Il Paese è stanco

    "Il Paese è stanco". Anche ora la solita voce, la solita invocazione alla pace, al disarmo degli spiriti presi nella lotta politica. Anche oggi, all'inizio di una battaglia di riscossa e di riconquista e quindi proprio nel momento delicato di concentrazione e di rinascita di tutte le energie e volontà, da parti diverse sorge il monito che vorrebbe essere saggio, che vorrebbe risonare come solenne avvertimento alle masse che si preparano a scender nella mischia, che cerca di avviare tutti sulla strada media e bassa della rinuncia e dell'umiliazione. Non è un pericolo effimero la serie di conseguenze che vengono dal radicarsi tenace di uno stato d'animo di viltà e di grigiore uniforme prodotto dalla falsa convinzione che si annuncia con questa voce generica. Dar credito ad essa significa ancora una volta la fuga di fronte alla difficoltà e all'imponenza delle risoluzioni virili, delle lotte aspre e poco illuminate da pronti successi. Riconoscere verità a questa misera valutazione, a questa vergognosa confessione di impotenza e di pigrizia morbida, sarebbe oggi tradire forse in modo irreparabile la causa del nostro futuro politico.

    Il paese è stanco. Veramente questa voce non è tanto una valutazione politica quanto la constatazione di uno stato d'animo personale; quasi la confessione e l'esibizione di una crisi spirituale di scetticismo e di abbandono morale, non sappiamo quanto seria e consistente.





    È la paura dolorosamente umana, che prende quasi con forma fisica l'individuo non troppo sicuro di sé quando consideri le fracassose e volgari vicende della piazza italiana. La voce di questa paura stenta ad uscire da sola, ma appena sente vicine vibrazioni simili, si ripete, si conferma, si costruisce una logica, si definisce, acquista infine il coraggio del numero apparente ed allora eccola al sole, trepida bandiera bianca al tentativo di indurre gli altri a riconoscerla come l'unica vera realtà attuale, a voler confondere nell'unico brivido che toglie la forza e fa abbassare lo sguardo tutti gli spiriti vigili e consapevoli. Così si dovrebbero preparare le condizioni per la pace, per la normalità della vita politica. Voi Governo e partito dominante, voi opposizioni tenaci e accanite nel perpetuare sotto mille forme, e in mille circostanze il vostro aspro dissidio, vi allontanate dall'anima vera del Paese, della gran massa, vi alienate lo spirito genuino degli italiani. I quali oggi amano la quiete, amano il silenzio, amano i passi cauti e modesti, i toni sommessi, il respiro calmo e prudente, si sentono estranei alle pretese tragedie costituzionali e imperiali, non vogliono intendere di sommovimenti e di audaci restaurazioni, infine, essi, tutti gli italiani che lavorano, che producono, sono nauseati di questo vostro continuo pandemonio sterile, di questo inutile palleggio di fatti e di parole. Stanchi, stanchi e sfiduciati di ogni parte, di ogni forza, di loro stessi forse. Amano la quiete, la pace, il sonno senza brusche interruzioni. Questa voce di stanchezza che vorrebbe essere la voce del Paese viene fuori ogni tanto nella vita italiana, specialmente quando, dopo una serie di avvenimenti notevoli, sembra vicino un fatto grave, imminente qualche oscuro, indeterminato pericolo, necessaria una decisione virile. Si forma su tutta la nazione come un incubo pauroso e allora ecco i disinteressati, ecco gli imparziali, gli spiriti sereni e pensosi del bene comune della patria ad innalzare la voce lamentosa. "Il Paese è stanco" si disse nel maggio del 1920 per stroncare gli effetti della proporzionale. "Il Paese è stanco" si proclamò solennemente un anno dopo quando si firmava il patto di tregua tra fascisti e socialisti. Il sangue della guerra civile pareva che dovesse sommergere tutto ed il grido salvatore ebbe il suo trionfo passeggero. Una delle parti sottoscriveva la pace con la menzogna.





    "Il Paese è stanco" si andava giurando da tutte le parti nell'estate del 1922, dopo lo sciopero legalitario e la crisi Facta rientrata. Così stanco che il 28 ottobre nel nostro beato paese all'ombra della Madonnina si inaugurava il modernissimo sistema della carrozza a letti per fare la rivoluzione.

    Oggi di nuovo si lavora per l'umanità in omaggio alla stanchezza.

    Un paese stanco e nauseato della sua vita politica è un paese che ha perduto ogni fede, che tralascia ogni ultimo avanzo di energie spirituali, che si abbandona inerte alla sopraffazione altrui, alla brutalità cieca, confessa che le sue divisioni di partito non sono altro che miseri aggregati di uomini ambiziosi, che nessuna idea può scaturire dal suo spirito infecondo, che oramai nulla può avere il diritto al consenso delle maggioranze, al rispetto degli avversari. Un Paese così fatto precipita nella china spaventevole del compromesso, della corruzione clandestina della infamia perenne, rinuncia ad ogni bellezza di battaglia e ad ogni fervore di apostolato per adagiarsi nell'alveo ristretto e facile del servilismo e della bassezza, allontana da sé i problemi che senza tregua lo svolgimento dalla vita umana propone ai popoli, chiude gli occhi in faccia all'avvenire per afferrare tremante i sostegni ingannevoli della pace apparente.

    Il fascismo è il regime che nasce da queste rinunce, è il regime perfetto dei popoli stanchi.

MARIO LIRONCURTI.