I GRECI D'OGGI

    La superficie della vita politica greca è in continua effervescenza. I partiti lottano tra loro ardentemente, e dal loro cozzare e alternarsi, atti nuovi e impensati nascono. S'assiste alle rapide fortune e al veloce tramonto di uomini, come se si potessero consumare nel volgere di un giorno. Elementi estranei s'uniscono alla lotta: i militari, inquieti e ambiziosi, si servono dell'unica parvenza di forza ch'è nel paese per imbastire pronunciamenti e rivolte, e ogni tanto un generale vuol porre mano sul potere. Tanti uomini privati fanno sentire potenti influenze. Cambiò il regime, idee nacquero e perirono: chi alzò il re, chi il popolo, e tutti vollero sacrificarsi per questi dei veritieri. E attorno, la gente s'affanna, ragiona, discute: tratta grandi problemi di politica estera, vuole sempre nuovi fondamenti allo Stato.

    E' un apparente fervore che può far sospettare un fecondo crogiolo di vita, che solo per troppo fuoco ribolle incompostamente; un entusiasmo politico che spinge tutti ad offrirsi, esagerando solo per soverchio entusiasmo; una ottimistica fretta, che basterà incanalare e frenare perché diventi perfetta virtù civile.

RETORICA POLITICA

    Ma questo fuoco si dimostra illusorio e malsano a chi intenda un poco lo sguardo. Già il fatto principale, l'interesse stesso, così insistente, a volte perfino morboso, che la gente presta alla cosa pubblica, posto sotto una diversa luce appare incompleto e insufficente. E' un interesse formale, esibitorio; è determinato da uno straordinario bisogno di parole, ma in genere s'arresta a questo, non sente necessità di passar oltre; le azioni comuni sono accompagnate dagli individui colle parole, non col volere; far politica è pei greci fantasticare, costruire sul vuoto, arrivare alle pretese folli, ai sogni più azzardati, e poi arrestarsi, senza occuparsi se ne segua un corrispondente di voleri e di atti; e conclusione è il possesso irreale della fantasia, l'illusoria pienezza che lascia il lungo sogno. I Greci non posseggono il nostro senso di realtà; non hanno confine tra realtà e fantasticheria; non paragonano mai il loro sogno alla realtà, cercandovi sanzione, la loro realtà l'han lì, fuor dell'uscio, basta toccarla; la pochezza cui sono incatenati. Pare impossibile possano pensare seriamente quel che poi dicono, che non ne sentano lo stridente contrasto con ciò ch'è in loro, o loro attorno.





    Così, accanto a questo interesse retorico, è una indifferenza effettiva per le cose della Nazione. L'individuo non ci si sente implicato come cittadino; ma riconosce in essa attuati i sogni tessuti; e ad una azione che non gli dia vantaggio immediato e personale, repugna; tanto più per ciò che chiede dedizione; pericolo, dolore; non rinuncia mai alla propria stretta particolarità e non si dona a ciò che da quest'opera esula. Così, per quello che la patria effettivamente fa, e che certo è sempre lontano dai suoi vastissimi sogni, serba una noncuranza suprema; né mai il dovere di cittadino contrasta questo egoismo; non è difficile sentir uno, che affermò testé la grandezza della patria e il suo diritto al dominio mediterraneo, vantarsi poi d'esser riuscito a imboscarsi durante l'ultima guerra; con una ingenuità che dà più stupore che repugnanza.

    Anzi, se la pochezza del paese sentono, non é per averla nella propria carne come dolore e cercar di sanarla, ma per allontanarla come una cosa estranea e beffarda; han fastidio di questo ostacolo frapposto tra loro e il lor sogno, per questa dimostrazione palese della lor doppochezza. E allora la noncuranza riveste forme tristi ed avvilenti, quale la voluttà di canzonare il proprio paese, di porlo in burla di fronte a chiunque, che ferisce come un cinico sadismo.

    Ne ebbe prova chi assistette alla lotta pel regime e alla proclamazione della repubblica; parve l'una fatta per burla, e arrivò d'altronde a mutar solo l'uomo che abita nel palazzo dello Zappio; l'altra venne accolta da una sovrana indifferenza; ad Atene, un migliaio di scalmanati s'affannò a berciare, tra lo stupore di pochi spettatori; e c'era tanta gente, quel giorno, che a guardarsi, chi sa perché, rideva; o chi vide la scena miseranda del ritorno dall'Asia dell'esercito battuto, resti d'un gran sogno per sempre spezzato: glaciale fu la noncuranza dei cittadini, insensibili alla vergogna del crollo tremendo; e furon lesti a gettar la colpa su pochi capi.





