LIQUIDAZIONE DI UN MITOI.Il voto parlamentare del 22 novembre, in cui Carlo Delcroix, Sem Benelli, Cesare Forni, Antonio Salandra votarono a favore del "commilitone" Mussolini, mentre i cosidetti combattenti si astenevano, rimanendo a rappresentare l'Opposizione, attorno agli onorevoli Giolitti ed Orlando, solo uno sparuto ed eterogeneo manipolo, è la disfatta piena ed incontrastabile di una campagna di stampa durata tre mesi, è la rovina assoluta della tendenza "centrista" e patriottarda. Dal voto suindicato comincia una nuova fase della battaglia antifascista, per cui è necessario buttar a mare, una volta per sempre, "liberali" e combattenti, e mettersi risolutamente sulle traccie dei partiti di sinistra. Anche se in via di dannata ipotesi dovesse provvisoriamente trionfare una combinazione giolittiana, fatta di compromessi, materiata di scaltre e geniali ipocrisie, per cui il liberalismo adulterato di conservatorismo prendesse il passo sulla democrazia, resterebbe sempre, nell'episodio del 22 novembre, un gruppo soccombente, svuotato ormai di capacità e possibilità politiche; (se pure ne ebbe in passato), quello dei cosidetti "combattenti". Il mito dei combattenti, la loro valorizzazione si debbono a un'errata valutazione di uomini e di dottrine, per cui numerosi individui organizzati per motivi prevalentemente economici in un'Associazione per sua natura semi-governativa, vennero un bel giorno chiamati ad interprendere ed a rappresentare il pensiero politico della Nazione, con lo specioso pretesto che "avevano partecipato alla guerra vittoriosa". Come se bastasse il dovere: compiuto per creare una coscienza politica! Ma purtroppo le funeste ideologie dei dopoguerra a cui il fascismo diede nuovo rigoglio, hanno tolto a molti italiani il dono di ragionare schiettamente, in modo positivo e logico. E innanzi tutto, poniamo bella e chiara una cosa. I membri dell'Associazione Nazionale dei Combattenti, dell'Italia Libera, del Nastro Azzurro, ed organismi affini non rappresentano affatto tutti coloro che presero parte alla guerra, ma solo una porzione minima di essi. Concesso che gli organizzati raggiungono un milione, restano fuori altri quattro milioni di combattenti altrettanto autentici. Tra costoro sono gli intellettuali che non vogliono sapere di Leghe, gli impiegati o gli operai che per farsi strada contano esclusivamente sulle loro forze, i contadini ignoranti (magnifica carne da cannone) che non s'impicciano di politica, ed hanno magari dovuto emigrare perché la "terra" che fu loro promessa nelle radiose giornate del 1915 è sempre in mani altrui. Questa immensa falange di non tesserati milita nei partiti "borghesi" o non fa politica: non è giusto che un quinto del suo totale si arroghi il diritto di parlare come se la impersonasse per intiero. Socialisti, popolari, liberali, democratici comprendono valorosi ex-combattenti, i quali si sentono estranei agli interessi e alla mentalità dell'Associazione Nazionale e pretendono conservare gelosamente la loro personalità di cittadini liberi. Perché, per entrare fra i cosidetti "combattenti" due requisiti spirituali si richiedono, oltre allo stato di servizio bellico: la propensione alla retorica patriottica, il bisogno istintivo dell'inquadramento. Noi ragioniamo freddamente in sede politica, e ammettiamo psicologicamente il desiderio di sentirsi un "gregario" (di sfoggiare decorazioni, nastrini, ecc.; tipico p. es. nei fascisti, e capace di spiegarne la fortuna fra i ragazzi, le donne, i pensionati, ecc.), e il punto d'onore che la piccola borghesia pone a mostrarsi "patriota". Non trascuriamo neppure i motivi economici (non certo spregevoli, anzi più che legittimi) e pratici: disbrigo sollecito di pensioni, indennità, ecc. Consentite però che questa somma di ragioni che inducono all'iscrizione all'Associazione Nazionale dei Combattenti non abbia nulla di specificatamente politico: siamo davanti ad una rispettabilissima Associazione di mutuo soccorso, e nulla più. II.Prima della "marcia su Roma", l'Associazione non aveva nessun carattere politico, né, tanto meno, funzioni politiche: tutt'al più, raffigurava il generico patriottismo borghese, a tinta lievemente nazionalista. Il fascismo, rappresentante della mentalità piccolo-borghese esasperata e mescolata a fumose ideologie proletarie e alla cattiva letteratura dannunziana, era in certo qual modo l'avanguardia spirituale del combattentismo, da questo seguita con simpatia. La fantastica scalata al potere, conquistato senza colpo ferire, scatenò una gigantesca lotta di appetiti e di ambizioni. Chiunque era portato verso il partito dominante mirava ad assicurarsi, in cambio dell'adesione, dei privilegi. Ottenibili (o nell'attesa di averli) diveniva a sua volta preda del regime. Fu questa la sorte anche dell'Associazione