contadini, autentica, ma sembra l'opera accurata di giapponesi. Dovunque, per terra, sui muri intonacata, al palco, splendore di pulizia, di decenza; cuscini bianchi sui cassettoni, tendoni nitidi per ogni vano, mobili di quercia, porte graziosamente dipinte di grigio, noce e verdino. Son questi i nostri contadini, che non c'è un cane che voglia conoscere: il volume di Shakespeare che trovo su di un tavolo innanzi allo specchio, viene dall'America, come indubbiamente l'America ha dato al nostro contadiname una sveltezza ed una spirito di iniziativa, che quaggiù non avrebbe mai acquistato. Ma il libro è di loro e serve per loro: il mio amico ha accatastato i suoi filosofi in un angolo remoto, per lui solo. Il podere, come più o meno tutti gli altri, ha dinanzi a sé un cortile con peschi, susini, gelsi, querce, pergole, edere, fiori; a un lato la piccola aia recinta da un muretto basso, ad un angolo il pozzetto che raccoglie l'acqua dai tetti. Gli altri trulli servono per cucina, per forno, per pollaio, per ovile, per stalla, ognuno per un dato ufficio. Nulla manca, nessun locale disturba o comunica sudiciume all'altro. Le donne escono ed entrano, richiudono subito, lucenti come api. Sono nate qui, come le loro mamme; qualcuna avrà forse negli occhi la visione dell'Oceano e di New-York; i figli forse ci andranno, ché ogni sera se ne parla, ma quanto a loro non pare che desiderino altro. Vorrei fare una visita alla cava di alabastro, del quale vedo molti oggetti, e che ho letto essere uno dei più belli e rari di Europa, e relativamente, anche economico. Purtroppo non c'è tempo. Poco prima della guerra c'è stata a Bitonto una lavorazione dell'alabastro estratto di qui, ma oggi la cava è chiusa, perché la vena é esaurita. Studi importanti a riguardo ha fatti, se ben ricordo, il prof. Dell'Erba; bisognerebbe ora frugare nella zona vicina, ché ce ne deve essere. Allora andiamo in giro per la campagna. C'è vicino un ricco avvallamento, il torrente Cane, che prende via via i nomi di varie contrade, Calcara, Volpe, Populeto... Ma, nonché volpi e cani e boschi, non c'è nemmeno l'ombra di un filo d'acqua. Tutta la vasta plaga dei trulli, compresa Castellana, ricca di grave e di grotte, così laboriosa, così nitida, non conosce il beneficio di una sola sorgiva, vive all'asciutto come il resto della Puglia ed anche più. Esperimenti e ricerche ne han fatte i De Bellis di Castellana, ma poiché l'acqua, secondo i risultati scientifici, dev'essere a livello dell'Adriatico, cioè circa a 400 metri di profondità, il problema non sarà risoluto facilmente. Già ora, da due anni in qua, non so più che cosa se ne faccia di questo problema. Prima, al direttore della stazione agraria di Bari erano devolute, simili ricerche, e, dietro l'esempio di Foggia, si preparava anche da noi una mostra di elevatori, che non so poi perché non si sia più tenuta... D'iniziativa privata non è a parlare; per lo passato qualche proprietario si è servito degli idromanti, e ce n'è una qui che ha avuto una qualche notorietà, e i risultati non sono stati da condannare. Ma da un anno mi si dice che tutto il problema dell'irrigazione in Puglia è stato avocato all'Acquedotto Pugliese, che certo avrà buoni tecnici... Ad ogni modo nessun segno di vita sinora. Tra parentesi, concessioni per uso agricolo or si or no, a capriccio, col pretesto che acqua non ce n'è! E già l'acquedotto dovrebbe risolvere per conto suo il problema delle acque sue stesse che qua e là, uscite dai nostri paesi, appantanano... In mancanza andiamo a vedere una piscina di acque accogliticce e, più degna di nota, una vora. Quest'ultima è un ridicolo inghiottitoio costruito dal terriccio, di appena un metro di diametro, che bene adempie però alla funzione di rendere anche più arida la terra. Nell'allagamento del 1914 e in quello del '15, poiché, pare incredibile, anche gli allagamenti ha la Puglia, le acque, per la grande vallata, si levarono a più di due metri; dopo un giorno erano scomparse. Qualche altra vora dev'essere vicino, anche più piccola; nulla ad ogni modo che equivalga alle altre così pittoresche della regione. Ma io ho bisogno di vedermela tutta, passo passo, questa terra redenta dai contadini, nessuno dei quali é senza il suo pezzettino di terra ed i suoi trulli sopra! I quattromila ettari di territorio del paese appartengono loro quasi tutti, e qui mancano quasi i nostri deliziosi agrari che fan vita a Napoli e di lì si occupano di agricoltura riscuotendo le rendite. Mi dicono che i grossisti vi posseggano circa un ottavo del territorio; ma è a credere che sieno contadini arricchiti in un paio di generazioni; ad ogni modo, quali si siano le loro idee, troppo pochi per poter pretendere al dominio del paese; sicché i loro tentativi di fascismo interessato, a difesa solo dello "statu quo" e della loro proprietà, vincitori dovunque da noi, qui non hanno attecchito. I contadini poi posseggono un'ampia zona dell'estesissimo territorio di Martina: sono quasi duemila, costretti, per mancanza di adeguati provvedimenti, a lavorare fuori del proprio territorio e quindi, é da credere, sballottati in quistioni di competenza per tasse, pagamenti, diritti, ecc. Ognuno vive in campagna, fiero del suo lavoro