Degli ultimi casi di... Romagna

PARLAR LIBERAMENTE

    ...Concediamo pure vi sia pericolo a urlar liberamente, pubblicamente e moderatamente degli affari nostri in casa nostra. Diró allora che questo pericolo si deve incontrare dall'uomo virtuoso e di onore, pel proprio paese, come incontrerebbe quello della mitraglia quando la necessità o l'utile della patria lo domandasse. Dirò che il pericolo che s'incontra per la giustizia non deve trattenere dall'adempierla. Dirò che il coraggio civile non è inferiore al valor militare, a quello delle congiure e delle sommosse, ed è talora più opportuno, più applicabile a tutte le circostanze, meno incolpabile dalla malevoglienza... Dirò finalmente che, se una nazione non si cura della sua indipendenza, non deve muovere né rivoluzioni né lamenti: se se ne cura, la desidera e la cerca, deve saperla meritare... E si merita col dimostrare che quella prepotente forza che ha saputo materialmente sottomettere la nazione, non ne ha sottomessa la volontà, che in ciò soltanto consisterebbe la vera degradazione.

    Si merita col mostrar virilmente utilmente e tenacemente questa volontà, sempre e in tutti i modi possibili.

    Si merita col pertinace studio d'oggi individuo per dotar lo stesso della maggior forza morale possibile.

    Si merita, finalmente, colla virtù degli opportuni, de' lunghi, de' grandi sacrifizi.

    E noi italiani possiamo forse alzar la fronte, metterci la mano sul petto, e dire a Dio ed agli uomini: C'e la siamo meritata?

SI DOMANDA UN PO' PIU' D'ASSOLUTISMO

    Io ho accusato d'ingiustizia il governo papale. Suppongo che egli interrogato, dica: - Che cosa dunque debbo fare? - Io gli darò una risposta alla quale forse né esso né il lettore s'aspetta: gli domanderò cosa che non parrà indiscreta, gli chiederò per i suoi sudditi la grazia d'essere un po' più assoluto, un po' più dispotico di quello che è: anzi d'esser governo veramente assoluto e dispotico, ch'egli crede essere e non è.





    Vi sono... due vie d'esercitare approssimativamente, dirò così, il principato assoluto. Una illusoria pel principe stesso; l'altra reale, per quanto lo può essere nelle condizioni della nostra natura.

    La prima consiste nel far fare ad altri quello che non si può far da sé: cioè nell'investire altri d'una porzione della propria autorità onde l'eserciti a sua discrezione. Ma questo è modo, non d'esercitare il principato assoluto, bensì di spogliarsene. Questo è modo usato in terra di Turchi, ed anche colà vien meno a misura che vi cresce e s'estende la civiltà; ma non vien meno però tra i Cristiani, e più particolarmente... nello Stato papale.

    Questo è modo più d'ogni altro rovinoso per sudditi e pieno di pericoli pel principe, il quale non comanda, come abbiamo osservato, e non ha perciò i benefici dell'impero, ma ne ha invece tutti gli odi e le responsabilità; ed ove gli uomini investiti da lui del potere abusino, incontra necessariamente o taccia di crudele, se non li corregge, o di stolto e poco avveduto, se correggendoli confessa implicitamente di non aver saputo scegliere e conoscere i suoi ministri. Perciò o disprezzo od odio non lo può fuggire.

    Dunque un cotal modo d'esercitare il principato assoluto è pericoloso pel principe, ed inoltre illusorio, ed il principe che lo segue crede essere assoluto e non è: e la sua autorità è meno ubbidita di quella del sovrano dello Stato più democraticamente rappresentativo del mondo.

    Resta un altro modo, il migliore, il solo praticabile, il solo non illusorio. Questo modo è semplicissimo, e consiste in ciò: che il principe, di suo proprio moto e autorità, e per ispirazion divina se vogliamo, che non cerco briga sulle parole, decida una volta quali siano i suoi voleri, li traduca in altrettante leggi, le promulghi, e dica ai suoi sudditi: dal maggiore all'infimo tutti le dovete egualmente ubbidire.

    Domando ai romagnoli se non preferirebbero ubbidire a leggi buone o cattive, ma stabili, senza eccezione di persone, uguali per tutti, piuttosto che all'arbitrio de' loro monsignori, legati, vice-legati, delegati, o che so io? Domando se non vorrebbero (essendo pur sudditi del papa) ubbidire almeno al papa, e fosse il suo principato più assoluto che non è, anzi veramente e realmente assoluto.





