LA RINASCITA ARABA

Il problema dell'unificazione

    Le differenze fra arabi delle città, contadini (fellah) e beduini, o nomadi del deserto, marcano già una separazione profonda per civiltà e consuetudini fra tre categorie principali del popolo arabo; il beduino, anche nelle regioni settentrionali, conserva il tipo primitivo e parla in molti luoghi persino un dialetto più antiquato.

    Tra le diverse regioni poi il divario nello stadio raggiunto è enorme: in Siria e Palestina, e sopratutto in quest'ultima, vi è fra gl'indigeni un elemento colto, vi sono partiti politici; vi sono città in cui si svolge una vita moderna; discretamente diffusi l'insegnamento dei varii gradi fino all'universitario, le biblioteche, la stampa; vi si notano principiì di un'organizzazione industriale, bancaria, agricola, operaia, analoga a quella dei paesi occidentali. In Mesopotamia di queste varie condizioni esistono appena i rudimenti; la struttura sociale è ancor primitiva; e le tribù, non scomparse neppure in Siria, conservano qui gran parte della loro organizzazione e dei loro particolarismi. L'Hegiaz ha ancora un certo contingente di cittadini pacifici e di mercanti, ma fuori delle poche città le condizioni di vita ed i rapporti sociali sono arretratissimi.

    Nel Negged quantunque il Governo si adoperi per ottenere che le tribù nomadi si stabiliscano in sedi fisse, che tribù insofferenti di ogni contatto e di ogni autorità e dedite al brigantaggio si sottopongano all'ordine comune, ed a migliorare notevolmente le vie di comunicazione, gli uahabiti (1) che lo abitano sono tuttora crudeli ed estremamente fanatici; essi inoltre sono tutti soldati. Finalmente nell'Hadranaut, la parte meridionale della penisola arabica, non è ancora superato lo stadio del nomadismo e mancano fin i primi rudimenti dell'organizzazione statale.

    Quanto all'Oman, che un vasto deserto separa dall'Arabia centrale e occidentale, esso ebbe una storia pressoché indipendente dal resto dell'Arabia, e poco quindi partecipa tuttora del movimento panarabo.





    Si aggiunga che i siriaci, i palestinesi e gli higiazeni sono sunniti ortodossi, gli abitanti del Negged quasi eretici, quelli dello Yemen Sciiti di setta zeidita, ihaditi quelli dell'Oman, in Mesopotamia convivono una maggioranza sunnita con una forte minoranza sciita. Infine la vastità del territorio in cui sono sparsi, con una densità minima, gli arabi, il contrasto di regioni fertilissime con regioni desertiche, il nomadismo vigente nell'Arabia interna, il processo di differenziazione operatosi nei varii dialetti sí da impedire l'intercomprensione, i particolarismi delle tribù, l'antagonismo dei vari sovrani, tutto ciò rende oltremodo difficile l'auspicata unificazione.

La prova della guerra

    Prima della guerra mancava agli arabi la coscienza di nazione, e quindi la coscienza unitaria, o almeno essa cominciava a farsi sentire solo fra i giovani delle classi più elevate specie in Siria e Palestina, donde non pochi affluivano alle Università europee ad americane, ritornando in patria dopo essersi imbevuti di civiltà e di coltura occidentali, o restando all'estero a scrivere giornali nazionali.

    La guerra ebbe un'influenza decisiva: consolidò, con l'affermazione dei principii di autodecisione e di indipendenza nazionale, le loro aspirazioni alla libertà, e fornì loro il destro, con la disfatta della Turchia, di uscire da un avvilente stato di cose che durava da secoli, determinando una serie di rivolgimenti che non avrà tregua forse se non con la loro indipendenza.

    Se si pensa che i popoli musulmani non hanno ancor superato la rigida ortodossia religiosa e sola unità possibile e pensata è quella islamica che ne fa un blocco contro gl'infedeli fu veramente la prova del fuoco per gli arabi, e in certo senso il segno della loro maturità nazionale, l'essere scesi in campo nel 1915, facendo violenza ad un radicato pregiudizio religioso, a fianco degl'infedeli contro la Turchia musulmana e il Sultano Califfo. Come altra prova di questa incipiente coscienza nazionale, superante le distinzioni religiose, basti citare la stretta unione operatasi tra gli arabi musulmani e cristiani della Palestina contro l'invadenza ebraico-inglese, e la compattezza da essi mostrata nel respingere tutte le proposte e le istituzioni inglesi, dal mandato ai Consigli consultivi alla Agenzia araba.