    Ogni cosa nasca da loro, invece di riconoscervisi e d'averne orgoglio, essi sono pronti a disprezzarla e non vogliono assoggettarvisi; sono privi di disciplina interiore; non vogliono rinunciare all'indeterminato bel sogno per la feconda determinata piccolezza dell'azione. E sono anche delle volte stanchi di esperienza come scettici uomini maturi, e qualunque ordine si proponga, non hanno entusiasmo e non credono, instabili e troppo furbi, e invece di pensarlo buono, anche se son loro che lo vogliono, pare sappiano già che sotto vi s'annidano il malvolere e l'ambizione. Sono scettici e stanchi prima d'aver toccata la pienezza della propria esperienza. Stupiscono questi tratti di sfiducia in gente cui non manca salute, e che dovrebbe attender fidente l'avvenire; si sente qui la radice del malcostume politico, se la politica attiva è spregiata e abbandonata a chiunque voglia porvi mano; sono essi stessi che rifiutano una vita più larga, ed essa se ne fa misera e vile.

SANITÀ POPOLARE E INDIFFERENZA

    C'è un fatto ch'è insieme fondamento e negatività dell'anima greca: la sanità popolare. Qualcosa di puramente naturale, così come naturali e istintivi ne sono i prodotti; il fondo sano e ristretto, da cui nascono le uniche cose originali e belle, i frutti dell'arte e dell'industria popolare. E' una sanità che si riconosce nei modi, nelle forme di vita, negli slanci, in una essenziale onestà, in una certa vita patriarcale, serena, diritta. Rinasce il popolano dell'età dell'oro.

    Ma ciò non ha che un valore limitato, come efficenza: è una cosa al tutto precedente la coscienza, una vita insieme pensata e voluta: e l'istinto, per quanto buono, mai arriva ad una percezione chiara di motivi, ad una scelta; abbandonato a sé troppo spesso erra, e si lascia accecare. Non v'ha una volontà morale che guida, ma solo il primitivo abbandono alla natura. E per la vita sociale, ciò è troppo poco; così avviene che su questa spontaneità s'elevi e trionfi non l'effettiva bontà, il merito cosciente, ma l'astuzia e l'avvedutezza; e che d'altronde davanti alla bravura, alla furberia, codesta gente s'arresti affascinata. E' una natura che non s'è fatta volere, che non ha trovato ancora una sua via d'espressione; quindi, troppo spesso, tutt'affatto inutile; fattore negativo. E sulla sanità inconscia, trionfa la furberia; così il greco, uomo sociale, si pone assolutamente diverso da quello che appare nella spontanea vita individuale.





    Di fronte alla politica anche l'istintivo senso del bene si smarrisce, e ogni intuito si smorza; rimane l'uomo solo, che vede in tutti dei nemici, e che s'accosta all'altro solo per l'interesse. Sordi alle voci più nobili, non comprendono le idee che potrebbero essere feconde di legami tra loro. Per questa incompletezza, nella vita politica il Greco è di solito individualista o parteggiatore; alla disciplina interiore e coerente che esige il partito, non arriva. Vuole avere ad ogni costo una sua opinione, e distinguersi dagli altri; e segue solo un uomo; allora è la trista disciplina del parteggiatore. Anche i partiti, malgrado i nomi occidentali, sono solo un uomo, l'uomo rispettato e seguito perché è abile, furbo, potente, attorno al quale s'organizza una clientela che combatte nel suo nome.

    Il popolo Greco non è un gregge; è un conglomerato di individui che non si dialettizzano, non si arrendono, ostili a qualunque azione sappia di comune; preferiscono capeggiare, e spesso, qualche ignoto si solleva e vuol rovesciare lo Stato, facendo concorrenza a quelli che gareggiano nel parlamento. L'organismo snodato e concreto della nazione è ignoto. Nei rapporti tra loro, non si trattano come membri dello stesso popolo, sottoposti a una comune legge, ma come individui assolutamente lontani e indipendenti; e trattano come uomini che abbiano ciascuno il proprio principio e il proprio diritto, e nessun dovere all'infuori di quelli della propria persona. Il loro legame è puramente conservativo; la solidarietà, quella puramente rudimentale, quasi animale, della stirpe, se agiscono d'istinto; coscienti, anche questa tosto smarriscono.





