La bianca AustraliaLa lentezza dello sviluppo e del progresso dell'Australia è notevolissima, specialmente se comparata al rapido incremento degli Stati Uniti. L'area di questi due paesi è su per giù la stessa, ma la popolazione dell'Australia è di sei milioni d'abitanti, cioè di un ventesimo di quella degli Stati Uniti. L'Australia non ha più dell'uno per cento della sua superficie coltivata a messi. Le sue ferrovie raggiungono poco più di 40.000 km. di lunghezza, un decimo dello sviluppo ferroviario americano. Nonostante abbia forti dazi protettivi, le sue industrie son relativamente insignificanti; la pastorizia e l'agricoltura permangono principali sue risorse. Senza dubbio il suo isolamento - essa dista quasi 20.000 km. dai principali centri europei - spiega le ragioni dei suo scarso sviluppo; ostacolato anche dagl'inconvenienti del clima. Circa un terzo dell'Australia è entro i tropici, e su una superficie quasi eguale cadono annualmente meno di 250 mm. di pioggia. Solo negli anni recenti la scoperta dei pozzi artesiani e una razionale opera d'irrigazione hanno redento vaste zone di deserto. Ma se tali fattori naturali hanno avuto la loro parte nel determinare l'isolamento dell'Australia, non si può negare che esso vien sempre più accentuato dall'orgoglio che gli Australiani ne traggono e perfino, negli ultimi decenni dalle lotte sostenute in favore d'una politica di restrizioni immigratorie. La politica dell'Australia Bianca è in genere rispettata come un sacro e inattaccabile dogma dalla stragrande maggioranza del popolo Australiano. Si dovrebbe ritenere che la politica dell'Australia Bianca miri soltanto all'esclusione delle razze asiatiche o di altro colore; e così difatti si sostiene che sia. E' vero anche che le sue applicazioni pratiche quasi sempre riguardano la gente di colore. Ma di fatto poi e nel sentimento comune l'assoluto rigetto dell'immigrazione colorata s'accompagna a uno schietto disprezzo per tutta l'immigrazione, con soltanto qualche distinzione a favore di pochi immigranti scelti di origine britannica. Ufficialmente il motto dell'Australia bianca s'interpreta come il profondo sentimento della razza superiore; ma usualmente è molto più particolare. "L'Austria agli Australiani" significa che essi disprezzano il "Pommy" - com'essi chiamano per ischerzo gl'Inglesi immigrati - poco meno dei "Deghi" (gl'italiani), degli Olandesi, dei negri, dei "Chinks" (i Cinesi) e dei Giapponesi. Discutendo di quest'argomento con un organizzatore operaio gli dimostravo che l'obbedienza economica all'immigrazione colorata non era dopo tutto valida, poiché i Cinesi appena giunti nel paese nuovo aspiravano subito a quel più alto livello di vita che vedevano raggiunto dagli altri operai intorno a loro. Il mio interlocutore riconosceva che avevo ragione, ma soggiungeva "insomma, non li vogliamo tra i piedi - e nemmeno i deghi". Questo mi sembrava un pregiudizio di razza, perciò gli chiesi se gli spiacevano anche gl'immigranti britannici. Con un sorriso ironico-bonario mi risponde: "Certo, non si vogliono qui nemmeno quei maledetti Pommies". Tale atteggiamento intransigente é seguito da un gran numero di lavoratori australiani; e risulta da molti differenti istinti e sentimenti. V'è in esso il segno d'un crudo nazionalismo, un accento di egoismo beluino, la risoluzione di mantenere a qualunque costo quel livello economico che pone l'operaio Australiano fra gli aristocratici del lavoro, e una suprema commiserazione pei disfatti e consunti popoli dell'Europa. In questi ultimi cinquant'anni gli Australiani si sono accaniti a fare del loro paese una terra immune dai malanni sociali e industriali del vecchio mondo, un paradiso dei lavoratori; e fino a un certo segno ci son riusciti. È probabilmente esatto dire che il lavoro Australiano ignora i peggiori guai del capitalismo. É in buona parte giustificata la pretesa che l'Australia d'oggi offra alle masse una vita più piena, più libera e più sicura di quella che essi vivono nel resto del mondo, insieme con un'aria e un clima che fa gli uomini sodisfatti e allegri. Non è dunque da stupire che i più degli stessi Australiani abbian finora difeso i loro privilegi con uno zelo aggressivo. E se l'atteggiamento dei lavoratori Australiani è francamente ostile all'immigrazione, quello degli industriali e degli agrari è indifferente. L'industriale ottiene la protezione dagli alti dazi e può quindi largire forti paghe senza tema della concorrenza esterna; viceversa non riesce ancora a produrre tanto da poter tentare l'esportazione. I ricchi agrari son combattuti dal desiderio della mano d'opera a buon mercato e dalla paura dell'espropriazione, qualora una vigorosa politica immigratoria creasse un'insistente domanda di terra. Perciò in Australia non c'è nessun ceto interessato a una generale politica immigratoria. E invero, non fosse stata la paura d'un aggressione del Giappone, probabilmente l'immigrazione non avrebbe avuti punti propugnatori prima della guerra. In ogni modo, il numero degl'immigrati è sempre strato