Proporzionale e suffragio universale

    Coloro che vedono nella rappresentanza proporzionale la causa della crisi politica italiana, trascurano di osservare che gli effetti della proporzionale si combinarono, in Italia, nel 1919, con gli effetti di due altri grandi avvenimenti: il suffragio universale e la guerra.

    Il suffragio universale era entrato nella vita italiana in grazia di una sorpresa parlamentare. Giolitti nel 1911 aveva bisogna di non avere ostili i socialisti, o per lo meno di spezzarli in due tronconi paralizzantisi a vicenda, in previsione della guerra libica. Il suffragio universale fu offerto da Giolitti improvvisamente, quando pochissimi socialisti lo domandavano sul serio, e i più avrebbero preferita una riforma, che facilitasse l'acquisto del diritto elettorale ai soli operai dell'Italia settentrionale. La riforma radicale di Giolitti fu come un pranzo offerto alle otto di mattina. Cadde come un bolide in un paese impreparato. Ma non poteva essere rifiutata dai socialisti. E fu così che sei milioni di contadini italiani, dei quali quattro milioni appartenenti all'Italia meridionale, entrarono dalla sera alla mattina nel diritto elettorale, senza, avere fatto nessun sforzo consapevole e sistematico per una conquista così grande.

    Una riforma di quel genere, largita in quel modo, non avrebbe fatto sentire, in condizioni normali, i suoi effetti, se non a distanza di parecchi anni: dopo tre o quattro consultazioni elettorali, via via che si fosse elaborata una nuova classe dirigente dalle nuove moltitudini politicamente attive. Le elezioni del 1913 non spostarono quasi affatto la situazione parlamentare precedente. Vi contribuì certo il Patto Gentiloni, con cui i clericali e liberali si presentarono alleati contro i pericoli immediati del suffragio universale. E vi contribuì anche la energia... pre-fascista con cui Giolitti stroncò ogni accenno di opposizione pericolosa, che si manifestasse specialmente nel Mezzogiorno. Ma é innegabile che le moltitudini agricole, fornite improvvisamente di un'arma, che non avevano mai domandata, non erano in generale capaci di utilizzarla. Solo dopo un lento, lungo lavoro di propaganda fatto da tutti i partiti per smuovere la inerzia tradizionale dei contadini e trascinarli nelle lotte amministrative e politiche, solo a lunga scadenza il suffragio universale avrebbe fatto sentire i suoi resultati.





    La guerra precipitò il movimento. Fece in quattro anni quel che venti anni di propaganda e di organizzazione non avrebbero forse fatto. La massa degli operai e dei contadini, costretta alla guerra contro la sua volontà, ritornò a casa dalla guerra con la smania di "farla pagar cara" ai responsabili della guerra, e trovò nel diritto elettorale il mezzo per sfogarsi... senza troppo sforzo. Come sarebbe andata la guerra, se l'Italia non fosse stato un paese a suffragio universale, cioè se i propagandisti della pace ad ogni costo avessero potuto contrapporre la situazione del proletariato tedesco ed austriaco, che godeva del diritto elettorale, a quella degli operai e dei contadini italiani, che si sarebbero trovati esclusi da ogni diritto politico in quel paese, il cui governo pur esigeva il loro sangue? E la crisi del 1919 non sarebbe stata assai più grave e più violenta, se fosse mancato al malcontento generale il diversivo della lotta elettorale, la illusione di fare una rivoluzione a buon mercato il giorno delle elezioni, invece di farne una più costosa scendendo nelle strade?

    Il diritto elettorale non è la fonte della sovranità, come ripetono i dottrinari delle ideologie democratiche, e come si affannano a negare i dottrinari delle ideologie oligarchice. Il diritto elettorale è un mezzo, assai grossolano, ma assai comodo, e pochissimo pericoloso, dato ai cittadini per dichiarare di tanto in tanto se sono soddisfatti del Governo o no: se sono soddisfatti, votano per i deputati uscenti; se non sono soddisfatti, votano per candidati di opposizione, lasciandosi guidare nella scelta dei nuovi venuti da apprezzamenti assai sommari e sempliciotti. Pretendere dal diritto universale più di questo risultato, è pretendere l'assurdo.