LA DEMOCRAZIA ELLENICA

    Sotto il nome di partiti, dunque, consorterie e clientele s'adunano. La parola democrazia trionfa, in Grecia, ed è espressione tipica del cittadino ellenico; tutti si dichiarano democratici, e pare temano ad assumere diversa denominazione; molti ne sono i gruppi, ciascuno raccolto attorno a singoli capi, sempre in concorrenza o in lotta aperta fra loro. Ma non pare che questa democrazia esprima altro all'infuori d'uno slegarsi da una superiore tutela, o da ciò che dà una disciplina ed un dovere, e fare secondo il proprio arbitrio; non certo l'imporsi un altro dovere più difficile e duro, perché affidato tutto alle proprie forze. Essa esprime il fondamento anarchico e individualista di questo popolo, a cui manca, della democrazia, la disciplina interiore, l'educazione, la capacità di sottomettersi al bene comune; che rifiuta di ingranarsi in una vita organica, dove s'obbedisca più che comandare. Per essere democratici, manca loro il senso della propria limitazione rispetto agli altri, il riconoscimento dei diritti altrui, accanto ai propri. E infatti questa democrazia è avversa a tutto ciò che impone disciplina e devozione, sia la monarchia che il socialismo. Nell'azione, essa è discontinua; di solito, si limita al non intervento, come nelle questioni più gravi di politica interna; ma non manca a volte di decisioni troppo brusche, come nel recente progetto di riforma al latifondo; il suo campo è nelle grandi questioni inutili, e suo grande merito fu il mutamento di regime, che cambiò solo un nome. Nella politica estera, non si impone una visione nazionale dei problemi, ma v'ha solo un uomo che tratta, e ottiene secondo la sua astuzia.





    Né a questa democrazia individualista ed egoistica si contrappone un serio conservatorismo, chè si passa da un tradizionalismo formalista e privo di sostanza a un nazionalismo retorico, senza senso comune, che non fanno radice su alcuna delle realtà economiche su cui potrebbe sorgere un saldo conservatorismo agrario, né sul motivo assai sentito della monarchia. Realmente, l'unico principio attorno a cui si polarizzano uomini devoti è il monarchico, e specie nell'animo incolto del popolo delle montagne vive la tradizione del re, principio trascendente che conduce all'ossequio, e che a volte si fa mito: spesso si può sentir donne e vecchi narrare di Costantino, il santo che non è vero sia morto, ma vive nascosto in chi sa qual luogo di miracolo, attendendo la riscossa.

    Le ragioni naturali ed economiche, le varie forze che dovrebbero condurre gli uomini a voleri e ad aggruppamenti, polarizzandosi attorno ad esse seconda i lor interessi, non sono ancora pervenute a fornire la base di concreti ed effettuali voleri.

    Ne diviene l'assenza di ogni base di lotta politica; sono uomini che lottano per la propria affermazione particolare, nulla impersonando di superiore al proprio individuo; che non rappresentano il volere di una massa nella nazione, che non agiscono in forza di una idea o anche di un mito, ma portano al governo particolari interessi, e quando hanno da trattare, sono nello stato d'animo del mercante che lésina, dibatte, cerca di strappare il maggior vantaggio per il gusto dell'affare; ora, questo può tornare a volte di vantaggio alla Nazione, ma è pericoloso erigerlo come sistema. L'aspirazione può esser anche di far il bene della patria, ma c'è il rischio di deviare dalle effettive necessità e possibilità del paese, e di portarla a tristi estremi.

    Lo stesso esserci tanti uomini che aspirano al governo della cosa pubblica, e il vederli lottare tra loro, oggi amici, domani nemici, e aspirare al potere e toccarlo per farsene un'arma di dominio per favorire i propri clienti, siano generali o ambasciatori o professori, togliendo ogni continuità e ogni serietà agli uffici più delicati dello Stato, dà un'idea della misera moralità politica di questo paese, in cui sono solo fazioni e uomini che cozzano in un inutile affermarsi al possesso dello Stato, non feconda lotta di partiti illuminati e coerenti, che porti, col contrasto di idee e di voleri, effettivo aumento alla nazione.





