POLEMICA SU PAPINIMario Vinciguerra, benché professore, è intelligente, benché giornalista è galantuomo, benché democratico-socialistoide, ha per me della simpatia; ma, pur troppo, Mario Vinciguerra, (e ciò non m'è agevole perdonargli) s'è rivelato improvvisamente per un mediocre notaro. Infatti, "inventariando" su Rivoluzione Liberale quella molta polenta con pochi uccelli meglio conosciuta sotto il nome di cultura italiana dell'ultimo ventennio, arrivato al tordo Papini e al beccafico Giuliotti, ha detto su l'uno e sull' altro più c... che parole. Esempio: "Il Croce (così l'amico neo-tabellione, nella rivista sullodata del 16 settembre), era ben lontano da quelli de Lacerba quand'essa comparve; tuttavia è acquisito alla Storia che Lacerba accolse il Papini già "vociano" e "crociano" e ciò non fu per un caso fortuito. Il Papini - mi si permetta l'espressione protocollare - rappresentò nel movimento futurista il plenipotenziario della prima estetica presso il dannunzianismo marinettiano". Si risponde: Mario Vinciguerra sogna; e giacché mentre sogna scrive, e, scrivendo addormentato, non s'accorge di scrivere delle sciocchezze, noi gli tireremo, perché si svegli, un biscottino sulla punta del naso, e gli faremo toccar con mano che proprio tutto l'opposto di ciò che afferma "è acquisito alla storia". Egli dunque deve sapere (e cercare di non dimenticarlo nel rifar l'"inventario", la prima volta mal fatto) che Giovanni Papini, il presunto crociano, ha combattuto invece, e fin da principio, le già fortunate rintedescature immanentistiche del metafisico Cimabue di Pescasseroli, ora "superato" dal Giotto di Castelvetrano, conforme è spietatamente dimostrato dai seguenti scritti: 1. - Rispondo a B. Croce (Leonardo, novembre 1903); 2. - La logica di B. Croce (Leonardo, giugno-agosto 1905); 3. - La religione sta da sé (Rinnovamento, 1909); 4. - Stroncatura del libro di Croce su G. B. Vico (Anima, 1911); 5. - Stroncatura del Breviario di Estetica di B. Croce (Stampa, 29 aprile 1913); 6. - Discorso di Roma - Contro Croce (dicembre 1913). E arrogi (direbbe Messer Ardengo da Poggio a Caiano) che Papini, scambio d'essere stato accolto di Lacerba "quale plenipotenziario, ecc.", fondò lui, proprio lui, unicamente lui (infamia o gloria che fosse - io dissi e dico infamia - ) quell'anarchica, paradossale e turpiloquente rivista, e ne spalancò le porte al forsennato futurismo, soprattutto perché (secondo la sua natura paradossale) gli piacque di reagire, in tal modo, papinescamente, contro la crocianissima "Voce". Ed ora, inventariati questi primi errori dell'"inventario" vinciguerresco, passiamo ad altri errori molto meno involontari e, perciò, molto più imperdonabili. Il nostro notaro, dunque, sempre nell'esercizio delle sue funzioni (vedi ancora Rivoluzione Liberale del 4 novembre) parlando del tentativo, com'egli lo chiama, giuliottiano-papiniano "di reazione - restaurazione alla Giuseppe De Maistre" (Ora di Barabba, Storia di Cristo, Omo Salvatico - il quale sarà ripreso, statene pur certi, dalla coppia criminale - ) dopo avermi lodato, anche troppo, per la terza volta (la prima su Rivista di Cultura, la seconda, ahimè!, su Conscientia), a un certo punto, in questa guisa si esprime: "Il Giuliotti ha avuto una parte diretta e potentissima nell'avvenimento (conversione di Papini); ed io penso che non si possa parlare di lui neanche oggi come un collaboratore del Papini, sibbene come un ispiratore". E fin qui, salvo quella "parte diretta e potentissima", la quale invece fa parte d'altre cause, prossime e lontane - principalissima la guerra -, che spinsero Papini, già da qualche tempo oscillante, in Chiesa, "ego te absolvo". Ma l'amico Vinciguerra (e d'ora in poi, per la crescente acredine che rivela contro Papini, mi comincia a diventar nemico) seguita, rincarando la dose, su questo tono: "Sarebbe poco agevole sceverare quello che del Giuliotti é nella Storia di Cristo; ma anche a non conoscere il Giuliotti personalmente, basta aver letto attentamente l'Ora di Barabba per aver sentore della vena giuliottiana nelle parti sostanziali di quel libro". Pessimo critico, il nostro inventariatore! Papini, in tutta la Storia di Cristo, vastamente e caldamente dipinge e, qua e là, violentissimamente scolpisce; io, nell'Ora di Barabba, fo, sul muro, con la punta d'un chiodo, a forza di graffi rabbiosi, micidiali caricature di persone e d'idee che mi ripugnano; il mio stile ha l'artiglio del gatto, lo stile di Papini il rostro e l'ali dell'aquila. Né mi si creda tanto vile da far l'umile per ipocrisia, o il lustrascarpe a un amico più alto di me. Perché io l'altezza intellettuale di Papini la riconosco, la rispetto, l'ammiro, e ne godo; ma più amo ed ammiro la sua grande luce morale, la sua misconosciuta bontà. E seguitiamo: Mario Vinciguerra tentando, puerilmente, d'innalzar me perché la statura di Papini