Il Partito del lavoroSiamo dunque nuovamente a discutere di questo partito, come nel 1906, quando ne parlava L'on. Bissolati; ma veramente non si può dire che dal 1906 ad oggi sia stato fatto alcun passo verso la chiara determinazione di questo partito che, nell'atto stesso in cui vuole costituirsi, fa delle dichiarazioni che vorrebbere farlo apparire un non partito. E' insomma per noi, oggi come nel 1906, il partito del non senso, sia che si segua il D'Aragona, il quale pensa ad una politica propriamente sindacale, sia che si segua il Baldesi, il quale vorrebbe fondere partito politico e sindacato. Frattanto, per capire ciò che sarebbe questo nuovo partito, non è vano ricordare l'atteggiamento incerto ed impreciso che, di fronte al fascismo fino al martirio di Matteotti, tennero i due ideatori di questo famoso partito non politico, che essi chiamano, tanto per distinguerlo, "del lavoro". Il Baldesi è quell'ingenuo che, subito dopo la marcia su Roma, non aveva nessuna pregiudiziale morale contro una eventuale collaborazione con Mussolini, ed il D'Aragona è quel politico emunctae naris che credeva di salvare il sindacato dalle devastazioni fasciste, con quel discorso pieno di distinguo e di cautele, tenuto alla Camera discutendo il programma Mussoliniano. Dunque, dai fatti, di cui han dato prova i pronubi del nuovo partito, si comprende che esso, pur di vivere, non si preoccuperebbe molto del valore morale dei collaboratori. Si può indulgere all'errore tattico di questi due "politici", pensando che nella stessa illusione è caduto il Vaticano, quando ha creduto di salvare i circoli cattolici dalle devastazioni, distinguendo azione cattolica da partito popolare e rivolgendo buone parole al governo fascista. Ingenuità e sbaglio di calcolo dunque; non cattivo volere. I due antenati di questo partito sarebbero il corporativismo amorfo ed egoistico del Medio Evo, che era affidato alla protezione dei Santi patroni, per meglio sbrigare i propri affari, ed il sindacalismo soreliano, il quale voleva ridursi ad un socialismo operaistico, geloso e intransigente, che eccezionalmente avrebbe dovuto servirsi della politica parlamentare; ma sopratutto doveva allenarsi all'azione diretta. Il Baldesi non vuole e non può voler questo; egli vorrebbe che la Confederazione fosse il centro di attrazione dei vari partiti socialisti, come è accaduto in Inghilterra, per compiere un'azione effettiva di politica democratica. Senza rilevare che in Inghilterra non è apparsa ideale la forma d'organizzazione là usata e che altra è l'origine del movimento sindacale, si può tuttavia osservare che, alla prova, il laburismo si è presentato come un qualsiasi partito socialista occidentale, si che pare un fuor d'opera sconvolgere la usuale topografia dei partiti, se la conclusione deve poi essere la stessa. Tanto più quando l'inaspettato ed ingenuo suicidio dell'onesto governo laburista, se possiamo rinunciare a comprenderlo, data la diversità d'indole e di ambiente, non può certo esser ricordata da noi come un esempio incoraggiante di acutezza politica laburista. Lasciamo stare dunque l'Inghilterra e stiamocene in Italia, ove il Sindacato, pur proclamandosi indipendenti da tutti i partiti politici senza pregiudiziali di sorta, dovrà fare una sua politica "la quale può interferire con quella dei partiti che hanno le stesse finalità vicine o remote". Tale politica - dice l'O. d. g. confederale - "pur essendo più particolarmente volta alla soluzione dei problemi che le necessità quotidiane del proletariato pongono innanzi (a differenza dei partiti che sono per lor natura meno pragmatisti) deve sempre mirare alla proprietà collettiva degli strumenti di lavoro". Tale il verbo dei confederalisti, nella sua ammirevole improprietà di parole, da cui traluce una non meno ammirevole imprecisione di pensiero. Due partiti che "interferiscono" per le stesse finalità "remote" (??) sono un doppione inutile, e se si incontrano per le stesse finalità "vicine" (??) potranno essere alleati sulla base di quel "programma minimo" di vecchia memoria, che non deve e non può essere considerato fine ultimo, ma trarre luce e senso da questo. Il fine "vicino" del partito del lavoro è il provvedere alle "necessità quotidiane del proletariato"; che se fossero assunte come fine remoto, cioè come fine vero, farebbero di questo partito un egoistico e materialista organismo corporativistico. Ma esso, per la Confederazione, non può essere fine ultimo perché, sullo stesso ordine del giorno confederale, si avverte che la politica del partito del lavoro deve ad ogni modo tendere alla socializzazione dei mezzi di lavoro, deve essere cioè... socialista. Il Sindacato infatti, se fosse un'organizzazione che s'adoperasse per ottenere e per difendere solo dei miglioramenti professionali, sarebbe in balia d'ogni governo senza scrupoli, sarebbe disposto ad allearsi con ogni partito, potrebbe salire, pur d'arrivare, sul primo treno che passa, secondo la frase mussoliniana; ma se il sindacato, secondo la prassi socialista, sa che qualunque miglioramento di salario, qualunque soddisfazione alle necessità quotidiane sarà vana illusione, se non si trasformerà l'ordinamento economico, su cui si basa la società, dovrà come videro e prescrissero il Marx e l'Engels, lottare per la conquista dello Stato, dovrà fare l'opera politica del socialismo. Il cui fine è la