L'OPERA DEL GOVERNO

    Si può così capire quanto scarsa azione è riserbata a simili governi. I fatti interni, lotte di lavoro, questioni economiche, scambi, rimasero sempre fatti privati, di per sé bruti, poiché non ne nasceva alcun fattore di volontà o di coscienza, che divenivano secondo lo scontro dei fattori naturali, senza farsi voce; nessuna esigenza superiore ne uscì, perché anziché cercarne una soluzione collettiva, ciascuno risolse il suo problema particolarmente e tacitamente, e più che desiderarne una comune equità, ed esigerla, si mise in gara cogli altri e cercò di batterli in furberia. D'altronde, il governo arrivava scarsamente e intempestivo, e, privo di una linea, passó da passività inesplicabili a interventi precipitati, in cui i teorismi e il desiderio di accontentar i capricci della folla soffocavano a volte l'innato senso dell'utile; si vide inerte il governo di fronte al grave sciopero dello scorso giugno, che paralizzò per molti giorni la vita della nazione, e lo si vide or non è molto, in una questione non essenziale per un paese in buona parte del quale già vigeva la piccola proprietà, arrivare ad una assurda legge di esproprio dei grandi possessi terrieri, anche se ben coltivati, corredata di provvedimenti intesi ad impedirne il riassorbimento nelle mani di pochi, come se l'astrattezza di una legge potesse annullare le tendenze ingrate dell'uomo.

    Invece la vera attività d'ogni governo è la politica estera; la maggior ambizione, trattare coll'estero, gettare lo sguardo nei grandi problemi europei; la preoccupazione dei provinciali. E in questo, irrealtà e fantasia li guidano, come se al posto d'un fondamento di dati iniziali e di conseguenti azioni, bastassero a determinarla delle aspirazioni astratte ed illusorie. La loro politica (politica anche degli uomini comuni) è fatta giorno per giorno; ma, risolvendo caso per caso, tra l'una e l'altro non v'ha linea, unità; abili volta pe volta, nel complesso risultano incerti, ondeggianti, discontinui; e loro stessi in fondo ci si sperdono. C'è in loro uno stacco netto tra una abilità partigiana e destreggiatrice, fortissimo istinto dell'utile, del lato debole dell'avversario, che li conduce senz'esitazione dov'è il lor effettivo vantaggio, e una deficenza di visione generale, realistica e volontaria, che li tragga per una via chiara e continuativa, limitata e coerente alle proprie disponibilità. Manca il legame unitario, e onestamente definito; la visione netta della propria vita che si deve svolgere e agire tra quella degli altri; l'ossessione del guadagno immediato li conduce spesso a fondamentali errori. Manca loro un senso del proprio diritto e proprio limite, confermato da una effettiva esperienza e tradizione diretta; manca la coscienza di aver fatto, di esser sé. Perciò, debole è il confine tra il proprio e l'altrui, il senso onesto di un proprio cammino, da cui può uscire una politica estera dignitosa, ferma e limitata.





    La politica estera greca è stata destreggiata e mercanteggiata, piuttosto che agita: potrebbero insegnarlo i serbi ed i bulgari. Le azioni sono scarse e insufficenti: la prima azione che i greci impresero da soli (l'aiuto inglese si limitò ai mezzi) parla da sé abbastanza chiaro. Così, sono già grandi e non ancor consci di sé; non hanno ancora avuto l'inestimabile bene morale d'aver fatto una volta da sé, d'essersi esperimentati. In questo senso, manca loro anche una tradizione, come linea d'azione chiaramente e fermamente tenuta attraverso gli anni (ché non si può chiamar tale l'istintiva tendenza a liberarsi dalla dominazione nemica, tendenza che del resto ebbe sempre più carattere di conquista che non di compimento di giustizia); l'unica tradizione è quella di destreggiamento e approfittamenti; e alla sua scuola i politici moderni son cresciuti. Ma tutto ciò è arrivato ora al fallimento; si dovrà capire che il primo e più profondo problema è quello interno; rassodare le proprie basi storiche, malferme e dubbie, e fondare una coscienza di sé.

L'ECONOMIA

    Sotto l'andamento discontinuo e disordinato della vita politica, si tesse indipendente la trama istintiva della vita economica, fondata su una equilibrata distribuzione di forze; la trama degli atti veri, da cui si desume, oltre che dall'esame degli animi, le capacità effettive del paese.

