LA SUCCESSIONEI.L'esame rapido, schematico degli avvenimenti italiani è utile per mettere in mostra un equivoco che allo stesso tempo è tragico e buffo per una caotica stratificazione di vecchie e sorpassate situazioni politiche e l'incapacità diffusa a comprendere i fatti recenti del nostro paese. Il fascismo, che alcuni credono sorto dalla troppo ricordata riunione del marzo 1919 a Milano, nasce con le sue tendenze caratteristiche nel 1921. In vari luoghi, sotto la spinta di necessità diverse, per impulso di uomini che nessuna disciplina o tradizione spirituale comune aveva spontaneamente fuso o avvicinato. Così per mille ragioni e per nessuna ragione, per mille scopi e per nessun scopo. Individui legati d'un tratto non da un programma, non da una idea ma soltanto dalle loro effimere, esasperate passioni, dall'illusione, dalla noia che sembrava allora inspirare la nausea più profonda per la vicenda politica italiana. Clamori di folle, eresie di capi, miseria di azioni. E allora nel crepuscolo grigio e greve non è la luce di una fede che vince, che guadagna i favori dei molti, no, è la tenebra assoluta che raccoglie le speranze dei ciechi. Nessuno sa, nessuno ha mai saputo quello che il fascismo vuole. Tutti sono assordati nondimeno dal fragore delle sue promesse, e dai vanti delle sue imprese. Nessuno ha mai potuto definire, anche in limiti vasti ed elastici, il contenuto e le caratteristiche del fascismo. I più autorizzati interpreti ed inspiratori di esso si sono visti smentire dai fatti, sono stati travolti dalla bufera del caos. Due anni di cronaca italiana dicono agli attoniti che si sta svolgendo un nuovissimo esperimento politico. Il Congresso di Roma del novembre 1921 consacra il fascio nella categoria dei partiti. (Le elezioni del maggio non avevano dato ad esso altro ruolo oltre quello della bastonatura-propaganda). Le città più importanti, la capitale hanno la splendida rivelazione delle "camice nere" inquadrate, prima soltanto provinciali. La cronaca s'infittisce di episodi. La domenica è il giorno sacro all'eccidio per fini nazionali. Vino e sangue, gli inni squadristi, la nube azzurrognola degli autocarri. Primavera del '22: il governo di buona marca giolittiana comincia a considerare il fascismo una "forza politica". Ma fino a un certo punto. Perché la situazione è nettamente di sinistra, dicono a Montecitorio. I calori estivi precoci ed eccezionali di quell'anno animano sempre più la ribalta tragicomica del bel paese. Si grida da tutte le parti, si protesta, si reclamano opere ed argini. La paura. La paura confonde la vista. Gli ultimi barlumi di luce vengono meno. Il fascismo è una forza politica, deve avere il suo posto al sole. Qualche portafoglio, concludono i Machiavelli della vecchia classe dirigente. L'acme del disorientamento si raggiunge con lo sciopero legalitario, con Turati al Quirinale, con Taddei che deve rimettere l'ordine in tutte le provincia che avvampano. Il fascismo è una forza di governo. Tutti lo pensano, molti lo dicono. Il buio è perfetto. Comincia con anticipo generoso il torrente impetuoso degli eroi della sesta giornata. Si stampano le tessere a migliaia ogni ora. Il trapasso avviene dolcissimo. La commedia è abilmente giocata. Ci sono le masse, i bivacchi nella notte fangosa, le sfilate gioconde al sole ultimo d'autunno, le fucilate, i morti. Sicuro, anche i morti. Pochi, naturalmente. La situazione era insostenibile: fatalità storica, le energie scaturite dalla trincea, l'astro della pace interna che appare sull'orizzonte ecc. ecc. Da noi, in qualunque tempo si trova un gruppo abbastanza numeroso e autorevole di "personalità", di uomini superiori alle fazioni, di austeri filosofi della storia che conforta della sua benevola approvazione qualsiasi rumorosa baraonda a lieto fine. Il fascismo è al governo, è il padrone. Tutti credono