LE ELEZIONI TEDESCHEPerché è stato sciolto dopo mezz'anno di vita il Reichstag eletto il 4 maggio scorso? Perché non si riusciva a formare una maggioranza, capace di governo. Basti il dire che il ministero messo insieme a prezzo d'interminabili trattative era il frutto della coalizione di tre partiti: Zentrum, Deutsche Volkspartei e Democratici, i quali disponevano alla Camera appena di 137 dei 472 seggi. Governare dunque non si poteva senza l'appoggio o almeno la benevola neutralità d'un altro grande partito. S'era prestata a tal servizio la social-democrazia, che gettando il suo centinaio di voti sulla bilancia parlamentare poteva quasi sempre salvare una situazione pericolante. Non sempre però. Un articolo della costituzione di Weimar, escogitato per metter la Carta fondamentale della repubblica al sicuro dai colpi di mano della Destra, richiede una maggioranza di due terzi quando si tratti di decidere su argomenti particolarmente importanti per la vita della nazione. Uno di questi casi si presentò l'estate scorsa, quando il parlamento fu chiamato a votare l'accettazione del piano Dawes. Nemmeno l'aiuto della socialdemocrazia poteva allora bastare. Data l'intransigenza di principio dei comunisti e dei nazionalisti solo un intervento dei tedesco-nazionali sarebbe valso a condurre in porto la legge. E i tedesco-nazionali tuonavano da tempo contro il progetto interalleato perché consacrante una lunga schiavitù del popolo germanico. Il Governo era dunque scoperto, e i tedesco-nazionali gongolavano, d'esser finalmente gli arbitri della situazione, essi che, come la frazione parlamentare uscita più numerosa dalle urne elettorali, avevano atteso, sperato, gridato che si passasse finalmente a loro la somma della cosa pubblica. Ma gongolavano anche i socialisti. La partita del 4 maggio s'era svolta sotto auspici a loro non molto favorevoli. Non erano ancora avvenute le elezioni francesi, nessuna delle localitá renane occupate era ancor stata sgombrata, durava l'esaltazione nazionalista sfrenata dal putsch di Monaco e rinfocolata dal successivo reclamistico processo, duravano i terribili effetti dell'inflazione, per cui le masse di tutti i ceti impoverite, deluse, eccitate prestavano orecchio ai predicatori di rimedi estremi. Inoltre il concorso alle urne non era stato troppo grande. Rifiutare, ora, il piano Dawes significava un pauroso salto nel buio. I crediti di cui l'industria e in genere tutta la vita economica tedesca abbisognava urgentemente non sarebbero venuti; l'opera di risanamento iniziata dal marco-rendita si sarebbe arrestata, la Germania sarebbe rimasta isolata senza mezzi, senza lavoro e senz'armi in mezzo a un campo di nemici e in piena discordia intestina. Poiché l'unica soluzione legale era allora lo scioglimento del Reichstag, qual magnifica occasione di dar battaglia ai tedesco-nazionali!! Il buon senso del popolo non avrebbe mancato di far giustizia della loro ostinazione; la socialdemocrazia coi partiti sinceramente repubblicani avrebbero ottenuta una maggioranza finalmente sicura. Ma i tedesco-nazionali, fiutato il vento infido, batterono in ritirata strategica. Mentre i membri più decorativi del partito continuavano a declamare d'onore calpestato, d'impossibilità, ecc., i politici del partito scesero ad accordi colla coalizione di governo. Il risultato fu, che una parte dei cadetti di Pomerania all'ultimo momento ricevette l'ordine di votare per l'accettazione del piano Dawes. Così la crisi fu scongiurata, e le speranze socialiste andarono deluse. Ma i tedesco-nazionali non intendevano aver concesso per nulla il loro aiuto. Ci furono impegni precisi? Fu affermato e negato. Certo è che i salvatori pretesero d'esser accolti nel Ministero e che la crisi tornò a insidiare il governo. Non si trattava adesso soltanto più d'un attacco dal di fuori, bensì, e soprattutto, di incertezze interne. Ogni partito ha