La vita meridionale

IL DAZIO SUL GRANO

    Il problema della coltura granaria, del dazio sul grano e del protezionismo relativo è, a mio modo di vedere, e ne darò qui la dimostrazione, una delle quistioni "base", per la economia e per la politica del nostro Mezzogiorno.

    Tutti ricordano il pactum sceleris, espressione con la quale si volle assai vivacemente chiamare e qualificare l'accordo tra il protezionismo industriale del Nord e il protezionismo granario del Sud. Quando i rappresentanti politici del Nord vollero varare il loro protezionismo industriale, per favorire gl'interessi del Nord, offrirono l'offa del dazio sul grano ai rappresentanti poco "sottili" dei cafoni del Sud.

    L'accordo non poteva essere più abile a favore della Economia dell'... altra Italia, di quella più ricca e più... intelligente. Difatti, con la concessione del dazio sul grano, l'Economia meridionale e tutta la Politica economico-sociale del Mezzogiorno veniva narcotizzata e, più del mitico Prometeo, saldamente incatenata alla immobilità della rupe fatale.

    La politica protezionista, voluta e inaugurata dagl'interessi del Nord industrializzantesi, era ed è in completo contrasto con gl'interessi del Sud, tutt'ora prevalentemente agricoli. E il danno nostro non è unico. Infatti, mentre le industrie del Nord si sono assicurato, in regime di protezione, un buon mercato di smercio nel nostro Mezzogiorno, esse si sono nel contempo, determinando le nostre esportazioni nei vari Stati, assicurato anche un comodo mercato di acquisto di materie prime per le loro industrie e di derrate alimentari per le loro maestranze. Un doppio boccone, ossia due bei piccioni con una sola fava: il dazio sul grano. D'altra parte poi si sa che le popolazioni che più consumano di farinacei, pane e paste, e che quindi più sopportano il rincaro del grano per il dazio sono appunto le meridionali.

    Fissate così le cose, l'Economia meridionale è divenuta una "morta gora", ha perduta ogni possibilità dinamica; rimane "immobile saxum", quasi quanto l'eterno Campidoglio.





    È assioma nella Storia della Economia, che ogni Paese cerchi di superare la sua fase agricola, per passare a quella industriale. Questo superamento, questo passaggio, questo dinamismo, questo progresso è a noi ostacolato proprio dal dazio sul grano. Noi siamo depauperati doppiamente, come abbiamo visto, dal protezionismo industriale del Nord, che c'impedisce, perché ci spoglia, quell'accumulazione capitalistica necessaria per passare da agricoltori ad industriali; né d'altronde ci arricchisce il protezionismo granario, perché ce lo paghiamo... noi stessi, che siamo più consumatori che produttori di grano.

    Noi dovremmo combattere vivamente, nel nostro vero beninteso lungimirante interesse economico-sociale, il protezionismo industriale del Nord, ma non lo potremo ma fare davvero, energicamente, fino a quando noi saremo tirati col capestro del dazio sul grano, ossia fino a quando noi non sapremo emanciparci da questo dazio, rinunciando decisamente a questo beneficio che sa come il sapone alla corda dell'impiccato, che sa come l'ossigeno al letto del morente.

    Per sollevare la nostra agricoltura, abbiamo bisogno di comprare macchine, attrezzi, concimi e quant'altro ad essa serve, al più buon mercato possibile, ossia in regime di libera concorrenza. E in regime di libera concorrenza comprare quant'altro serva ai nostri bisogni, di panni, di cotonine, di ferramenta, ecc. E ci occorre ottenere dall'estero dazi più miti per le nostre esportazioni agricole, non dazi di rappresaglia, di ritorsione, quali sono determinati dal nostro protezionismo industriale. Dobbiamo ottenere più ampi e possibili mercati per i nostri vini, i nostri olii, le nostre mandorle, le nostre primizie, ecc. Ma fino a quando noi, principalmente, non ci metteremo in grado di rinunciare al dazio sul grano, certo gradatamente, noi resteremo ferreamente legati alla politica del Nord, noi resteremmo schiavi della Economia del Nord, noi non riacquisteremo mai una vera indipendenza e libertà di manovra economica.





    E quel che è ancora non meno notevole - pochi, forse, lo avranno davvero ponderato - è il fatto che il dazio sul grano, che è da noi così usurariamente pagato, non giova, a noi più che alle altre regioni del Regno; si consideri infatti il seguente prospetto statistico:

MEDIA SETTENNALE
DELLA PRODUZIONE DEL FRUMENTO
(1909-1914)