in esso, nelle sue possibilità restauratrici. Salvo alcuni solitari, che mancano di senso storico, quegli italiani che non sono furbi insomma. E' per opera di queste piccole élites, di questa polemica di intellettuali che la dignità degli italiani non abdica completamente davanti al vincitore. Nell'intransigenza disperata di pochi si salva l'opposizione per domani. L'equivoco intanto si stende pauroso come un incubo sulla vita italiana. C'è un partito al governo del paese. Ma un partito sui generis: non sa quello che vuole. Perché appunto si propone di fare una quantità enorme di cose, perché proclama alto e forte che intende essere soltanto realizzazione, soltanto attività concreta, pratica. Perché i suoi uomini dicono: noi non discutiamo, non stendiamo programmi, noi facciamo. Non c'è niente di più teorico e di più astratto di questa pratica. I ciechi e i sordi dicono sempre: il fascismo è forza di governo. I verbi di moda: fare, produrre, rivalutare. Comincia la ridda di leggi e decreti. Tutto nuovo, tutto moderno, tutto rinfrescato. Dallo stagno dei vinti si leva qualche testa a guardare: ecco le prime voci, i primi mormorii, le prima critiche. Il coraggio aumenta col numero e con la facilità della strada che si apre dinanzi ai dissenzienti. Passano i mesi, fioccano i decreti, le opere concrete, orgoglio dei nuovi signori. Nasce l'apposizione. Modesta tranquilla paterna. Il tempo che tutto gonfia dà tono al coro. Ma i trionfatori seguitano come prima. Cioè rimangono fascisti anche se padroni dei ministeri, arbitri delle prefetture. Onestamente si illudono di far bene a non abbandonare le recenti loro consuetudini di metodo politico. Quelle che nessuno ignora, ormai. I fiancheggiatori, amorevoli e disinteressati, cercano con la migliore volontà di regalare "la innegabile forza politica" del fascismo. E' inutile. I giovani governanti non capiscono che è "per il loro bene" e seguitano impenitenti ad essere quello che erano agli inizi della miracolosa loro patriottica intrapresa. Cadono i puntelli: i popolari se ne vanno, i demosociali se ne vanno, i liberali tentennano... La folgore Matteotti. Il paese si scuote, sente l'offesa ma non capisce ancora. I combattenti distinguono. Gli oppositori diventano le Opposizioni con l'"o" maiuscolo. Da tutte le parti si grida con l'accento disperato del naufrago: Signori del governo, il rispetto alle leggi! Scoppiano qua e là in ogni campo le scintille rivelatrici della coscienza morale, profondissima, degli italiani che si occupano di politica. Atmosfera da tragedia. Personaggi da teatro di marionette. Le teste son certo di legno. L'equivoco è al parossismo. Un governo di partito che non vuole rinnegare le sue origini e che premuto da tutte le parti, affogato nello scandalo, urlato da milioni di cittadini, resiste ancora e faticosamente prosegue il suo cammino incerto. In mille forme va dicendo: Io sono così, io non posso essere che questo, la mia anima vera è la sopraffazione, è la violenza, è il caos travolgente del numero, non ho mai valuto nascondermi sotto l'ipocrisia vile della forma giuridica. Niente: amici e nemici resistono. Signori del governo, il rispetto della legge! La normalizzazione si inizia. Con tutte le caratteristiche di movimento convulso e la febbre delle contraddizioni sentimentali, la cecità universale, la paura, l'hanno sollevato ai fastigi del potere. Era l'unico partito che non poteva comandare perché incapace di un ordine intimo ed omogeneo: la sorte l'ha sbalzato al dominio dello Stato. "E' una forza innegabile, una realtà insopprimibile". La sua sconfitta non comincia adesso: è dell'ottobre 1922. Allora il fascismo ha voluto, inconsapevole, la sua morte. Segno della sua immaturità essenziale, non capiva che la legge era il suo veleno. Gli altri, amici e nemici, con i consigli e le intimazioni, con gli