L'Unione doganale

    Al linguaggio di Poincaré e dei suoi sostenitori e ad alcune aberrazioni così frequenti in una parte della stampa inglese, a tutte le illusioni della violenza è seguito in Europa un vero e grande bisogno di pace. Questo bisogno viene sopra tutto dal disagio economico e da un più grande disagio morale.

    Ma le vie per cui si vorrebbe giungere alla pace sono le meno adatte. Non parlare più delle responsabilità della guerra, significa perdurare nell'equivoco. Parlare di riduzione di armamenti, quando le cause di essi perdurano, significa non prevedere i perdurano, significa non prevedere i risultati degli odi che si sono manifestati. Illudersi che si possa con patti di garanzia consolidare il disordine attuale, cioè mantenere più a buon mercato le spartizioni ingiuste e le ingiuste rapine, significa non comprendere nulla del pericolo attuale. E in tutto ciò la speranza che Russia, Germania e sopratutto Stati Uniti di America entrino nella Società delle nazioni per garantire la permanenza di tutti gli errori, è errore manifesto e dannoso. La Germania può essere indotta a entrarvi di mal grado e con tutte le riserve; gli Stati Uniti di America non possono entrarvi senza diminuirsi. La Russia non può entrare sinceramente senza aver prima definito le sue questioni territoriali ed i suoi rapporti economici.

    Molte parole e pochi fatti finora per giungere alla pace, ma anche le parole hanno un significato positivo e un valore reale nel rapporto dei popoli.





    L'Europa deve affrontare il problema della sua esistenza con ben altri metodi e il nuovo cammino da percorrere è tracciato dalla necessità. Che cosa occorre? E' la situazione stessa che indica e impone la via da seguire; definire tutta la materia delle riparazioni, in modo da far finire presto (e non come ha ripetuto Barthou, per cui la data dell'inizio della occupazione non è nemmeno incominciata) tutte le occupazioni militari; restituire ad ogni Stato la completa libertà così interna come esterna, senza controlli e senza vessazioni a tutti i popoli vinti; preparare l'unione doganale degli Stati europei; rivedere le più gravi ingiustizie dei trattati; preparare con sincera volontà di riescire, quegli ordinamenti e quelle riforme che possono render possibile la federazione degli Stati europei.

    I due primi punti non hanno bisogno di essere illustrati. È bene osservare che un inizio di pace e di resurrezione non può venire che dalla caduta delle barriere doganali e dalla formazione di un solo mercato. Appena di poco più grande degli Stati Uniti d'America, un poco più piccola del Canadà, l'Europa è paralizzata in tutti i suoi movimenti dalle innumerevoli barriere doganali, rese più aspre dalle nuove forme di protezionismo. Quantità enormi di ricchezza sono ogni giorno annullate; accaparramenti di materie prime si formano in vista di dominazioni economiche, che devono o dovrebbero essere base di dominazioni politiche. Fu l'unione doganale tedesca del 1833, che rese possibile in un territorio così diviso, l'unione politica della Germania nel 1871. Solo l'unione doganale di tutti gli Stati di Europa può preparare, in avvenire forse non troppo lontano, gli Stati Uniti d'Europa. Questa idea ora, dopo tante guerre e tanto odio, sembra paradossale: eppure l'Europa non ha altra speranza di salvezza se non raggiungendo questo ideale di vita.





    Basterebbe togliere le barriere doganali tra la Francia e la Germania per far finire quasi tutte le lotte per l'accaparramento del ferro e del carbone: basterebbe la libertà del commercio per garantire il libero movimento degli uomini.

    L'Italia ha un territorio molto ristretto e pure solo da poco ha raggiunto la sua unità. L'Italia del Quattrocento era divisa in un così enorme numero di Stati (spesso ogni città era uno Stato) che chiunque avesse parlato non della unità politica dell'Italia, ma soltanto dell'unità economica, sarebbe parso un pazzo. Gli italiani del quattrocento si odiavano fra loro più che ora non si odino i francesi e i tedeschi.

    La Germania rappresenta, anche ora che è stata ingiustamente mutilata, la più grande unità etnica dell'Europa e i tedeschi sono forse il più grande gruppo nazionale che abbia la civiltà ariana. E' illusione credere che la Germania accetterà mai la sua situazione attuale. In un periodo di tempo non lungo, sia pure a traverso cataclismi, la Germania riprenderà la sua azione centrale nell'Europa continentale. Questa azione può essere diretta alla pace e può essere diretta alla distruzione: finora si è fatto di tutto per preparare la distruzione.





    Il problema è ora quello di spingere la Germania verso la pace, di interessarla alla ricostruzione; di valersi della sua immensa capacità di lavoro e di organizzazione per le opere della vita.

    E' perciò sopra tutto che la Gran Bretagna e la Francia devono mettersi il problema non già di una bugiarda riduzione degli armamenti e nemmeno di trattati di mutua garanzia per diminuire le spese e nemmeno la sicurezza di mantenere lo statu quo; ma di eliminare le cause del conflitto. Solo a traverso il disarmo, l'unione doganale e la revisione dei trattati questo scopo può essere raggiunto.

    Quasi quaranta anni furono necessari alle popolazioni germaniche per passare dall'unione doganale all'unione politica; l'Europa richiederà forse maggior tempo e maggiore sforzo. Ma la sola meta di salvezza è oramai in questo indirizzo.

    Senza dubbio le forze della reazione e del capitalismo di sfruttamento sono troppo grandi ancora perché si possa sperare che questo tragico periodo della nostra storia passi senza nuovi errori e senza nuove violenze.

    La classe abominevole degli sfruttatori di guerra è ancora troppo vasta e il parassitismo sotto tutte le forme è ancora molto diffuso.

F. NITTI