    Ormai l'idea dell'unità araba, ha fatto molta strada, ed è affermata costantemente da tutti i capi responsabili del popolo arabo, dall'emiro Abdallah che dice: "Io, sono cittadino della Transgiordania, dell'Egitto, della Siria, dell'Hegiaz ", al figlio del Sultano del Negged il quale dichiara di considerare il suo Stato come patria di ogni arabo, della Siria, dell'Irak, dell'Hegiaz, dell'Egitto, senza distinzione.

    Alta patrona del movimento panarabo volle costituirsi fin dall'inizio della guerra la Gran Bretagna, che già aveva interessi nella penisola, e suoi emissarii appunto indussero il Grande Sceriffo della Mecca, Hussein (2), ad insorgere nel 1915, impegnandosi con una convenzione a costituire coi territori ex-turchi un grande Impero arabo con la Mecca per capitale, e tre vicereami nelle diverse regioni retti dai suoi figli. Ma l'anno appresso la Francia strappava alla alleata un accordo che contraddiceva gli impegni anglo-arabi, i quali di fatto all'armistizio non venivano rispettati; e a sanzionare l'arbitrio la Società delle Nazioni inventava i "mandati".

    La Siria, dopo un effimero regno di Feisal, secondogenito del Re dell'Hegiaz, è stata occupata dai francesi, che, avutala per mandato, applicando il vecchio precetto "Divide et impera", l'hanno spezzettata in tre Stati; la Palestina, l'Irak (Mesopotamia) e la regione al di là del Giordano sono state affidate quali territori di mandato alla Gran Bretagna, che le due ultime ha costituito in monarchie costituzionali indipendenti, rispettivamente per il già nominato Feisal e suo fratello Abdallah. Altri due Stati arabi indipendenti sono usciti infine, oltre all'Hegiaz, dallo sfacelo turco: l'Asir con la dinastia idrisita, e l'Yemen con gl'Iman di Saana (3).





Hussein

    La Siria è in preda ad un caos economico, politico ed amministrativo, che i governatori militari francesi non sembrano i più indicati a risolvere; nessuna libertà di stampa è concessa agl'indigeni, imperano le leggi eccezionali, e la Potenza mandataria deve mantenervi un forte esercito per dominare la situazione. Hussein parla a nome di tutti gli arabi lavorando ad estendere la sua influenza oltre le tre monarchie hascimite, e negozia un trattato con l'Inghilterra per cui questa riconoscerà l'indipendenza degli arabi nei confini dell'Irak, Transgiordania e penisola arabica, salvo Aden, e si impegnerà a favorirne l'unificazione, contro il riconoscimento di determinati privilegi all'Impero britannico. Ma contro lo scoglio della Palestina, in cui per la Dichiarazione Balfour l'Inghilterra ha costituito la sede nazionale ebraica, urtano le trattative, per l'intransigenza degli arabi di fronte all'organizzazione Sionista. Anche l'Irak è malcontento dei vincoli imposti dalla Potenza mandataria, e con una serie di agitazioni ottiene concessioni sempre maggiori. La elevazione di Hussein alla dignità di Califfo dopo l'abolizione del Califfato turco doveva dargli nuovo lustro, offrendogli altresì un titolo decisivo alla suprema direzione della Confederazione araba. Ma l'autoproclamazione non era riconosciuta neppure da tutti gli arabi, e gli alienava definitivamente le simpatie del mondo musulmano, degl'indiani sopratutto. Si delinea una offensiva contro di lui con accuse parte vere parte esagerate, alimentata dal fatto che aveva avuto conflitti diplomatici anche con l'Egitto: è autoritario, severo, accentratore, ambizioso, geloso dell'altrui potenza, privo di esperienza politica e venduto, lui custode dei Luoghi Santi, agl'inglesi; suo figlio Abdallah, autocrate come lui, ha amministrato malamente il suo Stato, allontanando dal governo i migliori, ha dilapidato il pubblico denaro, è avido di potere fino alla follia.