    Ma questo resultato è molto utile, ed è molto importante. Il diritto elettorale obbliga i governanti a preoccuparsi delle inquietudini, che la loro azione può provocare negli elettori. Il suffragio universale è, in condizione normale, la migliore cura preventiva contro le crisi rivoluzionarie: costringe le classi dirigenti a star sempre sul chi vive per non essere spazzate via da una ventata di malcontento di cui esse ignorino le cause e la gravità; e permette al malcontento di incanalarsi e manifestarsi per vie legali. Una elezione a suffragio universale è una rivoluzione abortita. A una sola condizione: che le classi dirigenti sappiano leggere nel libro della realtà: si rendano conto della inquietudine, ne facciano la diagnosi, ne intraprendano la cura. Se le classi dirigenti non capiscono nulla, se si limitano a spaventarsi ciecamente della inquietudine che si manifesta attraverso il suffragio universale, se invece di correggere la causa combattono i sintomi, se invece di fare l'esame dei proprii errori si lamentano del suffragio universale, allora il suffragio universale non rimedia a nulla, anzi aggrava il male. Ma allora la causa del male è la stoltezza delle classi dirigenti, non il registratore attraverso cui si rivelano le conseguenze di quella cecità.

    Nel 1919, la inquietudine prodotta dalla guerra trovò nel diritto elettorale, esteso a tutti i cittadini alla vigilia della guerra, la via legale per manifestarsi.

    La rappresentanza proporzionale limitò, per quanto era possibile, gli effetti della inquietudine generale. Se non fosse stata introdotta nel 1919 la proporzionale, se le elezioni fossero state fatte a collegio uninominale, non sarebbero stati eletti nell'Italia settentrionale e centrale che deputati socialisti e popolari: i candidati liberali erano ovunque in minoranza, e si salvarono solamente grazie alla proporzionale.





    Ma la incapacità di vedere la realtà è così profonda, è così inguaribile, in tutti i gruppi della classe dirigente italiana, che questi attribuiscono alla proporzionale i loro disastri elettorali del 1919, mentre la proporzionale li salvò da un disastro ben più generale. Oppure attribuiscono i loro guai al suffragio universale, invece di attribuirli al malcontento prodotto nella grande maggioranza del paese dalla guerra - condotta diplomaticamente e militarmente troppo male! -, e dalla crisi del dopo guerra (svalutazione della moneta, disordine criminoso nella concessione dei premi di smobilitazione e pacchi vestiario e nelle visite ai mutilati e nella concessione delle pensioni, proteste nazionaliste per le delusimi dalmatiche, nuove minacce di guerra per la spedizione dannunziana di Fiume). A questo malcontento, il suffragio universale dette uno sfogo non rivoluzionario.

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    La Camera uscita dalle elezioni del 1919, e quella uscita dalle elezioni del 1921, non seppero dare nessun Governo degno di questo nome. Quelle Camere furono elette con la rappresentanza proporzionale: Dunque, via la proporzionale. Cum hoc, ergo propter hoc!

    Ma la origine di quei disordini parlamentari fu ben più profonda che la proporzionale. Fu il malcontento prodotto dalla guerra e dal dopo guerra la causa profonda della paralisi parlamentare. Spazzato via il vecchio personale parlamentare, che aveva una certa praticaccia nell'arte del Governo, la Camera, del 1919 fu riempita, in tutti i settori, da scimmie urlatrici, che non sapevano far altro che urlare. Questo fenomeno si sarebbe avuto anche senza la proporzionale. Anzi sarebbe stato accentuato dal collegio uninominale, che avrebbe fatto naufragare in numero anche più grande i deputati uscenti dalla Camera della guerra.





    La inquietudine prodotta dalla guerra non solo spazzò via buona parte dei vecchi deputati, ma condusse alla Camera i 150 socialisti, cioè un terzo della Camera, in uno stato d'animo d'intransigenza rivoluzionaria (a parole), che impediva loro qualunque accordo tanto coi popolari quanto coi liberali. Mentre i socialisti rifiutavano di collaborare con gli altri due gruppi, i popolari erano disposti a collaborare coi liberali; ma domandarono assai più di quanto i liberali non fossero disposti a dare. Così la Camera era divisa in tre parti: fra le quali nessuna era capace di governare da sé sola, e, non poteva mettersi d'accordo con nessun'altra. Si aggiunga che i liberali erano quasi tutti generali senza soldati, e non riuscivano a mettersi d'accordo neanche sotto la pressione dei socialisti e dei popolari. E poi si vedrà che qualunque altra Camera, comunque eletta, sarebbe stata incapace di dare governi meno squinternati.

    Il malcontento prodotto dalla guerra e dal dopo guerra era una malattia, che doveva essere guarita a poco a poco dal tempo, e dal discredito in cui sarebbero caduti a poco a poco gli uomini, che avevano speculato su quel malcontento, ma non avevano la capacità di trasformarlo in forza di una nuova azione politica positiva.

    Questa guarigione cominciava già a manifestarsi sulla fine del 1920. Allora gli aiuti dati dalle autorità militari ai fascisti, per ordine di Giolitti e di Bonomi, vennero ad arrestare il corso della guarigione. Le elezioni dell'aprile 1921, che senza il fascismo armato dalle autorità militari si sarebbero svolte in un disastro elettorale dei popolari e specialmente dei socialisti, si trasformarono in una elezione protesta antifascista, irrigidirono le intransigenze che cominciavano ad attenuarsi, ricondussero gli animi allo statu quo del 1919.