Nazionale Combattenti, Mutilati, ecc. Degli uomini che di essa si valsero o che essa espresse dal suo seno, non uno si è dimostrato in qualche modo eminente. Ferreo il riguardo dovuto alla loro condotta bellica, furono dei politici da operetta. Le mutilazioni di Carlo Delcroix non aboliscono la pretenziosa e vuota retorica delle sue pagine e delle sue orazioni; la medaglia d'oro di Ponzio di San Sebastiano non copre il suo ridicolo sentimentalismo, il suo stile sfibrato o troppo teso, il suo pensiero contraddittorio, fiacco, stralunato. Noi che vedemmo, testimoni involontari, Aldo Rossini prepararsi la base elettorale a furia di concioni ai reduci e di patrocinii locali, con l'ausilio del fiumano professor Mario Morengo, e la sopportazione degli ascoltatori di un flusso di vacue e reboanti parole; o che leggemmo, con edificato stupore, quanto l'ultimo giornale di Benito Mussolini stampò circa l'attività postbellica dell'on. Ettore Viola, non ci meravigliammo troppo di ritrovarli momentaneamente assieme a Cesare Forni, Massimo Rocca, Sem Benelli e Peppino Garibaldi. Ossia in compagnia di un ras sfortunato, di un anarchico conservatore, di un poeta autore dell'Arzigogolo e della Santa Primavera e di un garibaldino franco-italiano. Bisognava aver perduta qualunque nozione di sana psicologia per fondare su costoro un'azione politica in grande stile. Una volta che dei bravi-ragazzi come Ponzio di San Sebastiano, superate le incertezze delle giovanili illusioni estremiste per la poesia del proletariato e la legislazione del bolscevismo, si erano lasciati sedurre dalla diffusa infatuazione pel fascismo che dilagò dopo il novembre 1922, non rimaneva loro che aggiogarsi al carro del trionfatore, e trascinare nel corteo vittorioso anche l'Associazione Nazionale dei Combattenti. Ciò apriva la via a una carriera politica insperata e miracolosa: l'inclusione nel listone realizzava i più folli sogni dell'ambizione dell'adolescenza, cariche ed onori li innalzavano su di un piedistallo, almeno in apparenza, sacro. Senonché, il fascismo, novello Mefistofele, chiedeva l'anima ai suoi imprudenti adepti, domandava loro - e, dal suo punto di vista, non ingiustificatamente - fedeltà, sottomissione, disciplina. Chi aveva accettato il gran patto rimaneva legato per sempre al regime: Mussolini "dito di Dio", Farinacci, Devecchi, bisognava ingoiar tutto, e ringraziare per l'onore. Imboscati, affaristi, individui tarati e compromessi in mille modi erano stati riverniciati dal fascismo: il distintivo all'occhiello doveva bastare per garantire la verginità e l'intangibilità dei tesserati. Che avvenne? L'Associazione Nazionale Combattenti diventò un organismo governativo, e la soggezione governativa, che una volta si esercitava con discrezione, fu palese, a tutti: si pretesero plausi, ordini del giorno, manifestazioni di solidarietà fascista. E, le elezioni aiutando, si andò avanti così fino al delitto Matteotti, che costrinse i più ottimisti ed i più ignari per partito preso, a guardare la crudele realtà. Naturalmente, gli onesti, messi con le spalle al muro, abbacinati dalla vista della scandalosa cancrena che l'assassinio del deputato unitario rivelava, reagirono, sentirono il bisogno di separare la responsabilità dai "Combattenti" dai fasti del regime; compresero che, ostinandosi nella cieca fiducia e nella servile e supina sottomissione, la loro dignità era irreparabilmente perduta. Ma le interviste deploratrici, le proteste, suscitarono la logica indignazione dei fascisti, della cui legittimità ogni imparziale osservatore deve far fede. O non avevano i fascisti dato agli uomini della "Combattenti" il più largo ed entusiastico appoggio? Non avevano regalato loro, oltre alle cariche ben retribuite, dei seggi al Parlamento, dei giornali, e persino un'intera ideologia? Perché dunque i "Combattenti" tradivano, passando all'Opposizione, o si concedevano i piaceri della fronda? Troppo comodo proclamare ai quattro venti, dopo il 10 giugno, il disgusto per un regime a cui si doveva ogni cosa! Tre correnti si disegnarono fra i cosidetti "Combattenti": quella di coloro che, con perfetta coerenza, rimanevano fedeli al fascismo per la vita e per la morte; una seconda che, pur non separandosene del tutto mirava ad una semiautonomia autovalorizzatrice; e infine quella che, in rivolta aperta, si incanalò nell'"Italia Libera". La più cospicua fu la intermedia, la quale presentava enormi vantaggi di sfruttamento delle più diverse situazioni, grazie alla ambiguità delle rivendicazioni chieste in nome del Paese al Partito dominante. Mercé il suo programma estremamente generico e colorato di patriottismo umanitario, essa era certa di riunire attorno a sé la maggioranza dei simpatizzanti del combattentismo, e persino - conquista gloriosa - si vide affiancata