    Questa astrazione, questa duplicità di correnti non determinantisi a vicenda né corrispondenti e informatisi, al nostro occhio è un assurdo non senso. Che la politica arrivi ad atti assolutamente incommensurabili coll'economia del paese, superanti ogni sua possibilità, e che il senso della propria realtà e disponibilità non infonda atti e contegno, ci sbalordisce: ed è questo che successe finora, finché la sconnessione della politica, giunta ad atti assurdi, non distrusse il difficile equilibrio dell'economia e degli stati d'animo su essa fondati, portando alla crisi attuale e alla necessità di espressione di forze più aderenti alla realtà.





    Perché, quale poteva e doveva essere la vita politica greca, lo dichiara il sommario esame delle possibilità economiche del paese, e degli stati d'animo elementari che vi fanno base: solo su ciò può fondarsi una politica realistica, cioè una linea di volontà conseguente alle disponibilità. La realtà naturale è povera, e non autorizza aspirazioni ad espansioni e grandezze, per cui manca l'elemento primo.

    Per quanto l'agricoltura costituisca la principale risorsa del paese, e le valli, le scarse pianure e le coste dove abbondano l'olivo e la vite producano molto, pure l'infecondità di molti luoghi di natura montuosa e petrosa rendono la Grecia bisognosa di molti prodotti di principale importanza, e quindi suddita dei paesi esportatori; né la pesca, non ancor completamente sfruttata, di cui specie il mar Egeo è ricco, né il traffico delle spugne, di cui molte delle isole vivono, sono sufficienti a bilanciare la deficenza. Se ne determina uno stato generale di sudditanza e di incertezza, quale quello di un popolo che non dispone di risorse fisse.

    La proprietà è ovunque, assai frammentata, e se ne determina una esuberanza di proprietari di fronte ai salariati; e la rudimentalità del lavoro agricolo non favorisce l'adunarsi di masse di operai e di contadini, che radi e saltuariamente convergono anche nei centri; dove si esercita il lavoro e lo sfruttamento dei prodotti della terra. Né tale accentuazione avviene per altri motivi, ché il suolo, poverissimo di minerali, non permette il sorgere di industrie; né d'altronde fino a pochi anni fa s'erano raccolti capitali per lo sfruttamento delle risorse effettive. Così, oltre che di prodotti agricoli, esiste una forte importazione anche di manufatti e di macchine di ogni genere.

    Quello che fa bilancia, e che, coll'emigrazione temporanea, costituisce la ricchezza dei Greci, è il commercio marittimo, favorito dalle lunghe coste e dagli ottimi porti. Essi fanno da intermediarii; non producono, ma da una parte acquistano, e portano a vendere altrove; molti paesi balcanici (ora non più la Turchia) si servono degli economici noli dei greci; navigatori eccellenti, la lor flotta commerciale, fatta dei rifiuti dei porti d'Europa, solca infaticata il Mediterraneo orientale, a servire gli altri. Né ciò è senza influenza sul carattere della razza, priva di proprie risorse, e costretta a vivere servendo; non è più il commercio giusto, adeguato alla propria produzione, ma quello mercenario. Il senso di instabilità, di mancanza di un valore proprio, è vivissimo negli uomini Greci.





    Una tal povertà radicale non é priva di senso; vuol dire essere condannati a una disperazione di inferiorità e di sudditanza, non avere una propria base, non poter fondare una propria potenza sostanziosa, una vita dal giro completo. Né è possibile mutare, né alcun volere astratto può valere a ciò; sono dati necessari che si accolgono e solo su essi si deve costruire.

    Prima dell'ultima guerra c'era un lento e continuo moto d'espansione verso l'Asia Minore; ma non bisogna scambiare la presenza di uno che va per servire con quella di uno che vuol dominare. E i Greci andavano sempre per servire; facevano naturalmente quello che era lor meglio adatto; il commercio, la banca; ma non avevano fondata una superiorità, una potenza; erano sempre gli intrusi, non dei nuovi padroni; in effetto, i Turchi non s'erano mai lasciati dominare; facevan lor comodo questa razza àlacre e industriosa. Ma i Greci errarono quando credettero che questo desse loro il diritto a un dominio che non erano in grado di istituire.