ammonimenti e le denunce gli offrono, disinteressati, lo specchio per indurlo a correggersi, a vedere lo sbaglio. Ma così gli danno ossigeno, lo tengono in piedi, costretto alle ferree necessità del potere. Tutti combattendolo e aiutandolo vengono a riconoscerlo ad accettarlo ad affermarlo come una realtà. Non hanno il coraggio dell'indifferenza assoluta, del bando morale e politico senza limitazioni. Così il fascismo impara lo stile del governo d'Italia. Il ritmo della sua attività, la sarabanda dei decreti si placa. Capisce che meno un governo si muove e rinnova, più riesce a fare. La situazione è questa: il fascismo lentamente va costituendosi uno stile di governo ma con questo liquida le sue forze di partito incompatibili nell'ordine giuridico. La salute del Ministero è nello sfacelo delle squadre. Le opposizioni si fondono e fraternizzano: così perdono le loro qualità e forze di partiti moderni, la loro caratteristica democratica, ossia l'autonomia politica. Per vincere il nemico fanno tacere la loro anima, lasciano le armi, astratte nella nebulosa mentalità di una lega. Quando suonerà l'ora il fascismo sarà diventato un Governa mediocre senza più la base del partito, l'opposizione la minima resultante dallo sfacelo dei partiti. La ragione immediata del suo trionfo è la stessa della sconfitta di Mussolini. L'equivoco resta. Oggi si dice: le opposizioni sono una forza politica, avranno il loro svolgimento. Nel '22 si diceva così del fascismo. Si è proprio sicuri che la differenza non sia soltanto nelle parole? MARIO LIRONCURTI.
II.Le preoccupazioni di Mario Lironcurti non sono soltanto personali: si avvertono nell'aria, se le pongono uomini che furono in questi anni tra i migliori combattenti; conviene rispondervi esaurientemente. Rivoluzione Liberale parve talvolta la suocera delle opposizioni perché sentiva il pericolo che la battaglia fosse stata per nulla. Quando attaccammo Delcroix, quando iniziammo la campagna antitrasformista e anti-giolittiana, sembrò che noi fossimo soli, che gli altri precipitassero nell'equivoco della soluzione centrista. Invece in tre mesi la nostra battaglia è vinta su tutta la linea: la tesi di Rivoluzione Liberale è oggi accettata dalle opposizioni, i discorsi di Amendola e di Turati a Milano parlarono almeno altrettanto chiaro come i nostri articoli sul tema dell'intransigenza. Noi dobbiamo prendere atto della perfetta lealtà di queste dichiarazioni, dobbiamo riconoscere che uomini come Amendola e Turati ci hanno dato prove sufficienti perché si creda alla loro capacità di resistenza e di costanza, una volta che abbiano visto anch'essi la soluzione in un senso che è identico con quello visto da noi. Ogni altra predica di intransigenza diventa inutile, se le nostre eresie sono state accettate come verità sacerdotali. Invece, a questo punto, noi abbiamo il dovere preciso di proporre un piano concreto di tattica e di battaglia alle opposizioni. Questo piano non può contare né sugli intrighi di Corte, né sull'intervento dello Stato Maggiore, né sulla rivolta della maggioranza. I piani che contano su questi elementi sono stati sconvolti, sconfitti. Un'alleanza tra Giolitti e le opposizioni, a parte le ragioni storiche dell'anti-giolittismo che spiegammo le settimane scorse, indeboliva le opposizioni: 1) perché toglieva loro il prestigio che nasce dal non combattere per la resurrezione del passato, ma in nome di uomini e cose nuove; 2) perché portava tutto il bilancio passivo delle responsabilità e delle antipatie che conserva Giolitti - dalle abitudini di corruzione elettorale, ai gusti di addomesticatore, al neutralismo; 3) perché ripresentava alla battaglia un uomo che da dieci anni è stato sistematicamente incapace di vincere. Lasciato Giolitti alle sue giuste corresponsabilità col fascismo, le opposizioni devono superare il punto morto