INIZIATIVA AGRARIABenedetto Croce conclude il suo recente volume sulla "Storia del Regno di Napoli" affermando che la questione meridionale è essenzialmente un problema morale e spirituale ed a coloro che per risolverla hanno suggerito l'introduzione di riforme tributarie, l'incremento della produzione agricola, il miglioramento delle comunicazioni, i ritocchi delle tariffe doganali, il decentramento amministrativo ed una modifica della legge comunale e provinciale, egli risponde: "tutte quelle belle cose si potranno ottenere e la Storia tornare o continuare miserabile; perché si può essere ricchi naturalmente e poveri spiritualmente, perché, in breve, che cosa mai vale possedere a proprio uso tutti i beni del mondo, si anima vera nostra detrimentum capiat?". Ed in verità, la questione meridionale è, anzi tutto, una questione di educazione morale e spirituale, di formazione di una coscienza collettiva, di uno spirito pubblico, che sono il presupposto indispensabile perché un popolo voglia e sappia modificare l'ambiente che lo circonda, propiziandosi cose e fatti. Nelle diverse regioni d'Italia, lo sviluppo sociale ed economico progredì, nel passato, parimente con lo sviluppo sociale e politico; ciascuna di queste regioni reagì o si adattò, secondo il caso, adeguatamente agli spostamenti ed alle influenze dell'ambiente storico esterno, l'Italia meridionale invece subì tutte queste cose: gli avvertimenti vi furono, purtroppo, sempre, più forti degli uomini. A misura che l'asse economico del mondo, dal bacino mediterraneo si spostava verso l'Europa centrale e di là ai porti oceanici, l'Italia meridionale decadeva. Coll'inaridirsi delle fonti dei traffici, la produzione agricola stagnava, le nascenti industrie morivano e si spegnevano quei centri di vita comunale che stavano per sorgere ed avrebbero dovuto dar vita a quel medio ceto, che fu la forza dell'Italia di mezzo e del settentrione. Le monarchie che si succedettero nel Regno, ad eccezione della parentesi normanno-sveva, si conservarono per lo più straniere al paese, lo sforzo unitario sacrificò la vita dei centri minori e lo sviluppo della varietà delle energie all'ipertrofia della capitale ed il popolo visse segregato nelle campagne alla mercé dei Baroni insofferenti, gelosi dei Re e diffidenti delle plebi. Questa vita frazionata di ceti senza ricambio, cristallizzati in forme gerarchiche immutabili, impedì che all'unità esterna, formale del Regno rispondesse un'unità interna, spirituale delle sue parti. La questione meridionale è, quindi, dal punto di vista storico, come ben dice il Croce, un problema morale e spirituale, in quanto, nel passato, gli uomini furono impotenti a dominare gli agenti esterni ed oggi ancora si pone come tale, in quanto gli uomini potrebbero, sapendo volere, modificare a proprio vantaggio l'ambiente, indubbiamente migliorato, in seguito alla conseguita Unità d'Italia, che permette alle provincie meridionali di valersi della politica etera di una grande nazione nelle lotte per gli sbocchi commerciali e del concorso finanziario delle altre regioni per l'incremento del proprio sviluppo interno, senza contare che agli sbocchi che si aprono per gli scambi del bacino del Mediterraneo attraverso il canale di Suez si aggiungono i nuovi mercati dell'Asia Minore. Da una recente statistica, riguardante le esportazioni, dal Gennaio all'Agosto del corrente anno pubblicata in relazione agli studi per la conclusione del nuovo trattato di commercio colla Germania, si rileva che le 26 merci esportate dall'Italia che superano il valore di 40 milioni di lire - escluse le automobili, i marmi, e lo zolfo - sono tutte rappresentate da prodotti agricoli o provenienti dalla trasformazione di questi, e fra di essi figurano ai primi posti l'olio, il vino, gli agrumi, le frutta secche, gli ortaggi in genere, i pomidori, la canapa: prodotti in larghissima parte del mezzogiorno. Si è quindi nel vero affermando che la soluzione della questione meridionale richiede il massimo incremento dell'agricoltura, della trasformazione industriale dei prodotti di questa e della loro esportazione. Strettamente connesso alla valorizzazione agricola del Mezzogiorno è, beninteso, lo sviluppo di quei lavori indispensabili al miglioramento delle comunicazioni interne e di determinati porti, luoghi di transito naturale dei suoi traffici, alla sistemazione delle sue acque. Ma perché lo Stato intervenga, per la parte che gli compete, perché le altre regioni d'Italia non contrastino e si stabilisca un equo compromesso fra gli interessi agricoli del Mezzogiorno ed alcune forti correnti industriali del Settentrione, spetta ai meridionali di agire. E ciò non si otterrà che modificando l'ambiente spirituale e morale soprattutto delle campagne e dei piccoli centri, vincendo le diffidenze che animano le masse contadine nei riguardi di taluni procedimenti agricoli e dividono fra loro i produttori, ossessionati da un eccessivo individualismo, aprendo la mente a tutti verso nuove forme di competizione economica per l'accaparramento dei mercati, capacitandoli della necessità dell'organizzazione