PROTEZIONISMO CARO
VITA CARO GOVERNO

    Il sistema proibitivo inceppa l'esportazione e l'importazione con gabelle esagerate, cui l'ignoranza da nome di protettrici: con stolte proibizioni, colle quali, invece di favorire l'industria nazionale, si favorisce non l'industria ma il monopolio di pochi, si limita il lavoro e la produzione, si provoca il contrabbando, fonte di corruzione e d'immoralità.

    L'effetto di questo sistema è di far pagare ai sudditi tutti i generi che consumano, più cari del loro prezzo reale, a danno loro e dello stesso erario ed a profitto d'alcuni pochi: in una parola di impoverir tutti per arricchire qualcuno.

    Parlando in generale, più le derrate sono cattive a questo mondo, più si hanno a buon mercato. Ma non così è dei governi. Più non cattivi e più costano.

    E lo sanno i sudditi... pontificii, ai quali tocca pagare non solo quel prezzo, sia pur elevato quanto vogliamo, che deve pagar ogni popolo per esser governato, ma son costretti a saldar alla cieca i conti di un improvvido sistema che li rovina, son costretti a mantenere un'armata d'impiegati inutili (fossero soltanto inutili!), di doganieri, finanzieri ecc. Son costretti a pagar grassamente alti ministri, spesso forestieri, che occupano cariche, alle quali non possono aggiungere i comuni cittadini se non entrando... negli ordini sacri, abbiano o no vocazione a questo augusto ministero. E le cariche poi alle quali possono esser nominati anche i laici, come governatori, giudici, presidenti di tribunali ecc. sono invece troppo mal retribuite, onde possan le persone civili ricavarne un onesto sostentamento alle loro famiglie.

    Ma di tutte le spese del governo la più dolorosa ai popoli è quella de' mercenari svizzeri. Non parlo della guardia svizzera dei palazzi pontifici, troppo poco numerosa per esser di peso allo Stato, ma parlo dei reggimenti svizzeri che offrono lo spettacolo doloroso, e strano veramente ai nostri tempi, delle antiche compagnie di ventura.





    Io che conosco il piccolo esercito pontificio, al quale per essere ottima truppa non manca se non un comando ed una direzione veramente militare; io che conosco in esso uomini pieni di onore, di generosa e ardita natura, ed eccellenti ufficiali, e li vedo in fila con codesti svizzeri preferiti a loro e meglio trattati di loro; io nato (mi perdoni il lettore se alla cosa pubblica ardisco frammischiare parola d'affetti privati) di tal padre che, in un esercito ed in tempi ove l'ardire e l'onor militare non eran cose rare, n'era tenuto modello; io memore de' suoi insegnamenti e de' suoi onorati esempi, memore della viril fortezza d'una madre che godeva e si vantava d' aver tre figliuoli nell' esercito, ove tant'altre n'avrebbero pianto e tremato; io educato a tale scuola, mi sento ribollire il sangue al pensiero dell'onta che son costretti di sopportare quei soldati italiani! Io fremo del giusto sdegno di quei soldati italiani, io mi rodo dell'onta loro.

    Non sa il governo papale qual tesoro d'odio (e Dio voglia non sia di vendetta) gli s'aduni contro tra i popoli e nell'esercito per quella sua maledizione dell'armi mercenarie e straniere, che sarebber assalite e certo disperse da' Romagnoli, se non sapessero ch'esse sono l'antiguardo dell'Austria, e che scompariranno il giorno ch'essa sia tolta dal guardar loro le spalle; perciò inutili ora ed allora; inutili in un caso come nell'altro.

    Ma che dico inutili? Esiziali ai popoli come al governo, al quale sono non lieve occasione di rovina economica, di predilezioni e d'ingiustizie a danno delle truppe nazionali.

    Sono incredibili le spese che costano codeste genti, la loro insaziabilità, il loro continuo chiedere al governo, e più incredibile la dappocaggine di questo nell'accondiscendere alla loro ingordigia.

LA COSA PIU' TURPE

    Ma un altro più nefando ordine è in Romagna, un'altra tenebrosa e scellerata potenza, invisibile a tutti gli occhi, che tutti i cittadini in ogni luogo, in ogni momento della vita, si sentono al fianco vigilante ed apparecchiata a loro danno.

