LA VITA INTERNAZIONALE

Sovversismo jugoslavo

    Nella vita iugoslava l'esperimento di governo di Ljuba Davidovic significò politica di conciliazione non solo dei partiti, ma delle stirpi, ancora contrastanti; reazione ai sistemi dittatoriali di Pasic e di Pribicevic, tentativo di utilizzare, oltre i radicali, anche le forze di Radic che si cercava di condurre alla diretta collaborazione ministeriale.

    Il ministero Davidovic aveva per questa linea di condotta il consenso: perciò fu ragione di stupore l'annuncio delle dimissioni.

    Si ritenne da prima che esse non avessero che una squisita ragione formale per permettere un passo ancora più decisivo verso la politica di accordo dei partiti e delle stirpi, entro l'ambito parlamentare.

    Al così detto blocco ristretto sul quale il ministero s'impennava avrebbe dovuto succedere, quale risultato appunto dell'attività spiegata da Davidovic al potere, il blocco allargato. Nella coalizione ministeriale, oltre i democratici di Davidovic, i popolari sloveni di Korosec e i mussulmani bosniaci di Spaho sarebbero entrati dei radiciani e forse anche dei radicali. Erano difatti palesi gli umori della frazione radicale che condivide i criteri di tattica politica di Ljuba Jovanovic, l'autorevole presidente della Camera. Consentiva con Ljuba Jovanovic, nella politica di accordo delle tre stirpi quasi l'intero gruppo radicale.

    Non era dunque neppure concepibile il pensiero che la crisi ministeriale fosse dovuta ad un movente che non fosse l'allargamento della piattaforma a sostegno del ministero.





    Invece il ministero Davidovic fu vittima di un intrigo dello sciovinismo serbo centralista appoggiato ai circoli militari. Si trattava di sottrarre al giudizio quattro ex ministri radicali accusati di corruzioni nell'esercizio di pubbliche funzioni: si ebbero così le dimissioni del generale Hadzic, ministro della guerra. E le dimissioni furono motivate col pretesto dell'atteggiamento troppo benevolo del ministero verso il leader di contadini croati, Stefano Radic. Evidentemente si cercava di trascinare la Corona con una questione delicatissima di nazionalità.

    Tuttavia, a crisi aperta, una soluzione Pasic-Pribicevic non sembrava adatta a dissipare tutte le preoccupazioni. Anzitutto il gabinetto non avrebbe potuto, in nessun modo, contare su una qualunque maggioranza parlamentare ed avrebbe necessariamente dovuto ricevere anche il mandato di sciogliere la Camera e di indire le nuove elezioni. Un ritorno a Pasic ed a Pribicevic, costituiva oltre che il trionfo per l'intrigo occulto, la valorizzazione della politica del pugno di ferro e del prepotere d'un'esigua minoranza sulla volontà della stragrande maggioranza dei cittadini. Ed inerenti ad un tale ritorno erano pure la minaccia del turbamento della pace interna nello Stato e quella più grave d'una prossima lotta elettorale, contraddistinta da violenze e da metodi di illegalità e di arbitrio.

    Si ebbe l'impressione che la stessa Corona si fosse impegnata a deprecare il ritorno al potere di Nikola Pasic e di Svetozar Pribicevic. La crisi ministeriale, adunque, dopo una breve esitazione, si rimise sul giusto binario e si ebbero il tentativo di Ljuba Jovanovic ed il formale incarico al davidoviciano Kosta Timoljevic. Con l'uno o con l'altro dei due al potere la politica di conciliazione avrebbe avuto un ulteriore sviluppo e si sarebbe meglio e più decisamente consolidata.