Ibn Saud

    L'atmosfera è buona per il competitore. E' questi Abd el Aziz ibn Saud, il sovrano uahar-hita del Negged, che già una decina di anni or sono aveva allargato i suoi territori con l'Hasa ex-turco. L'Inghilterra si era subito affrettata a riconoscergli con un trattato l'intiero territorio per trascinarlo nella sua sfera d'azione; sei anni dopo, per compensarlo di avergli negato il trono dell'Irak cui aspirava, gli attribuiva il titolo di Sultano (maggio 1921) e gli concedeva un assegno di 60.000 sterline annue. Ma Ibn Saud era più "selvaggio" di Hussein. Dopo l'armistizio aveva esteso il suo dominio ad una buona metà della penisola, spodestando gli Al Rascid dallo Sciammar, gli Al Aid dall'Asir settentrionale e togliendo Giauf agli Al Scialan. Più volte aveva fatto passi presso Hussein per un'unione degli Emiri arabi, ed anche l'anno scorso una conferenza si era tenuta a Kuwait sotto gli auspici britannici; ma le trattative fallivano sopratutto per le diffidenze dello Sceriffo verso l'"eresia" uahabita e per la sua pregiudiziale di voler restaurati gli emiri spodestati, oltreché per questioni di frontiera.

    Ibn Saud segue un metodo diverso da quello di Hussein: propone plebisciti per i territori contestati, afferma di non voler governare contro il volere dei sudditi, si picca di nulla intraprendere senza prima consultare i principali capi indigeni, si vanta di essere il solo sovrano arabo veramente indipendente, tutte le sue azioni pretende informate all'interesse della religione. I musulmani dell'India lo incoraggiano; gli emiri dell'Asir e dello Yemen osteggiano essi pure il Re Hascimita.

    Nell'agosto 1924 gli uahabiti sferrano simultaneamente un attacco contro i tre Stati avversari; respinti al nord, invadono l'Hegiaz ove hanno concentrato il maggiore sforzo sbaragliando l'esercito sceriffiano, occupano la Mecca; Hussein abdica, e il primogenito Alì I che gli succede rinuncia al Califfato e chiede la pace. Ma Ibn Saud, non pago ancora, respinge ogni trattativa, e traccia in pari tempo un vasto piano di rinnovamento del mondo arabo ed islamico, di cui vuol farsi promotore.





La politica inglese

    Certo una profonda e non breve evoluzione dovranno compiere gli arabi dell'Haframaut per aver diritto di cittadinanza tra i popoli civili; ma perché i siriaci e i palestinesi giungano ad esempio allo stadio delle nazioni balcaniche non occorrerà molto tempo. Per tutti poi indistintamente è necessario un lavoro immane per vincere il disordine economico e finanziario e dare al paese un'organizzazione amministrativa, giudiziaria, sanitaria all'europea, istituire un esercito regolare ed una polizia, difendere l'insegnamento, creare infine corpi legislativi moderni ai quali dovrà progressivamente adeguarsi l'educazione politica degli abitanti. Per questa opera sarà certamente utilissima la collaborazione dell'esperienza europea; e tanto più utile, anzi necessario, sarà l'intervento del capitale e della tecnica occidentali per i lavori pubblici (strade, ponti, ferrovie, sistemi d'irrigazione, porti, ecc.), lo sfruttamento delle risorse del suolo e del sottosuolo, l'esercizio di grandi industrie, ecc., ecc.

    Abbiam detto collaborazione, che non implica la soggezione degli Arabi ad una tirannia politica; e a questo proposito appare quanto mai miope l'azione della Francia, poiché la pressione eccessiva determina, prima o poi, lo scoppio, o quanto meno mantiene uno stato di agitazione che non torna utile ad alcuno. Poiché non è ammissibile ormai soffocare il moto nazionale degli Arabi, è saggia politica, oltrechè giusta, secondarlo: e secondarlo vuol dire, per chi voglia mantenere comunque un predominio sovra di un popolo, concedergli almeno gradualmente quelle autonomie cui la sua maturità lo porti a reclamare. La politica inglese è notevolmente più realista.