una destra e una sinistra, ma nell'instabile equilibrio delle forze politiche tedesche le due tendenze sono particolarmente mobili nei partiti di centro. E ognuna di esse mira sempre a collegarsi colla trazione parlamentare più vicina. Dopo il voto dell'estate dunque le due ali destre del Zentrum e della Deutsche Volkspartei si chiesero se non fosse il caso d'aderire alle richieste tedesco-nazionali dando vita al blocco borghese auspicato da tutta la stampa conservatrice. Il multiforme Stresemann (capo della D. V. P.) fece una serie di giri di walzer con questa e con quella possibilità, dimostrando abbastanza desiderio di piegare verso destra. Non si riuscì a concluder nulla, perché i maggiorenti del Zentrum col cancelliere Marx alla testa dichiararono nettamente di non voler deviar d'un pollice dalla politica estera fin allora seguita. Le manovre avevan seccato il paese e insospettita la socialdemocrazia che, ritenendo venuto di nuovo il momento favorevole dell'appello al popolo, ritirò il suo appoggio al Governo. E questi, incapace di vita, decise lo scioglimento del parlamento. Per tali premesse è chiaro che i proponenti le elezioni erano i socialisti con un dilemma semplicissimo: a destra o a sinistra? Ogni partito, tranne gli estremi, scese in lotta colla speranza di guadagnar terreno, e in ogni modo col proposito d'impegnare ogni sua forza nella battaglia. E fu infatti battaglia quanto mai serrata. Il concorso alle urne superò l' 80 %, degli iscritti; si ebbero oltre 30 milioni di voti validi e 493 mandati contro nemmeno 28 milioni di voti e 472 mandati nelle elezioni del maggio. (Il numero dei seggi del Reichstag non è fisso: restano eletti tanti deputati quanti 60.000 voti effettivi). Tutti i partiti, eccetto gli estremi e alcune liste minori, segnarono un guadagno. Gli spostamenti del maggio non potevano essere in complesso grandissimi, ma assai significativi. La lotta era dunque tra rosso-bianco-nero (la bandiera imperiale) e rosso-nero (la bandiera repubblicana). Proprio, una questione di colori, ma una questione che tocca le radici della vita politica tedesca. La perplessità della quale (che si manifesta anche nella molteplicità dei partiti e sopratutto nell'equilibrio numerico delle due tendenze antagoniste) è la perplessità dell'anima tedesca stessa. Di fare esperienze arrischiate (putsch a parte) la sorveglianza degli ex-nemici e il peso della sconfitta non consentono alla Germania, e le mancate esperienze fan si che la perplessità si trascini d'elezione in elezione. Da una parte sta il passato, troppo grande perché non lo si possa lamentare e risognare, dall'altra sta l'avvenire troppo incerto e meschino perché ci se ne possa esaltare. Quando si presentano i tedeschi di destra come un mucchio di fossili e di reazionari, che vogliono ostinarsi a vivere, si commette un grave errore di valutazione storica. Si tratta di ceti ancor vivi. C'è intanto una classe industriale assai più matura e organizzata che da noi. Poi ci sono delle masse agricole (le bavaresi, p. es.) attaccate per mille fili vitali al loro conservatorismo. Ci sono delle masse cattoliche (le renane sopratutto), che portano nella lotta politica un elemento etico di cautela insopprimibile. E infine nemmeno i Junker, vecchi e giovani, né gli alti impiegati, né gli alti ufficiali sono un ceto morto, perché è gente che ha stile, abitudine, esperienza e non di rado sapienza di comando, in misura certo sconosciuta alle nostre corrispondenti classi sociali. La perplessità politica tedesca del dopo guerra è quindi ampiamente giustificata. E la conquista democratica della Germania non può essere che lenta, e sarà tanto più sicura quanto sarà lenta. Ora com'è riuscita stavolta la risposta al dilemma: destra o sinistra? Ognuno dei partirti capaci di governo canta vittoria, ma se le cifre dicon qualche cosa, il responso della consultazione fu piuttosto