    Invece l'intrigo cominciava ad agire. Anzitutto era impedita la soluzione più logica della crisi: il reincarico a Davidovic per tentare la composizione d'un gabinetto di più larga concentrazione. Inoltre c'era tutto un intenso lavorio per esagerare un pericolo Radic per lo Stato; e gli orditori dell'intrigo avevano il buon gioco di poter indurre il tribuno croato ad enunciazioni avventate, minacce in fondo, ma che comunque si prestavano alle più catastrofiche interpretazioni; ed infine c'erano le manovre dei pasiciani in seno al partito radicale e le insistenze di cricche occulte intorno alla Corona. Kosta Timotjevic rinunciò al mandato conferitogli appena si convinse di non poter fare assegnamento su una sicura riuscita dei suoi sforzi. Ma invano egli suggerì a Re Alessandro il richiamo di Davidovic, che quasi per un gesto d'improvvisazione si riaffaccia ora alla ribalta della scena politica jugoslava il gabinetto di minoranza Pasic-Pribicevic e contemporaneamente si annuncia l'imminente (e per nulla giustificato) scioglimento della Camera. Si paventano giustamente le nuove elezioni a base di arbitrii e di violenze, manipolate da organi devoti agli oligarcici al potere e degli squadristi dell'"Oriuna". Di fronte a queste possibilità c'è un monito di Stefano Radic, per i poteri responsabili della Jugoslavia. "Se le elezioni (ha detto Radic) avverranno in regime di libertà noi saremo i vincitori; se invece saranno fatte con la violenza noi soccomberemo, ma ci sarà indubbiamente la rivoluzione".

    Dicono che il leader dei contadini croati sia molto più temuto per una certa caratteristica profetica dello spirito, che per la sua attività politica nel presente. E tanto più si giustifica l'apprensione, quando, come è avvenuto ora nella Jugoslavia, si è dimostrato di non saper cogliere i frutti di un'autorevole e saggia politica di conciliazione e si è permesso che il sovversivismo dei poteri costituiti prevalesse e trionfasse con la violenza.

VICENCENZO MARISSI




Lloyd Gorge "numero due"

    Ci associamo senza rimorso alle proteste dei "duri a morire" per l'assunzione nel ministero Baldwin del leader indipendente (leggi: né carne né pesce) Winston Churchill. Baldwin poteva benissimo farne a meno: si tratta di dieci voti alla Camera, e lui ne ha quattrocento: si tratta di un giornale, e lui ne ha qualche dozzina sotto le ascelle. Per contro, tutti i vecchi organi del coalizionismo si son rallegrati in sordina dell'assunzione di Churchill al Cancellierato dello Scacchiere.

    Il right honourable signor Winston Churchill, cagione dello scandalo, è un parlamentare consumato. Questo è il suo decimo portafoglio (sottoportafogli compresi): da quindici anni e più, quasi tutti i ministeri, tolti i due o tre massimi, hanno ospitato il suo duttile senno e la sua agile persona: non è stato mai assente dal governo per più di un biennio. Il manovriero Lloyd George lo ebbe per suo braccio destro. I conservatori unionisti lo misero al bando, quando cadde il gallese: e Churchill fu costretto a fare, di fronte ad analoga freddezza dei liberali, la sua solitaria secessione di "indipendente". Ora i conservatori lo ripigliano, bon gré mal gré, sotto pretesto di alcuni meriti apparenti (la lotta elettorale contro i laburisti, per esempio) e di altri appariscenti (abilità tattica, capacità oratoria, esperienza ministeriale). La realtà è che Baldwin vuol fare il conservatore moderato, perché vede su questa strada la linea della minor resistenza: e Churchill gli serve per tenersi buoni i liberali, o meglio ancora i loro elettori. Churchill è più libero scambista che protezionista; Churchill non è un ostinato in posizioni rigide; Churchill è un manipolatore di primo ordine. Sarà tuttavia il caso di constatare come le presenti fortune di Churchill sian certo indizio che i conservatori inglesi sentono una volta ancora la caducità del loro dominio, e buttano così avanti la tavola di salvezza di un ministro capace di forgiare compromessi.





    In questo caso Winston Churchill si prepara ad essere un secondo Lloyd George (del quale ha tutte le qualità sostanziali e, se minore ingegno, maggiore probità) per il giorno in cui i conservatori non potranno più sedere tranquilli sul loro seggio di classica ortodossia e verranno a considerare l'utilità pratica di una nuova coalizione, o di un cambiamento di rotta. Speriamo che i "duri a morire" l'abbiano a vincere anche in questo futuro caso, e sia vinta definitivamente così la macdonaliana battaglia per la chiarificazione. Speriamo che, intanto, Stanley Baldwin abbia la forza di tenere a posto Churchill, mentre se ne serve a sua posta.

S. C.