    Impossibilitati ad una vita completa nella propria terra, non arrivarono a possederla espandendosi; anche altrove, si portaron dietro la propria condanna, ben diversamente da coloro che, lasciando una patria forte e ricca, hanno nell'animo l'orgoglio di una piena vita. C'è nelle cose una necessità da cui non si può uscire; su essa anzi si forma l'animo dell'uomo.

IL PROBLEMA PIU' ATTUALE

    Sistematizzato e arrestato nei suoi momenti principali, tale è lo stato delle cose in Grecia; stato psicologico e naturale; ma è ancora solo il riassunto dei fatti reali e degli errori, senza tener conto delle possibilità di vita; né essi possono esser eterni, ma dalla prova della loro insufficenza parte la ragione d'una nuova vita; e poiché appunto gli errori maturati giunsero alle estreme conseguenze e male ne venne, è più difficile persistervi e la necessità dà l'impulso non ad uscire dalla natura, ma ad entrarvi realmente, ad allogarvisi meglio, a vivere solo di essa, per trarne ogni possibilità; da essi escono naturalmente il maturarsi della crisi e l'indicazione delle nuove vie.





    Una vita smisurata d'arte può albergare in gramo sito, poiché nessuna realtà di fatto pone confini alla fantasia; ma non s'ha a confondere la sua potenza creativa con una di realtà, né ad essa chiedere azione in campo che non è il suo; e mutarle piano è il più grave errore.

    Dal seguir il volere più la fantasia che la realtà, nacquero mali che influirono su questa, alterandola e impedendole di durare anche della sua vita naturale; nuovi problemi s'aggiunsero, a render impossibile procedere nell'antico modo. Il pericolo scosse gli indifferenti, percossi nel sangue e negli averi dagli errori incalzantisi, dette l'oscura sensazione del danno e la necessità di dover correre ai ripari. Si chiarì la crisi, incalzata dai nuovi problemi.

    L'equilibrio economico anteriore, quello che bilanciava la povertà del suolo patrio col commercio e coll'emigrazione, s'alterò; da un lato si rese difficile l'emigrazione, né l'emigrante greco parve tanto desiderabile perché gli si aprissero cordiali i porti d'America; d'altronde, preclusa alle navi greche la Turchia, venne a mancare tutto il piccolo e lucroso commercio che esse esercitavano sul Mar Nero e sulle coste Mediterranee dell'Asia Minore; e il basso costo della moneta, l'infinita rete di intermediari e trafficanti e la licenza di speculare, fecero sì che i generi di vita, specie quelli importati, raggiunsero prezzi altissimi, determinantisi al di fuori d'ogni intervento dell'impotente governo.

    A queste cause, di per sé gravissime, s'aggiunse da poco il più terribile problema, che nessuna volontà può risolvere; la forzata immissione nel paese greco, incapace da dar pane già ai propri abitanti e depauperato dalla guerra, delle molte centinaia di migliaia di profughi dell'Asia Minore, arrivati privi d'ogni cosa, inebetiti, miseri carichi di carne umana, avulsi dalla terra dov'eran nati e dove avevano tutte le proprie cose; gente di cui solo una piccola parte avrà la forza di ricostruirsi col lavoro una nuova vita, e che alla Grecia è impossibile assorbire.





    E' miserando a un cuore umano lo spettacolo dei vasti accampamenti dei profughi, sozzi, privi d'acqua, focolai di malattie; rivolta, se si pensa che è pure di uomini questa merce che peregrina coi suoi stracci, cacciata come una mandra, e dove l'arrestano, s'accuccia e rimane inerte, ad attendere che altri le rechi lo scarso cibo che la tratterrà sulla terra. Orrendo delitto degno di remoti tempi, consumato sotto gli occhi e col controllo della civiltà. Né il paese greco è in grado di provvedere; così il problema ha palliativi di mese in mese, colle interessate elemosine del governo inglese; ed è spaventoso pensare che avverrebbe se queste cessassero.

    Ora, di fronte a tanta difficoltà e a tanta urgenza, non v'ha alcuna capacità e decisione; gli uomini politici continuano nelle lor piccole beghe, e il parlamento risolve i problemi rovesciando il governo impotente e sostituendolo con uno eguale, e rimandando le soluzioni da una all'altra stagione; c'è una assoluta inettitudine, né colla mentalità d'un tempo si può più continuare. Le cose stesse reclamano nuovi animi e un nuovo ordine, che si fondi su di esse. E si cercano i sintomi di questo rinnovamento interione, che la stessa vita che continua e si rinnova, richiede.