favorevole alla sinistra. Poiché la sinistra attualmente in Germania vuol essere moderazione, senso di realtà, volontà di un avvenire umile ma nuovo, bisogna dare tra i risultati la maggior importanza alla sconfitta dei due partiti estremi: i comunisti discesi da 62 a 45, i nazionalisti da 32 a 14. E notare come la maggior batosta l'abbiano avuta i nazionalisti. La rotta per questi fu particolarmente grave in Baviera, dove con Hitler sempre in prigione, il partito diviso in due fazioni rabbiosamente avverse l'una all'altra, Ludendorff squalificato per la sua lite con Rupprecht ecc., i superbi rinnovatori della Germania han perduto il loro trampolino di slancio per le sognate marce su Berlino. Gli aumenti di seggi del Zentrum (salito da 65 a 69) della Deutsche Volkspartei (da 44 a 54), della Bayerische Volkspartei (da 16 a 19) e della Lega agraria (da 10 a 17) son più che altro dovuti all'aumento dei votanti, sebbene non sia escluso il caso di qualche profitto alle spalle dei nazionalisti. Conviene quindi concentrare l'attenzione sui due veri protagonisti della lotti, i socialdemocratici e i tedesco-nazionali. I primi avevano ottenuto in maggio 100 seggi contro 66 dei secondi, i quali però beneficiando dei 10 mandati d'un partitello accolito potevan sempre mettere in campo 100 voti. Il 17 dicembre ha dato 131 seggi ai socialisti e 103 più 8 degli accoliti, dunque 111 seggi ai tedesco-nazionali. Entrambi gli avversari cioè han guadagnato; ma tenendo conto dei guadagni fatti dagli altri partiti e che del grosso delle perdite comuniste han beneficiato i socialisti e delle nazionaliste i tedesco-nazionali, si vedrà esser stato il vantaggio di questi ultimi assai minore, se non illusorio. Consideriamo poi che i democratici, dati per ispacciati dalle destre, han progredito da 28 a 32 seggi, si dovrà pur concludere che lo spostamento a sinistra c'è stato e cosciente e deciso. Le contemporanee votazioni per il Landstag prussiano han mostrato un aspetto concordante. Il rapporto tra la rappresentanza nuova e la vecchia è, per vero, qui un po' diverso che per il Reichstag (i socialisti, pur restando in maggioranza numerica, perdono una ventina di seggi, mentre i tedesco-nazionali ne guadagnano una buona trentina); ma bisogna tener conto che il vecchio Landstag era stato eletto nel 1921, che da allora la riscossa borghese s'è fatta più audace e che i socialisti in sei anni di governo prussiano si sono alquanto logorati. In maggior armonia coi risultati del Reichstag sono stati quelli delle elezioni per le diete degli stati di Brunswich e di Assia. Non è dubbio che si avrebbe uno spostamento a sinistra anche in Baviera, se si ripetessero le elezioni per le diete, malgrado i forti successi dei tedesco-nazionali, che avevano portato in campo qui di nuovo il loro corposanto più formidabile, il grand'ammiraglio von Tirpitz. Le elezioni comunali tenute in alcune grandi città han risentito più profondamente gli umori di politica locale. Notevole ad ogni modo che dove i socialisti son stati sbalzati, come a Monaco, dal potere sia occorso il blocco di tutte le forze borghesi. Altrove, come p. es. a Brema, si sono magnificamente affermati. Quale sia per essere il risultato delle trattative già avviate per la formazione dei ministeri del Reich prussiano non si può dire per ora. Ragionando coi numeri alla mano c'è possibilità tanto per una grande coalizione di sinistra (socialisti, democratici, Zentrum, lega agricola) con o senza 1a Deutsche Volkspartei, quando per una coalizione borghese coi tedesco-nazionali. Né è esclusa di nuovo la possibilità d'un gabinetto di minoranza sotto la tutela degli assenti socialisti. La decisione è nelle mani della D V P. e soprattutto del Zentrum, e dipenderà dal come si risolverà nel seno di ciascuno di questi due partiti la lotta tra destra e sinistra. VINCENTI
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