per l'eliminazione, della concorrenza nociva e di intermediari superflui. Occorre, in altri termini, sradicare quella vieta consuetudine che ispira alla gente dabbene una profonda ritrosia verso la vita pubblica, per il timore di compromissioni, per pigrizia, per indifferenza e fa ritenere lodevole per i galantuomini "il farsi i fatti propri", lasciando ad altri - cioè agli intriganti, ai profittatori, le cure della cosa pubblica: consuetudine che, rilevata al principio dell'Ottocento da alcuni viaggiatori francesi citati dal Croce, è viva tuttora. Questo disinteresse per la vita pubblica dei più è il principale motivo della tirannia delle clientele, che soffocano ogni iniziativa di organizzazione collettiva, ogni libera manifestazione di energie ed ostacolano l'accostamento dei ceti e la selezione naturale dei singoli. I Consigli agrari recentemente istituiti con R. D. 30 Dicembre 1923, rappresentano, in principio un ottimo mezzo per la soluzione del problema agricolo che incombe sul Mezzogiorno, nel senso di renderne consapevoli gli interessati e di incitarli alla collaborazione. In seno ai Consigli agrari, la classe agricola meridionale sarà chiamata ad affrontare la discussione dei maggiori interessi della propria regione ed a pronunciarsi sulla loro soluzione. Il nuovo istituto potrà segnare il primo passo verso l'affiatamento dei ceti agricoli del Mezzogiorno promuovendo la pubblica discussione dei massimi problemi regionali e la schietta rappresentazione dei termini in cui questi problemi si pongono. Investendo gli interessati di una diretta responsabilità nella tutela dei bisogni dell'agricoltura meridionale si stimolerà quel senso di iniziativa dei singoli cittadini che è la garanzia più sicura della soluzione dei problemi collettivi. Il provvedimento risente, però, purtroppo dei sistemi paternalistici del regime. Anziché affidare veramente ai Consigli agrari la libera rappresentanza degli interessi della classe agricola, secondo gli intenti dei progetti prevedenti (Micheli e Mari) si è voluto porre il nuovo Istituto sotto la tutela degli organi di Stato, affidandone la presidenza al capo dell'Amministrazione provinciale e chiamandovi a partecipare numerosi funzionari, i quali inevitabilmente soggetti a pressioni burocratiche e politiche, soffocheranno la libera espressione degli eletti dei ceti agricoli, che ne dovrebbero essere i soli veri rappresentanti. Altra osservazione d'ordine generale, che pare essenziale, è che, non potendo il problema economico scindersi, esso non può risolversi separatamente sotto il suo aspetto commerciale ed industriale e sotto quello agricolo, soprattutto in una regione come il Mezzogiorno, dove l'attività economica preminente è rappresentata da quella agricola e l'Industria ed il Commercio sono subordinate a quella, in quanto non fanno che trasformarne o scambiarne i prodotti. E' noto che le industrie più floride del Mezzogiorno - se se ne eccettua quella dello zolfo, - sono quelle che trasformano prodotti agricoli e che altre del genere vi potrebbero sorgere, date le favorevoli condizioni del suolo, sviluppando le coltivazioni occorrenti. Ciò dicasi, in particolar modo, per l'industria della seta che nell'Italia Meridionale potrebbe prosperare, se vi rifiorissero la gelsicoltura e la bachicoltura. Pertanto, affinché i1 problema economico sia considerato nel suo complesso come unico, in quanto i fattori industriale e commerciale e quello agricolo sono reciprocamente in funzione l'uno dell'altro, e nelle particolari condizioni del Mezzogiorno d'Italia, può dirsi senza errore, che i fattori industriale e commerciale sono subordinati a quello agricolo, le rappresentazioni degli interessi agricoli, che oggi siedono separatamente, dovrebbero essere chiamate a collaborare, in un unico consenso, colle rappresentanze commerciali ed industriali riunite nelle Camere di Commercio. Queste Camere economiche dove si discuterebbero gli interessi principali di ciascuna regione, mettendo a contatto diretto ed affiatando gli uomini che ai commerci, alle industrie ed all'agricoltura si dedicano, rappresenterebbero nell'Italia Meridionale un efficacissimo stimolo per la formazione di quello spirito pubblico che è fra i principali motivi dell'incompleto sviluppo di quelle popolazioni. Tali Camere potrebbero altresì diventare i centri di irradiazione di una attività amministrativa nuova, che penetrando i comuni e le provincie libererebbe la vita locale dagli intrighi della politica dei profittatori. I singoli, stimolati a fare per i propri interessi, si adoprerebbero a fare per la collettività, senza diffidenza, ma sopratutto a fare da sé, senza invocare sempre aiuti esterni, ed a tal fine ciascuno sarebbe mosso a cercare la collaborazione di quanti hanno interessi analoghi. Implicitamente, dalla collaborazione nascerebbe la organizzazione, da questa la spinta all'autogoverno ed all'iniziativa locale, senza le quali qualunque provvedimento, decretato dall'esterno in favore del Mezzogiorno, sarà vano. CARLO AVARNA DI GUALTIERI
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