CULTURA EUROPEA E SOCIALISMO

    Forse tra i giovani studiosi non è difficile rilevare l'aspirazione ad uscire dall'angustia spirituale che li circonda; essi cercano di avvicinarsi alla coltura europea, e di liberarsi dagli impacci formali e tradizionali che intralciano questa espansione. Ma sono ancora in un campo di ricerca enciclopedica e astratta, in uno stadio puramente teorico e culturale; cercano più notizie che sostanza, e il loro desiderio è solo di vedere e sapere; non aspirano all'azione né hanno alcun sentimento di dolore o di sdegno per le lor condizioni attuali; il loro rinnovamento non è arrivato tanto profondo da esiger conto della loro realtà. E in questa, sono ancora legati al passato. Forse data la loro vita e l'ambiente tale richiesta ansiosa e cupa è più difficile per loro che per i più umili ed incolti, in cui le reazioni sono più immediate e sincere e più forte il senso di disagio; né cosa si frammette tra questo e quelle.

    Il vero moto di reazione e la vera nuova voce non possono nascere che dal popolo; e di un moto puramente popolare, del socialismo, siamo già in presenza; in questi ultimi anni, da quando la Grecia si lanciò all'avventura, esso è nato e s'è fatto forte. C'è alla sua radice un profondo motivo di necessità che lo giustifica completamente.





    E' logico che non sia nato prima d'ora: nessuna ragione economica lo portava; c'era nel paese un equilibrio naturale, che inglobava e soddisfaceva tutti; l'economia rudimentale dell'agricoltura, colla frammentazione della proprietà; l'inesistenza di industrie e di grandi città, e quindi di masse; l'inesistenza d'imprese capitalistiche; la vita tranquilla e astratta, lontana dalle dure prove, dai cimenti che danno agli uomini il senso di sé, del rischio e del proprio valore, e li conduce a criticare gli ordini esistenti; non c'era alcuna ragione che li portasse fuori della lor vita mediocre e queta, se si aggiunga l'indolenza e la neghittosità insite nei loro animi. Vivevano fuori della realtà, dovevano essere scossi, agitati, toccati alla radice della carne e della vita. E questo è ora avvenuto, poiché la stoltezza dei visionari è arrivata all'assurdo, e poiché il progresso economico ha alterato le basi precedenti; questi due ordini di cause indipendenti hanno concorso a fare enorme e insostenibile il disagio; uno dette forze e incremento all'altro e sono tanto connessi e intrecciati che a volte é impossibile discriminarne gli elementi. Le guerre e gli aumenti territoriali aumentarono i bisogni e alterarono la distribuzione della ricchezza. Crebbero le città, e vi si adunarono operai a masse, per sopperire alle nuove esigenze, e vi accorsero i cercatori di fortuna; la campagna si depauperò, e nacquero le prime società e i primi gruppi capitalistici che accentrarono le attività più redditizie. Continuandosi le imprese belliche, crebbe la disparità tra i detentori della ricchezza, che ne ebbero tutto il vantaggio, e le masse, battute dal rincaro dei viveri e dai disagi tremendi delle guerre, affrontate senza preparazione e in terreni inospiti. E alla fine, il rovescio, la diminuzione del lavoro e la disoccupazione, la carestia e l'afflusso dei profughi, col loro carico di disperazione e di rancore. Qui nasce nel popolo il desiderio di farsi una propria vita, staccandosi dal carro dei sommi, e di far sentire il proprio peso; deve esser buono solo quando si tratta di soffrire?





    L'epoca antecedente ha un periodo completo di esperienze, concluso colla smentita; occorre rifarsi su nuove basi; occorre ritornare su se stessi, accostandosi alle proprie possibilità e alle proprie esigenze; e vivere, facendo centro su queste; occorre fondare una vita seria e raccolta a cui tutti concorrano, chiamare a raccolta tutti gli elementi della nazione, sanare gli errori con una maggiore aderenza alla realtà; questo è forse il significato profondo e il compito del socialismo in Grecia.