    Avemmo così la Camera di Bonomi, di Facta, di Mussolini. Dopo di che vennero le elezioni dell'aprile 1924.





    Queste elezioni furono fatte a furia di brogli e di manganellate. Attribuire alla proporzionale e al suffragio universale la incapacità della Camera attuale a funzionare in modo normale, sarebbe per lo meno... arbitrario. Però le elezioni dell'aprile 1924 hanno avuto due grandi meriti:

    1) hanno dimostrato che quanti più imbrogli e violenze fa un Governo per vincere una lotta elettorale, tanto più debole moralmente esce dalla lotta il partito del Governo, e tanto più ricchi di prestigio e di combattività diventano i gruppi di opposizione. Anche Giolitti ha fatto sempre le elezioni, dove era necessario, con metodi fascisti; e anche lui si è sempre trovato senza una maggioranza seria nelle ore difficili: nel maggio del 1915, i trecento biglietti da visita, deposti alla sua porta dai deputati contrari alla guerra, diventarono trecento voti per la guerra nell'aula parlamentare: perché? - perché quei trecento deputati sentivano di non rappresentare nulla, essendo stati eletti non dal paese ma da Giolitti;

    2) le elezioni dell'aprile 1924 hanno riabilitato il suffragio universale: infatti i deputati del listone nazionale sono stati eletti, non dagli elettori, ma da cinque sole persone, sulle quali esercitava un diritto supremo di revisione una sola persona: dove trovare un corpo elettorale meno... democratico e meno suffragio universale? ma quale personale è venuto mai fuori dalla scelta di un corpo elettorale così... aristocratico?

    Oggi si torna al collegio uninominale. Non è detto però che la riforma riesca a soffocare gli stati d'animo popolari, secondo il calcolo dei suoi fautori e di rafforzare il ceto oggi dominante.





    Ma il collegio uninominale può essere, più che la proporzionale, uno strumento comodo per incatenare e falsare il suffragio universale. Quando Giolitti dice che lui le elezioni con la proporzionale "non sa farle", dice una grande verità.

    Con la proporzionale, il governo e i suoi agenti elettorali si trovano di fronte a masse di centinaia di migliaia di votanti, che non si possono controllare facilmente, e un certo numero di posti alla minoranza bisogna lasciarlo, e la minoranza, filtrata attraverso il crivello della ostilità governativa quando il governo non si tiene neutrale, arriva alla Camera più vigorosa della maggioranza. Nel collegio uninominale, le violenze e il broglio lavorano su masse di una decina di migliaia di elettori; è più facile calcolare lo sforzo da compiere per carpire la vittoria: basta concentrare la violenza e la frode su un unico settore del campo da conquistare, fabbricando in questo settore tutti i voti necessari alla vittoria. Ecco il vero pericolo.

    Ed ecco perché Giolitti, Orlando, Salandra, che erano rimasti impassibili dinanzi all'assassinio di Matteotti, sono scesi in campo, proponendo la pregiudiziale così detta politica contro il collegio uninominale di cui sono stati sempre nostalgici. - Collegio uninominale, sì. Ma le elezioni chi le farà? Lui o noi? Ecco il problema!

    Sentono che il collegio uninominale funzionerà specialmente contro di loro. Anche indipendentemente dalle violenze e dai brogli governativi si troveranno schiacciati fra fascisti ed antifascisti, specialmente se nel collegio uninominale non ci sarà il ballottaggio: 1) perché hanno fiancheggiato i fascisti, e i contadini e gli operai delle provincie hanno memoria più solida dei signori che vivono e sognano a Roma; 2) perché quei pochissimi fra loro che sono stati sempre antifascisti, non hanno quasi in nessun posto forze sufficienti per vincere da sé soli contro fascisti da un lato, socialisti e popolari dall'altro.

    Solo la proporzionale li avrebbe salvati - per quanto realmente valgono - dalla rovina completa. E sono proprio essi, che hanno combattuto la proporzionale. Mussolini li ha presi in parola: incìdit in foveam.

    Quanto ai fascisti, se le elezioni col collegio uninominale riesciranno a farle essi, si troveranno dopo le elezioni al punto di prima.

    Lo sforzo che dovranno fare per addomesticare la volontà della maggioranza, li renderà sempre meno sicuri di se stessi.

    Il suffragio universale è una bestia che nessuno, da che mondo è mondo, è riuscito mai a domare. Bisogna lasciarla urlare, bisogna ricercare perché urla, bisogna eliminare le ragioni per cui urla. Questi risultati non si raggiungono con le elezioni addomesticate.

G. SALVEMINI.