e della sua indipendenza, e grande è l'amore pel loro paese. Non oserei dire che arrivino più in là; ad ogni modo l'Amministrazione, di carattere socialista bonomiano in origine, ha dovuto far del fascismo o del filo, perché non lo facessero gli altri. Non mi attardo a dipingerti una escursione oltre Locorotondo, verso il Laureto, uca delle nostre tante gravine che rompono la spiaggia, sino al mare, ancor più ricca di trulli, a gruppi sempre, e a breve distanza gruppo da gruppo, tanta la proprietà vi è spezzettata, densa di villini signorili a forma di trulli, qua e là selvaggia ed aspra giù tra i colli dolcissimi, con il canale di Pirro, da un lato e la selva di Fasano, una delle nostre meraviglie, dall'altro, uno sterminato paesaggio a presepe, indimenticabile, che mi richiama a certi quadri del Casciaro, più denso di abitazioni che non la valle del Serchio; e in cospetto del mare, sulla pianura, Anazzo, ciò che resta dell'antica Egnatia, e la strada a zig-zag sull'orribile scoscendimento murgioso, e le colline del paesi vicini. Tieni presente che a Locorotondo il 63 per cento della popolazione vive tutto l'anno in campagna, nei trulli, e immagina qual somma fantastica di lavoro per tutti, uomini e donne, e quale benessere. E' questo l'"impiger Apulus": quasi dovunque la roccia, divelta, è stata interrata a un paio di metri di profondità, in modo da costituire un'altra atmosfera per le radici. Che poi questi paesi della zona dei trulli, che si estendono all'indentro sin oltre Noci e sul Mare da Monopoli a Fasano, come quelli più ricchi e progrediti della striscia marina, debbano di necessità rappresentare anche l'avanguardia di un movimento politico è cosa che va esaminata sui luoghi e giudicata con prudenza e non so se riesco io stesso a capire. E' assurdo stabilire così senz'altro l'equazione, ricchezza è uguale a progresso politico e a spirito di libertà ed indipendenza, sebbene la creazione della ricchezza è tale opera di spiritualità che non va mai scompagnata dalle altre manifestazioni dello spirito; ma troppi altri fattori entrano in giuoco, e molte plaghe delle nostre zone più ricche sono, almeno per ora, politicamente più arretrate di altre più povere. In genere le plaghe rosse da noi sono quelle delle grandi masse di giornalieri impossidenti, mentre molti dei paesi più ricchi sono il barbicaio del conservatorismo più vieto. Permettimi però: la conquista di un vero spirito politico è opera di secoli e il caso spesso vi ha miglior gioco delle leggi e di ogni buona volontà, e la necessità ancora di più. Questi trulli, vedi, devono la loro origine alla ferocia dei tempi e alla bestialità feudale; non essendo permesso di fondar case e città, senza speciale autorizzazione regia, nel 1600, il Conte di Conversano, il famoso Guercio noto per le sue infamie di cui ancora qui si novella, permise queste costruzioni rustiche ai suoi servi, per poterle abbattere in poche ore, ad ogni ispezione governativa. Così i contadini furono costretti ad imparare l'uso della loro ottima pietra a strati. Ma non so quali altri uomini della terra avrebbero compiuto il miracolo degli ultimi 30 anni, contro ogni avversità! Siamo tornati in città appena tempo a poter vedere il camposanto, che è una cosa bellissima, dovuta al Curci, uno dei maggiori architetti del Mezzogiorno, un analfabeta fattosi da sé, che ebbe tempo di diventare sommo architetto, non già d'imparare a scrivere. Una visita alla Banca, per qualche notizia, e poi vorrei vedere il sindaco, di cui il mio amico dice di gran bene, ad ogni modo una rara "avis", se è riuscito, malgrado tutto, a superare la bufera di questi anni ed a mantere su l'Amministrazione. Non sono molti quelli di quaggiù che restano ancora in piedi dal '20: furono spazzati via, nella bufera del '22; tra gli altri quelli di Barletta, un chimico formatosi a Milano, e di Andria, un maestro, dei quali non si diceva che bene, per non citare altri. Un altro ne è in piedi, a Triggiano, credo, e credo abbia abbracciato anche lui la croce del fascismo, così, "pro bono pacis", per non veder le cose cambiate nel paese, perché dicono sia un buon amministratore, e perché in fondo, bisogna dirlo, molta genterella di libertà vera non ha bisogno, e quel tanto di lustro che ce ne veniva dal giolittismo e che il fascismo, se fossero soddisfatti certi suoi interessi, credo che sarebbe disposto a lasciare nei nostri paesi, soddisfaceva alle sue esigenze elementari. Dolorosamente il sindaco non c'è ed io non posso in coscienza intrattenermi del suo socialismo fascista. Proprio così: egli è uno dei pochi che comparve in quel movimento appena iniziato di socialismo nazionale tentato due anni fa dall'onorevole Alessandri e non ricordo chi altri, e dunque una specie di fariseismo xenofobo o se vuoi di cristianesimo per redenzione dei soli giudei, in odio ai gentili. D'altra parte tu comprendi che la virtù d'andarsene, cioè di mollar l'osso, non è virtù italiana; anzi, da noi, anche gli avversari darebbero dell'imbecille a chi lo facesse; ed è sapienza politica curvarsi tanto e abbicarsi da confondersi con ogni nuova forma e colore. Ma ho finito per oggi. Addio. Tuo: TOMMASO FIORE.
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