da una "Lega italica", capeggiata dal "poeta adriatico" bis (si dimenticò, per fargli piacere, che il primo era l'autore della "Nave"), ossia da Sem Benelli. La tendenza "centrista", Delcroix-Ponzio-Viola trionfò ad Assisi ed a Livorno, due tappe uguali di un'identica illusione. Sormontò lo scoglio del 4 novembre, sputacchiati, vilipesi, bastonati, i cosidetti "combattenti" evangelicamente ammonirono il Governo, porgendo l'altra guancia. E infine, il 22 novembre, venuto il momento della responsabilità decisiva, in parte si astennero (pel meschino calcolo di evitare una scissione) e in parte "nutrirono fiducia", accodati a Salandra, e confondendosi con i conservatori-fascistizzati. III.Della reazione morale conseguente al delitto Matteotti e della suddivisione avvenuta tra i "Combattenti" la stampa dell'Opposizione costituzionale cercò di trarre partito. E si assistette al fenomeno del "gonfiamento" dei "combattenti" chiamati ad incarnare la tradizione del Risorgimento, sostenuti nelle elezioni amministrative, favoriti nella riproduzione dei più insignificanti ordini del giorno. Notevole però il fatto che, mentre l'avanguardia di essi, cioè l'"Italia Libera", veniva guardata con qualche diffidenza e trattata con cautela dai giornali borghesi, le simpatie andavano tutte verso i "centristi", e il direttore di questa rivista se ne accorse quando osò toccar Delcroix (che i suoi antichi sostenitori ad oltranza si sono affrettati il 23 novembre a buttarsi dietro le spalle, in fascio con il poeta Benelli, autore delle famose "regole"). Il tentativo dei politici dell'Opposizione costituzionale era (lo abbiamo dimostrato) pisicologicamente erroneo, perché coloro che avrebbero dovuto dirigerlo mancavano nel modo più clamoroso di serie qualità di pensiero e di capacità ad effettuarlo. Chi conosceva i presunti "capitani" della riscossa si ribellò alla loro valorizzazione, e vide giusto. Costruito il mito dei "Combattenti" con enorme fatica, la macchina destinata a travolgere il fascismo si mise in moto con lentezza infinita, tra le ingiurie, le beffe, le minaccie dei veri fascisti, le riserve ed i consigli dei filofascisti, e la velata od espressa irrisione dei sovversivi. Le più sbardellate elucubrazioni ebbero un posto d'onore nelle pagine dei grandi giornali, e non vi fu vice segretario di una sotto-sezione di provincia che non avesse l'onore dell'intervista. Dietro alla tardigrada catapulta non v'erano che delle ambizioni e della bolsa retorica: neppure i pubblicisti più insigni riuscirono a far prender sul serio certe manifestazioni. Là dove non esiste una mente creatrice di politica o una passione di folla, nulla si forma; e gli applausi ai combattenti significavano "antifascismo" e non approvazione del "combattentismo". Se qualcosa di reale fosse esistito, gli incidenti del 4 novembre avrebbero dovuto segnare l'inizio di un'azione decisiva e in grande stile contro il governo di Benito Mussolini. Invece, non se ne fece niente, e, dopo i soliti appelli alla pacificazione tutto tornò come prima. L'occasione perduta poteva esser ripresa il 22 novembre: e il voto fu quello che abbiamo detto. Tutto ciò è perfettamente logico, e non saremo noi a manifestare le nostre meraviglie per la scacco subito, prevedibilissimo. L'Associazione Nazionale Combattenti, organismo di mutuo soccorso, sarà sempre un'istituzione governativa: potrà bisticciare con Palazzo Chigi, ma non fare il broncio per troppo tempo. Poiché domani un ministero Giolitti, Orlando, Salandra, Turati, impersonerà sempre la nazione (se non proprio la patria), l'Associazione sarà volta a volta giolittiana, orlandiana, turatiana; e sia lungi da noi il pensiero di muovergliene un appunto. Noi insorgiamo contro coloro che hanno inteso di fare di un milione di ex-combattenti (su cinque milioni di ex-combattenti) l'arbitro della situazione, conferendo a poche persone abilità che esse non possedevano, e a un quinto di reduci tesserati l'investitura suprema. In ogni modo, la liquidazione del mito dei cosidetti "Combattenti" è avvenuta, la sua importanza politica è alfine distrutta. L'equivoco è dissipato, e ne siamo profondamente lieti. Immaginate voi un Parlamento e un Governo di ex-combattenti? Protezionismo (naturale a tutte le grandi masse), esibizionismo retorico, incompetenza... "Chi ci libererà dai liberatori?". E vivere sempre sul ricordo e sui residui della guerra, veder risorgere le accuse di neutralismo, i titoli dell'interventismo! Pensare che il gioco ironico delle cose poteva darci una combinazione Delcroix-Giolitti, o Soleri-Rossini! Dopo il 22 novembre, il terreno è sgombro. Ognuno al suo posto, con le sue responsabilità precise. Per l'Opposizione la scaramuccia perduta sia di auspicio alla vittoria. ALFA.
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