dell'attuale vita italiana dichiarandosi pronte alla successione. Popolari, unitari, amendoliani possono elaborare un programma di governo che avrà la fiducia degli italiani. Essi devono dimostrare che non ripeteranno più le indecisioni del 1921, che non rifiuteranno più di assumere le loro responsabilità. Un governo così composto ci troverà tutt'altro che entusiasti e plaudenti senza riserve. Ma esso garantirà i seguenti vantaggi: 1) sarà un governo di partiti responsabili e non di avventurieri e di dittatori; 2) sarà il primo governo che potrà conservare l'ordine, perché parlerà col prestigio della democrazia, del consenso e di una parte delle classi proletarie; 3) invece che da un blocco di interessi personali, nascerà da una collaborazione leale e aperta di forze e di programmi diversi, ma non contradditori, controllati dagli istituti democratici moderni; 4) invece di essere uno Stato balcanico o sud-americano l'Italia si metterà sulla via di diventare uno Stato europeo moderno. Un programma per questa coalizione di opposizioni al potere non deve essere improvvisato: si tratta di creare sin d'ora l'atmosfera di questa elaborazione e di questa responsabilità. L'accordo deve stabilirsi sulla base della proporzionale come legge elettorale e del principio della libertà, solidalmente accettato, sia nel problema costituzionale, che nelle questioni doganali, scolastiche, amministrative. I socialisti devono essere pronti a rifiutare ogni politica statalista, a base di favori alle cooperative in fatto di lavori pubblici. Due anni di lotta per la libertà devono aver fatto tramontare tutte le illusioni di riformismo statolatra. La battaglia contro il fascismo può avere un senso soltanto in quanto determini nello spirito italiano una maturazione politica e morale, in quanto ci faccia conquistare quei valori di dignità e di serietà che non conquistammo col Risorgimento. Se il fascismo non si potrà rovesciare che con una rivoluzione, se bisognerà scendere a combatterla con i suoi metodi, diremo quando sarà necessario la nostra parola. Intanto bisogna dire ben chiaro che se si trattasse di rovesciare il fascismo con una semplice sommossa violenta, del genere eroicomico e avventuroso della marcia su Roma, noi rifiuteremmo senz'altro l'ipotesi. Abbiamo combattuto il fascismo e il mussolinismo per un ideale di serietà non per sostituirvi degli altri avventurieri. Bisogna preparare ben altra rivoluzione nelle coscienze, bisogna dare agli italiani un senso realistico e capacità moderna di lotta politica, abituarli al sacrificio e all'intransigenza per le loro idee. Le opposizioni si sono messe per questa via; elaborando il loro programma di governo dimostreremo la loro superiorità sugli improvvisatori dell'ottobre 1922, e matureranno quel processo di conquista morale degli spiriti che non è ancora compiuto e dal cui compimento dipende la possibilità della loro vittoria, e la serietà della loro rivoluzione. Le opposizioni hanno il dovere di non transigere e di non venire a patti con il fascismo e coi suoi complici ex-fiancheggiatori, perché rappresentano veramente una rivoluzione, una rivoluzione di idee e di maturità liberale, non la mediocre sommossa di capitani di ventura disoccupati. Fermando le "tavole" che gli oppositori vogliono realizzare questa differenza di stile e di razza apparirà sempre più evidente. Che se la forza dell'opinione pubblica favorevole a questo programma non sarà decisiva e concorde da rovesciare l'oligarchia che tiene il governo la battaglia avrà almeno guadagnato in chiarezza; la successione, più lontana, sarà più seria. Le democrazie del lavoro e dell'intelligenza radunate a Milano domenica scorsa non hanno le ambizioni dei parvenu e degli spostati, non hanno paura di restare all'opposizione altri due anni. p. g.
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