Superficie coltivata Ettari 4.768.500

Ettari

Quintali

Popolazione
della regione

Superficie
Km²


Piemonte

310.600

4.107.000

3.384.811

29.355.65


Liguria

23.900

220.000

1.310.388

5.280.18


Lombardia

278.000

4.619.000

5.110.320

24.179.98


Veneto

313.200

4.781.000

3.956.474

24.514.60


Emilia

490.700

7.974.100

2.953.150

20.833.08


Toscana

386.600

3.949.500

2.830.747

24.099,73


Marche

281.300

2.794.500

1.149.672

9.690,88


Umbria

199.600

2.290.800

736.771

9.767,14


Lazio

190.000

1.735.000

1.519.743

12.082,72


Abruzzi Molise

357.400

3.291.500

1.436.537

16.545,80


Campania

329.000

2.830.700

3.576.961

16.262,16


Puglie

367.600

3.259.000

2.344.314

19.108,28


Basilicata

157.500

1.288.300

467.812

9.987,43


Calabria

180.600

1.203.400

1.503.201

15.074,55


Sicilia

693.600

5.401.400

4.132.156

25.738,02


Sardegna

208.900

1.751.800

866.681

24.090,17





Totali

4.768.500

51.497.000



    Data la maggiore possibilità di rendimento granario, specie per certe plaghe del Nord (valle padana, ecc.) il beneficio del Nord è crescente, mentre è quasi stazionario il nostro; doppia stazionarietà! stazionarietà nel beneficio granario, stazionarietà nelle condizioni economiche generali del Mezzogiorno.

    E vengo alla nota obiezione, che sa anche troppa di fatalismo: abolito il dazio e smessa la coltura granaria, quale altra coltura sostituiremmo sui nostri terreni? Conosco la obiezione in tutto il suo giusto peso; perché conosco anch'io, come Madame de Sèvigné, l'alma "terra", non semplicemente attraverso le bellezze letterarie della Georgiche. La obiezione è seria, sì, ma non insuperabile.

    Prima di tutto noi non sosteniamo la soppressione totale, di colpo, del dazio - saremmo folli - ma quella graduale. In secondo luogo noi non crediamo che manchino da noi terre granifere che possano reggere alla concorrenza estera, gravata di spese di trasporti, ed anche (cui non saremmo di massima contrari) di un dazio puramente fiscale. Si tratterebbe di sottrarre alla coltivazione granaria le terre "marginali" le quali potranno pur essere numerose, ma saranno sempre una parte di tutto il complesso; e non potranno, per esse, mancare colture adeguate; poiché non v'è lembo di terra, come non v'è uomo, cui Iddio non abbia largiti alcuni dei suoi doni. - Chi è il forte?...; chi è il debole?... Non era ieri più forte la fertilità del soprasuolo e non è oggi più forte la ricchezza del sottosuolo? Non è stato provato che i terreni "aridi" hanno pure i loro vantaggi di fronte ai terreni irrigui? Dove non può arrivare la Scienza, lo studio e la fede coraggiosa e salda dell'uomo che voglia fortemente? - Poesia?





    Non abbiamo nel nostro Leccese terre passate dalla granicoltura alla tabacchicoltura? - Non abbiamo sempre più nel Barese terre passate dal grano alle foraggiere, col meraviglioso sviluppo dell'industria del bestiame e del caseificio? - Non abbiamo nel Tarentino terre passate dal grano alla ricca coltivazione degli ortaggi, specie del pomodoro, con l'industria delle conserve? - Dunque la vittoria non è a noi completamente ignota, come dimostrerò anche più largamente in una prossima volta; si tratta di volere, fortemente volere e i nostri agricoltori, i nostri contadini conoscono la costanza indomita; senza della quale la "terra" è morte, non vita. Ma, ripeto, su quest'ultima parte tornerò ancora con maggiori e più precise notizie e dati.

    E non posso finire, senza richiamare l'attenzione ancora su un altro svantaggio pel nostro Mezzogiorno. Lo sviluppo industriale del Nord si è svolto, si svolge tuttora, in condizioni di favore; il nostro appena nascente sviluppo industriale date le notevoli differenze fra la industrializzazione del Nord e quella del Sud - dovrà necessariamente svolgersi in condizioni di Libera concorrenza di fronte alle industrie del Nord, le quali invece si sono svolte in condizioni di assoluto protezionismo.

    Ma vi ha ancora di più: quando lo sviluppo industriale del Nord potrà ritenersi completo, esso avrà tutto l'interesse, come sempre accade, di abbandonare il protezionismo e di combattere pel liberismo. Noi meridionali allora saremo ancora nella fase penosa della lenta ascesa, del lento passaggio dalla fase agricola alla fase industriale; il liberismo che sarà propugnato dagl'interessi del Nord, tornerà allora tanto dannoso per noi, pel nostro passaggio alla fase industriale, di quanto ci é dannoso oggi, nella nostra fase agricola, il protezionismo del Nord. Il Nord avrà già goduto il beneficio di essersi industrializzato sotto il guardinfante del protezionismo, noi dovremo affrontare allora, ancora minorenni, o appena adolescenti, la lotta del regime liberista, oltre che dall'interno, come già detto di sopra, anche nei rapporti con l'estero; e se non saremo proprio degli eroi, per lottare e vincere in quelle condizioni, diverremo certamente per una seconda volta dei martiri della politica del Nord e continueremo a trascinare la nostra pesante catena di una insuperabile inferiorità ed a formare sempre la massa di manovra della ciarlataneria politica.

GIOVANNI CARANO - DONVITO.