    Che se per dare il loro appoggio le Potenze non han bisogno di ricavarne corrispondenti benefici, è per lo meno dubbio che la tirannia politica sia per servire allo scopo: ché anzi, è interesse delle Potenze capitaliste, oltre che della civiltà e della giustizia, spezzare il circolo chiuso delle tradizioni, favorire e accelerare lo sviluppo dei popoli meno progrediti, promuoverne le libertà costituzionali; mentre la pretesa di una sovranità politica rischia di scatenare il movimento xenofobo e di arrestare lo sviluppo civile portando il popolo ad irrigidirsi, come la tartaruga che si ritrae nel suo guscio, in un atteggiamento di ostilità ad ogni penetrazione.

    Gli Hascimiti, dotati di un'educazione europea e di una buona coltura, sopratutto Feisal e Zeid, il minore dei quattro fratelli, sono gli esponenti di una politica araba realista; ma appaiono troppo concilianti di fronte all'Inghilterra. Questa infatti, sotto il manto di protettrice, tenta l'accerchiamento del movimento arabo ed ha dimostrato un'invadenza eccessiva, come la recente ingiustificata occupazione militare della Transgiordania, che provoca le legittime diffidenze del popolo.

    Ed anche nei confronti degli Arabi si è ripetuto il solito giuoco di intrighi e di influenze delle due Potenze occidentali: padrona in Siria e nemica degli Hascimiti, la Francia fomenta agitazioni in Transgiordania contro Abdallah, negozia un accordo politico-economico con l'Iman di Saana e ne incorraggia le ambizioni e si vuole che anche nella recente levata di scudi di Ibn Saud non manchi il suo zampino.





Che con avverrà?

    Un trionfo definitivo di Ibn Saud, se dovesse portare alla rottura della collaborazione, potrebbe esser causa di un'involuzione del nascente movimento; ma non si può ancora affermare che tale sia il proposito del Sultano uahabita, poiché, fin ch'egli reclama, per bocca di suo figlio, "indipendenza completa e vera" per gli Arabi egli esprime un concetto in cui difficilmente gli si darebbe torto; e se qualche volta è apparso eccessivo, può averlo fatto per sfruttare il sentimento popolare, mentre la concessione petrolifera fatta agli Inglesi denoterebbe ch'egli sa valutare l'importanza della collaborazione degli occidentali, mentre in qualche caso non ne ha disdegnato neppure quella politica.

    Quanto all'unità, non è possibile prevedere se e come sarà realizzata. Certo ad uno Stato unitario, anche quando Siria e Palestina abbiano l'indipendenza, non è possibile pensare per le ragioni accennate in principio, né gioverebbe agli Arabi, legando le regioni più civili alla sorte di quelle ancora semibarbare; ed anche una confederazione generale con stretti legami sembra presentare ostacoli insormontabili per ora. Più attuabile appare invece la formazione di varii gruppi di Stati od anche un'intesa fra tutti in campi determinati. Molto dipenderà dall'esito finale del duello tra Hascimiti e Uahabiti; molto dalla sorte della Siria e della Palestina, nella quale ultima dovrebbero gli Arabi trovare un modus vivendi con gli Ebrei, che sono fra l'altro a loro vicini per sangue.





    Ad esempio, un'unione potrebbe formarsi fra gli Stati settentrionali più civili, eventualmente facente capo agli Hascimiti. Ad Ibn Saud potrà toccare forse di unificare, mediante conquiste ed alleanze, la penisola; ed all'uopo egli proclama di voler fondare nel Negged una potenza in armonia con tutte le esigenze della civiltà, per quanto i suoi Uahabiti abbiano dato prova anche nella recente invasione dell'Hegiaz di crudeltà ed abbiano commesso vandalismi. L'Iman Yahyà, che ha pure l'ambizione di capeggiare lui il movimento e lanciò a questo proposito l'anno scorso un proclama a tutti gli Arabi, potrebbe riunire sotto di sé, oltre all'Yemen, anche il Laheg e l'Hadranaut e qualche altro territorio vicino, magari in accordo e cooperazione con Ibn Saud.

ANTONIO BASSO
(1) Setta fanatica formata nel secolo XVIII da Mohamed Ibn Abd el Uabab e mirante, nei propositi del Maestro, ad una purificazione della religione musulmana; assurta a grande potenza politica nei primordi del secolo scorso.
(2) Della illustre famiglia degli Hascimiti, discendente da Hascim bisnonno di Maometto, che detiene per eredità l'altissima carica.