Vita Meridionale

LA TERRA AI CONTADINI

    Il lettore che ci abbia fatto l'onore di seguire guanto abbiamo scritto su questo periodico, troverà da sé, con la sua perspicacia, il nesso logico che lega e coordina in un tutto organico ed armonico queste nostre idee sulla questione meridionale.

    Il problema attuale è eminentemente agricolo; ed è problema, com'è facile comprendere, contemporaneamente: economico, morale, sociale, politico.

    Il problema agricolo è problema "d'intensificazione agricola", di maggiore produzione, di maggiore rendimento. La emancipazione dalla coltura granaria, e perciò dal dazio sul grano, come già scrivemmo, è strettamente connessa con la intensificazione agricola, perché da noi il grano appartiene più alla coltura estensiva che alla intensiva.

    La intensificazione agraria riposa, naturalmente, su tre fattori, che poi sono i soliti tre elementi o fattori della produzione: natura, lavoro, capitale. Per la risoluzione adeguata del nostro problema occorre analizzare questi tre fattori in rapporto alle nostre condizioni, al fine, ai mezzi.

    Circa l'elemento natura è facile dire che occorre meglio comprendere, per meglio sfruttare, i nostri elementi naturali, dal suolo al clima, in rapporto inscindibile, s'intende bene, con le condizioni degli altri fattori, lavoro e capitale. Anche da questo punto si presenta uguale la necessità della limitazione della coltura granaria, con la sostituzione di produzioni più conformi alla nostra terra e al nostro ciclo, e quindi più redditizie.

    Quanto al fattore "lavoro", fondamentale anche per questa nostra economia, esso, com'è noto, va distinto in lavoro intellettivo (organizzativo e direttivo) e lavoro materiale. Questo del lavoro è l'argomento che noi oggi vogliamo qui svolgere in particolare.

    Si scrive, si è sempre scritto che il problema meridionale è problema economico ed anche già problema morale, spirituale. Sarebbe strano che fosse diversamente: ogni problema economico è nel contempo sociale e spirituale. Noi abbiamo quaggiù, purtroppo, una massa che è tutt'ora plebe e non popolo; elevare questa plebe a dignità di popolo, ecco il massimo problema, come affermava lucidamente un Pedagogista, studioso del nostro problema meridionale, il Prof. Guido della Valle, nel suo acuto discorso, col quale testé inauguravasi il nuovo anno accademico presso la R. Università di Napoli.





    Nessun'opera più meritoria - diceva l'amico nostro - della elevazione intellettuale e morale di questa riserva preziosa di energie potenziali che è il popolo meridionale; nessuna vittoria è più gloriosa che questa di trasformare la plebe in popolo, d'innalzare alla luce del vero, del bello, del bene un volgo disperso, che nome non ha.

    E badisi (noi non ci stancheremo mai di affermarlo) che nessuno comprenderà mai bene l'Italia e i suoi problemi, né meriterà veramente il nome di Statista, che non abbia prima compreso quanta virtuosità naturale, quale riserva preziosa di energie nazionali si celi sotto la scorza ruvida di questa gente, che molti hanno scoperta nei suoi appariscenti, superficiali difetti, e calunniata, ma non studiata mai abbastanza, seriamente, coscienziosamente nelle sue non poche, non scarse virtù, altamente potenziabili nell'interesse della intiera Nazione.

    Elevare la nostra plebe a popolo... ma come?

    Dotando - pensiamo e scriviamo da tanto tempo queste regioni di numerose e forti classi di piccoli imprenditori agricoli, di piccoli proprietari di campagna; diminuendo, assottigliando al massimo (far scomparire é impossibile) la odierna numerosa classe dei salariati agricoli, dei braccianti; aiutandola ad elevarsi a piccoli produttori, a produttori sfruttanti direttamente il proprio lavoro, direttamente interessati al massimo rendimento agricolo. Avremo così un popolo al posto di plebe; un popolo sotto il riguardo economico e poscia, necessariamente, sotto il riguardo morale e politico. Un popolo non più facile massa di manovra di ciarlatani politici, propagandisti dalla utopia del sol dell'avvenire o duci e ras maggiori e minori del novello feudalesimo del più pratico sole del presente.

    Il problema economico e il problema morale del Mezzogiorno è proprio qui, se non in tutto, in buona parte certamente. E che noi siamo nel vero ce lo dice e conferma tutto il risultato del nostro fenomeno emigratorio, la passione con la quale schiere innumeri di contadini meridionali si avventuravano e si avventurano risolutamente al di là degli oceani, fra i mille stenti di una emigrazione "unskilled", per ritornarsene in patria col peculio sufficiente a comprarsi avidamente quel campicello su cui potersi assidere "padroni e donni", e potersi godere quei "diritti dell'uomo" che la Grande Rivoluzione aveva loro dati in potenza, ma non in fatto.