meschino. Tra il 1910 e il 14 l'aumento netto della popolazione immigrata è stato di 300.000 persone (nello stesso tempo 5 milioni negli Stati Uniti). Come risultato si ha non solo l'esclusione assoluta di tutta la gente di colore, ma una enorme limitazione a ogni immigrazione eccetto quella oriunda inglese. Si stima che il 98 per cento degli Australiani sono di stirpe inglese. Gli eventi della guerra e più quelli dell'ultima pace hanno profondamente intaccato la posizione dell'Australia. Per quanto gli Australiani desiderino di cullarsi nel loro felice e prospero isolamento, non possono chiuder gli occhi davanti a certi essenziali e evidenti mutamenti della situazione mondiale. Il centro di gravità nella politica mondiale si sta spostando verso l'Oceano Pacifico. L'Armata britannica non è più dominante sui mari. L'alleanza col Giappone - che agli occhi degli Australiani era una garanzia contro una sua aggressione - è ormai sostituita dalle più vaghe assicurazioni della conferenza di Washington. Alla conferenza della pace il Giappone chiese - e fu li lì per ottenere - che nel patto della Lega delle Nazioni fosse inserita una clausola che avrebbe reso nulla la politica dell'Australia Bianca: Nella Cina e nell'India la popolazione che aumenta e che insorge minaccia di straripare da un momento all'altro in regioni meno popolate. La tragedia dell'Europa e la manifesta disintegrazione delle sue industrie farà si che la gente a milioni, non solo sul Continente ma anche nella Gran Bretagna, sarà costretta a cercare in qualch'altra parte i mezzi di sussistenza. Un cambiamento di politica negli Stati Uniti ha quasi affatto chiuso un altro sbocco di quel gran movimento migratorio che pare imminente. Ci sono, dunque, tutti gl'indizi possibili per capire che l'isolamento dell'Australia si approssima alla fine. Ci vorrà di molto tempo perché gli Australiani si rendano conto di questi fatti. Ma di già c'è qualche segno che il loro atteggiamento sta per mutare; si cominciano a veder delle crepe nella muraglia cinese dell'isolamento. Per la prima volta negli annali dell'Australia si nota, seppur per ora insignificante, un movimento politico in senso liberale, e quegli Stati che hanno leggi immigratorie han potuto precisare un programma. Perfino il partito del lavoro, che si è finora opposto a tutti i provvedimenti statali in questa materia, si dispone a concentrar le sue energie, piuttosto che nell'opposizione pregiudiziale, nell'ottenere progetti di colonizzazione ponderati e giudiziosi. Si stanno convincendo a poco a poco che cinque milioni e mezzo non possano tener tutto per sé un vasto continente; ma forse s'agita anche qualche cos'altro nella coscienza australiana e spunta il concetto che l'Australia ha da compiere certi doveri verso i disperati lavoratori di paesi meno prosperi. Il movimento a favore dell'immigrazione è però per ora nelle mani di classi reazionarie. Tutti i governi degli Stati, fuor che quello del Queensland e dell'Australia del Sud sono in mano ai conservatori e gli oratori della Lega dei "New Settleiss" - associazione semi-ufficiosa di propaganda in favore dell'immigrazione - s'appoggiano continuamente su argomenti strategici per eccitare la popolazione con lo spettro d'un'invasione. Si riparla, come quando si stabilì durante la guerra la leva militare obbligatoria, del pericolo giallo. Ma questa propaganda non è solo pericolosa, è anche inefficace. Gli Australiani son pienamente fiduciosi - forse troppo fiduciosi - nella loro abilità a difendere la loro terra contro chiunque, e si ribellano alla risurrezione di questo spettro antico. Inoltre non c'è molta fiducia tra il popolo nei governi presenti. Si crede generalmente, e con qualche ragione, che essi son troppo teneri per gl'interessi degli agrari. Ci sono a migliaia dei pretti Australiani, per non parlare degl'immigrati, che non riescono a ottenere allottamenti di terre a un prezzo ragionevole. Bisogna quindi riporre le speranze d'una politica favorevole all'immigrazione fino al tempo che sia la Confederazione, sia ogni singolo Stato, abbiano i laburisti al potere. Più ancora che nel suo atteggiamento di politica immigratoria, si vedono svegliarsi spiriti di progresso nell'importanza che ora dà il partito del Lavoro al problema della terra. Negli ultimi anni il partito dei lavoro era quasi esclusivamente di reclutamento industriale, e da ciò derivava il suo atteggiamento anti-immigratorio. Ma, come fece al suo inizio, oggi il partito tende a appoggiarsi su i piccoli proprietari e a fondere nel suo programma gl'interessi dei lavoratori di città e di campagna. Nel Queesland, sotto la direzione del presente primo ministro, sig. Theodore, l'alleanza è completa e se ne vedono i risultati nella politica terriera del governo. Una simile alleanza in tutta l'Australia significherebbe la fine del latifondo, una politica di progrediente colonizzazione, e un conseguente abbassarsi dalle barriere che oggi chiudon la via ai coloni d'oltremare. G. C. T. GILES
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