forma solidaristica della società per lo sviluppo morale, per la libertà morale dell'uomo. La lotta economica non può da sola essere, ma deve divenire politica, universalizzando i suoi fini ed investendo l'ordinamento sociale e quindi la forma dello Stato. E allora? Se questa politica, per distinguersi da quella dei partiti, vien fatta dal sindacato, non potrà essere fatta che come il sindacato per sua natura può farla, cioè non subordinando i fini "vicini" a quelli "remoti"; ma questi a quelli, che sono i più sentiti, i più reali per un sindacato, che per prima cosa e per immediato scopo ha quello di tutelare interessi immediati. Politica sindacale perciò è di regola politica miope, egoista che non vuol rimandare le soddisfazioni contingenti ad idealità di natura universale. Ragione per cui in Russia, nella formazione dei Soviets, si volle con elementi politici correggere l'inevitabile spirito corporativistico, deleterio per la politica generale, importato dagli elementi puramente tecnici. (Sulla lotta egoistica tra i vari sindacati bolscevichi, che con tutti i mezzi e contro gl'interessi generali, cercavano accaparrare per i loro soci il maggior numero di vantaggi possibili, vedasi Critica Sociale (16 marzo 1920). Se la Confederazione vuole invece, come pare, subordinare queste necessità immediate alla finalità della proprietà collettiva, allora fa la politica del partito socialista, che di quelle necessità terrà quel solo conto legittimo, che può tenere; cioè in quanto esse non intralcino la lotta pel fine maggiore. Se solo per questo la politica confederale volesse distinguersi, solo cioè per valutare queste necessità a detrimento delle finalità "remote", allora... cadrebbe in quel cieco corporativismo che potrà consigliare magari un telegramma dantesco a D'Annunzio o una visita a Mussolini, ma che non è politica ed è solo opportunismo. L'esperienza dei sindacati cattolici e fascisti dovrebbe aver dimostrato che il sindacato, nella sua lotta chiaroveggente, non può uscire dalla lotta di classe, che è lotta politica di preciso indirizzo socialista e dovrebbe insegnare che se esso vuol fare un partito a sé, o farà una copia scorretta del partito socialista, o farà un partito acefalo, apolitico, appunto perché subordinerà le finalità remote alle finalità vicine. Un tale partito mancherà di quell'elemento morale la cui deficienza nei sindacati rossi denunciava di recente la Civiltà Cattolica, la quale perciò riteneva di dover contrapporre ad essi i sindacati bianchi. Tale critica investirebbe in pieno un partito del lavoro che, per non compromettere i propri interessi, volesse straniarsi dalla politica dei partiti. Per noi invece l'elemento morale, che è poi l'elemento universale, umano, e che solo può formare quella coscienza nuova la cui importanza nei moti rivoluzionari è stata illustrata dal Mondolfo (Sulle orme di Marx ed. 2ª pag. 12 e 40) non può e non deve mancare all'organizzazione sindacate, ma questo senso morale, che solo può essere ispiratore del disinteresse, è dato al sindacato dalla sua finalità "remota"; dall'aspirazione ad una società di uomini liberi. Solo questo elemento morale, per noi, spiega la forza e la vitalità delle organizzazioni proletarie, che hanno maggiormente resistito là ove, come a Molinella, non s'eran formate per le grette necessità quotidiane, ma per fini superiori e di natura spirituali; mentre cedettero ignominiosamente là ove diedero maggior peso al lato "tecnico" in confronto a quello "politico". Ed infatti: perché una massa organizzata solo per aver lavori o maggiori salari avrebbe dovuto rinunziare a queste finalità, solo perché date da fascisti, anziché da socialisti? E' la deficenza di questo "senso morale" che ha reso possibile l'accattonaggio cooperativistico e l'interessata azione protezionistica di alcuni ceti operai dell'ante-guerra. Era tutto frutto del tecnicismo, che non teneva conto dei più ampi fini politici statali. Il sindacato dunque deve avere fine professionale e morale; anche se non fa lotte prevalentemente morali, deve condurre le sue lotte "professionali" subordinandole alla finalità morale (che, per il suo carattere e per il suo modo d' espressione, qui chiamasi politica). Il sindacato può accogliere tutti gli operai senza pregiudiziali politiche, perché non fa lotta specificatamente politica, ma, per la natura della lotta economica di cui si rende strumento, non può chiudersi in un pudico agnosticismo e deve chiaramente dire che la forma politica, in cui inquadra la sua lotta sindacale, è la forma socialista. Ciò che ha fatto appunto la Confederazione, avvertendo che la sua méta ultima è la socializzazione dei mezzi di produzione. Il sindacato deve sentirsi l'embrione o il lievito della società futura, non deve ridursi a gretto organismo di mutuo soccorso e perciò esso non è socialista, ma è campo fecondo per la propaganda socialista e deve, per la sua natura, essere solidale col partito socialista. E' organismo prepolitico non veramente politico, deve distinguersi dal partito socialista specialmente per la tattica, ma non può distinguersene per il fine. Risolvere diversamente il problema sarebbe non solo un andare contro alle tradizioni dottrinali, ciò che importerebbe relativamente poco, ma contro la stessa direzione della lotta di classe. ALFREDO POGGI
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