    La terra ai contadini!, ecco tutto; ecco l'antico grido, l'antica aspirazione; ma non nel senso bolscevico, blaterato nel primo scapigliato dopo-guerra e aizzato dai ciumadori di piazza, dai pescatori di torbido. Non la terra invasa e occupata violentemente, usurpata ai suoi legittimi proprietari, ma la terra legittimamente e pacificamente concessa in affitto, a mezzadria, in enfiteusi ai diretti coltivatori di essa, ai contadini. Non il lavoro dev'essere locato alla terra, ma la terra dev'essere locata al lavoro; ecco la formula.

    La vera intensificazione dell'agricoltura meridionale non si potrà raggiungere che per questa via. Non bastano i concimi, gli attrezzi, le roteazioni, occorre sopratutto, "l'uomo". Le piccole terre tenute dai contadini sono ridotte a mirabili giardini; abbiamo numerosi e splendidi esempi.

    Data la scarsità di capitali quaggiù, è quasi generalmente impossibile che intensificazione e grandi migliorie sieno fatte dai diretti proprietari, cui costano un occhio senza adeguati corrispettivi (interessi) per i nuovi maggiori investimenti di capitali, specie se presi a prestito. Solo la passione, la tenacia e quindi lo spirito di sacrificio, talvolta addirittura eroico, dei contadini e coltivatori diretti può supplire alla deficienza dei capitali e sostituire fiumi di sudori ai mancanti fiumi di oro, per la redenzione delle nostre vecchie esauste terre.

    Anche in agricoltura si fa quistione di "grande e piccola impresa". Senza ripetere qui gli elementi teorici della quistione, possiamo subito escludere che da noi, date le nostre peculiari condizioni, non si potrà affermare che la piccola impresa agricola. La intensificazione della nostra cultura agraria sarà, come in parte è già avviata, opera di contadini, piccoli produttori; potrà seguire dopo probabilmente la grande impresa, anche cooperativistica, associando fra loro i piccoli proprietari, che avranno frattanto fatta quella educazione senza della quale la cooperazione intristisce e muore, come pianta in terra inadatta.





    I tentativi di grandi imprese agricole fatti in varie parti di queste regioni da capitalisti del Nord riuscirono quasi sempre una vera delusione, anche perché niente richiede più prudenza e lenta oculatezza delle trasformazioni agrarie. Non è il caso, almeno in questo articolo, di esaminare le ragioni particolari, ci basta qui la constatazione.

    Ma come si spiegherebbe questo sviluppo, questo incremento della piccola proprietà e il superamento della fase del salariato?

    Qui occorre esser chiari: precisi e recisi. Niente leggi speciali, per amor del cielo!, niente interventi statali. La formazione della piccola proprietà e il passaggio, la trasformazione dei contadini da salariati a coltivatori diretti era già prima della guerra in promettente sviluppo; la guerra prima, le leggi limitatrici e stroncatrici della emigrazione dopo, hanno arrestato il salutare sviluppo.

    È vano sperare, almeno per ora, di poter fronteggiare la opposizione americana alla nostra emigrazione, quel potente protezionismo operaio; solo illusi o illusionisti possono agitare questa speranza. Di conseguenza la ripresa dello sviluppo della piccola proprietà sarà effetto di ragionamento, di persuasione e quindi di propaganda. Convincere i proprietari di terreni di tutti i benefici economici, morali, politici della cessione di terre ai contadini: in affitto, a mezzadria, in enfiteusi, o della vendita addirittura a piccoli lotti, con facilitazioni, agevolazioni dettate non da altruismo ascetico, ma, almeno, da egoismo illuminato.

    Si avrà così la maggior ricchezza, la maggiore convenienza di molti degli attuali proprietari di terreni, specie dei più grossi; avrà la maggiore ricchezza e la redenzione economica, sociale, politica dell'attuale numerosa classe dei contadini braccianti, salariati; si avrà la soluzione, almeno in gran parte, della questione meridionale.

    La chiusura della emigrazione,specie trans-oceanica, rende ancora più acuta la necessità di intensificare la nostra agricoltura, per creare lavoro alla esuberanza della nostra popolazione. La pensino bene i più ostinati proprietari di terre! Non s'illudano sugli specifici... da Medioevo! Indietro non si torna...

    Quando una forte plebe di liberi

    Dirà guardando al sole: - Illumina

    Non ozi e guerre ai tiranni.

    Ma la giustizia pria del lavoro.

GIOVANNI CARANO - DONVITO