diminuisca di qualche centimetro, così rafforza: "Se ad uno sguardo superficiale il nuovo Papini può parer nuovo, di fatto è il medesimo vecchio Papini, che per non essersi potuto rinnovare nella nuova materia, soggiace completamente all'influenza dell'amico più forte e più volitivo (sic!!!) e fa un lavoro non molto dissimile a quello dei monachetti medioevali (Papini!) che alluminavano le iniziali dei messali sotto la guida del padre superiore. Il Papini "brillante letterato" è diventato un "brillante letterato cattolico", un decoratore del pensiero di Domenico Giuliotti". E qui (ahi ahi Vinciguerra!) qui l'esagerazione laudatoria e denigratoria è così esagerata e così stupida che non c'è neppur bisogno d'arrabbiarsi. Questo infelice notaro fa veramente pietà. Ma ecco, intanto, che mi sorge un dubbio: io dubito dunque che se io fossi stato non già il cattolico sfregia-grugni di quell'Ora di Barabba, che pur avendo fatto fracasso, non è uscita, infine, dall'Italia, ma lo scrittane cattolico (cioè universale) della Storia di Cristo, tradotta come si sa (oh se si sa!) in tutte le lingue del mondo, io dubito, dico, che Vinciguerra e soci (non cattolici, e nondimeno miei strani panegiristi) mi avrebbero trattato - sebbene con gli stessi meschinissimi resultati - alla stesa guisa di Papini. Infatti le quercie hanno addosso le formicole; e al piede i funghi. DOMENICO GIULIOTTI
Caro GIULIOTTIsiamo alle solite. Malgrado gli affettuosi ammonimenti di coloro che ti vogliono bene - e tra questi sono e rimarrò io, anche se tu decreterai di volermi male, perché ho toccato il tabù Papini -;malgrado gli affettuosi ammonimenti, ti ostini a fare lo spaventapasseri della vigna letteraria italiana. Se il tuo Papini ti pare un tordo e riconosci te stesso in un beccafico, credi poi che io sia un ingenuo passero? Sono "cose cognite a noi notaro" come si dice in istile di tabellione. Riponi pure questo armamentario dozzinale per altra occasione; e quanto meglio sarebbe che non lo cavassi più fuori e che pensassi una buona volta che ricadi troppo spesso e troppo volentieri nel primo e quarto peccato mortale. Lasciamo quindi la molta frasca impillaccherata, con cui vorresti frastonarmi, e veniamo ai magri argomenti. Il Papini non è stato crociano? Lasciamo andare! Ho cominciato a frequentare casa Croce circa vent'anni or sono, e so troppo bene quello che dico. Che sia stato tra i primi della Fronda crociana questo è verissimo, ed era inutile che approfittassi dell'occasione per rispolverare e rimettere in vetrina alcune coserelle del Papini di anni or sono. (Questi benedetti neocattolici, che "reclamisti"!). Ho tenuto conto anche di questo, quando ho detto del Papini che è un "femminile": il che si dice, in tali casi, nel senso meno buono della parola, nel senso della canzone di Francesco I: "Souvent femme varie"... "Non è vero che il Giuliotti sia stato l'ispiratore, perché lui fa i graffi e l'altro caldamente dipinge, ecc., ecc, ". Nessuno è giudice in causa propria. Questa è regola per cattolici e per non cattolici, per cristiani, per turchi e per tutti. Qui si contempla di nuovo il primo peccato capitale. Io posso guardare bene o male uno scrittore; ma questo scrittore mostrerà pochissimo spirito a dire - in nome proprio o per delegazione - : "No, così non sono bello. Così invece mi dovete guardare". Lo scrittore scriva ed abbia la pazienza di tollerare quello che si dirà di lui. Così va il mondo, caro Giuliotti, e tu non hai il diritto di ribellarti all'ordine delle cose stabilito da Domineddio, pretendendo d'imbeccare agli altri il giudizio che più ti piace sull'opera tua e dei tuoi amici. Che poi io non abbia tutti i torti a pensare che il Papini sia stato il succubo e tu il volitivo, che gli fai miniare i tuoi pensieri - magari all'insaputa di tutti e due - è provato dal fatto che quando uno dice cose di questo genere chi salta fuori a fare la voce grossa? Precisamente tu, caro Giuliotti, che mi fai la parte di quelle mamme popolane, che quando i loro marmocchi hanno presa qualche botta in istrada dal compagno di gioco, escano fuori scarmigliate, urlanti e con un manico di scopa in mano per fare le alte vendette. Non raccolgo l'insinuazione finale, che non mi riguarda né punto né poco ed è frutto di poca riflessione. A parte l'esibizione delle traduzione in infinite lingue (quante copie? Che "reclammisti", che "reclammisti"!) credo che nessuno, che abbia avvicinata la mia povertà disinteressata e serena, possa avere il più piccolo sospetto di calcoli commerciali. Ma se non più tardi di qualche settimana fa ti ho fatto inviare in dono uno schema di contratto per un editore, del quale avevi bisogno! Buoni affari, amici miei; ma badate a non farvi un'anima da sprezzanti e sospettosi Epuloni. Che il nuovo anno ti rechi salute e santità MARIO VINCIGUERRA.
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