PRIMO ESPERIMENTO SOCIALISTA

    Nella sua manifestazione, questo anzitutto colpisce; che questo stato non è preceduto da un movimento teorico, di studio, ma che la sua essenza é completamente popolare e naturale; e su questa base si mantiene nella lotta, né ancora é stato fiancheggiato da sforzi di chiarificazione, da tentativi colturali. Qua e là, ancora, è venato d'elementi spurii e oscuri, specie nelle regioni che risentono dell'inquietudine rivoluzionaria di Macedonia; ma nelle linee generali è chiara la purezza della sua origine economica. S'aduna sopratutto nelle città di mare, Atene, Salonicco, Pirèo, dove sono più abbondanti le masse di operai, scaricatori, marinai; è meno forte nell'interno, tra gli scarsi ferrovieri e in qualche centro agricolo; nullo nelle campagne e tra gli impiegati borghesi, in cui l'illusione retorica riesce ancora a bilanciare la miseria effettiva.

    Ed ha fatto il suo primo esperimento nello scorso giugno, nello sciopero generale delle corporazioni marinare, portuali e ferroviarie, che paralizzò effettivamente per oltre due settimane la vita della nazione, e in cui il governo, impotente a intervenire, si ritirò lasciando che gli industriali patteggiassero direttamente coi "sillogi" operai. E particolarmente aspra fu la lotta, perché il movente non era questione di salarii, su cui gli industriali erano pronti a cedere, ma la richiesta da parte degli operai del riconoscimento dei diritti sindacali, e della autorità delle federazioni. Fermo e dignitoso fu il contegno degli scioperanti in questa azione collettiva, e in pochi casi gli individui si sottrassero ai doveri e ai dolori comuni. Oscuramente e faticosamente sotto i motivi economici si vengono chiarendo e fondando quelli politici e le masse vengono prendendo coscienza del loro valore e dei loro diritti.





    Non che questo socialismo possa essere l'immediata panacèa; lungo e faticoso è il cammino, e pieno di rischi; primo, il carattere stesso degli uomini, e l'immanente lusinga della inconcreta e morbida democrazia. Ora, vale come sintomo di una reazione e d'un rinnovamento interiore. L'apparire di voleri rigidi e decisi e di una forza politica che batta un cammino definito e che si ponga degli scopi concreti e vicini; l'inserirsi di una forza collettiva nell'inconsistenza individualistica del popolo; l'affermarsi di un movimento robusto, espressione di intrinseche necessità, che giudica fatti e situazioni sotto l'angolo visuale d'interessi precisi, con una soda base che è di per se stessa garanzia contro visionarie e astratte esagerazioni; tutto ciò è come il rassodarsi, nella confusione di un caos, di un nucleo solido e dotato di energia propria, ed è una buona promessa per il futuro.

    Poiché nella sua stessa essenza, nasce opponendosi alle più gravi negatività intrinseche alla nazione, è buono, e se ne può sperare nell'avvenire l'instaurazione di una reale e feconda lotta politica, quando si formi contro ad esso quel conservatorismo illuminato e realistico che tante ragioni economiche richiedono, e la reazione alla pieghevolezza, alla inconsistenza verbosa dei politicanti d'oggi. Solo da questo potrà poi fondarsi la vita di cui la nazione greca abbisogna, che dev'essere modesta, ordinata e pacifica, tutta concentrata nei propri problemi interni e nella propria educazione.

    Autoeducazione ch'è l'esigenza fondamentale e più necessaria. Perché il Greco non si conosce e non si sa guidare; da ciò il rischio continuo di deviare dalla propria sanità per cause illusorie. Quando esso si condanna o s'esalta, ciò non è mai per un disprezzo o per una soddisfazione reali e fondati, ma solo per abbandoni momentanei e illusori; e ad una effettiva critica di sé, della propria storia, delle basi della propria nazione, non è arrivato; preferisce soffermarsi alla superficie, tra le apparenze.





    Ma a questo esame di coscienza, mediante un movimento intellettuale, di studio e di revisione critica, si deve pur venire, e forse non ne mancano i sintomi; e l'istintivo bisogno di rinnovarsi, da cui è nato il socialismo e che già quindi è reale, si trasporterà e naturalmente dall'attuale stato, quasi fisico, in uno intellettuale.

    Come, lasciati soli e liberi di consumare le proprie esperienze, giunti all'estremo non poterono non avvedersi della vanità, dell'impossibilità di continuare sulle viete basi e della necessità di battere altre vie, d'esprimere altre voci, così ora, riguardando al passato e al proprio animo, arriveranno allo scontento e al fecondo pessimismo critico, germe salutare alle nazioni.

PIRRO MARCONI