    Il lettore a questa parola ha già pronunciato la parola polizia, ma il lettore s'inganna. Io parlo di cosa più turpe, di una nefandità più nuova, più rara, anzi sconosciuta affatto a tutte le nazioni civili; parola di cosa della quale non oso, non voglio accusar il governo, e che pure, non si può negarlo, egli conosce, sa che esiste, e non ne lava l'infamia nei luoghi ove gli è concessa ogni podestà.





    E' in Romagna una generazione d'uomini vile oscura, di rotta e scellerata vita, resa all'ozio, al bagordo, alle risse da taverne, che si grida devota al papa, al suo governo, alla fede, alla religione, e con questo vanto si tiene sciolta d'ogni freno, di ogni legge, stima lecita ogni violenza (forse la stima meritoria), purché sia contro uomini che professino altre opinioni dalle sue; lo che, come ognun vede, è lo stesso che dire contro chiunque le sia odioso o nemico.

    Questa mala razza, profittando del continuo terrore che è ne' governanti, si combina in conventicole oscure, e vi prepara supposte congiure, delazioni e peggio, vendette ed assassinii.

    In Francia all'epoca del Terrore furono uomini simili a costoro i Marsigliesi, e furon la vergogna di quell'ordine di cose, la macchia della bandiera tricolore, l'onta della causa della libertà; ma eran tempi di transizione tra estremi opposti, tempi di ebbrezza, di scatenamento universale; eppure chi oserebbe scusare le ingiustizie le violenze d'allora?

    Ma nella nostra età, oggi, ora mentre scrivo, pensare che tutto ciò accade e può accadere, non in paese sciolto d'ogni freno ed in piena rivoluzione, ma in paese retto in nome di Colui, del quale sta scritto che amò gli uomini sino a dar la vita per loro; pensare che ciò non sia favola, sogno esagerazione di parti, ma cosa, per disgrazia dell'umanità e della religione, vera purtroppo e reale, è tal idea, che la mente umana non la sostiene, è idea che ti farebbe dubitare della luce del sole, e ti mette in cuore vera desolazione.

GIUSTIZIA RIVOLUZIONARIA

    Usciamo da queste abominazioni: ma purtroppo, mi tocca ad entrare in cose non meno turpi, comunque non di così sozza lordura.

    Parlo de' giudizi, dell'inquisizione politica affidata a Commissioni straordinarie, non vincolate da nessun ordine legale di procedura, e con illimitata autorità nelle condanne.

    Le turpitudini e gli assassinamenti di cotali commissioni si rassomigliano e sono pari in tutti i tempi e in tutti i luoghi dove vengono adoperate; perché le medesime cause producono per tutto e sempre i medesimi effetti, e perciò oramai di comune consenso delle persone oneste sono venute istrumento soltanto di violenza e di vendetta.





    L'esperienza ha mostrato che i ribaldi i quali accettano di sedervi, o sappiano la mente di chi li ha posti a quell'ufficio o l'indovinino, cercano e voglion colpevoli e non innocenti; sanno che ad ogni condanna salgono in grado presso il governo, mentre l'assolvere gli farebbe calare; sanno che i più saldi gradini della scala dei premi, degli onori, sono per loro i corpi delle vittime, innocenti o colpevoli poco importa.

    Combattere ed infamare cotali scelleratezze sarebbe per avventura cosa vana e superflua in ogni paese civile, ma non lo è purtroppo in Italia, e giova, ad estirpazione totale di cotal peste (onde se ne vergognino se non altro, quelli che se ne vorrebbero valere), entrar nel doloroso racconto de' fatti di codeste commissioni, e a questo effetto narrare i casi di Romagna sin dal '49.

IL GIUDICE OCCHIUTO

    Un nobile e generoso atto venne a consolare l'universale nel lutto di queste dolorose vicende, se tanta lode è dovuta all'adempimento d'uno stretto dovere.

    E' costume delle Commissioni affidar sempre le difese de' rei a persona di loro fiducia, ed in quest'ultimi casi ne fu dato il carico ad Ulisse Pantoli, avvocato di Forlì, di nota fede al governo, che si stimava avrebbe prestato mano alle intenzioni del tribunale. Ma nell'animo onesto dell'avvocato poté più l'aperta verità e la giustizia che lo spirito di parte o l'amor del guadagno, e si fece caldo e diligentissimo difensore di quegli sventurati, sino a distruggere del tutto con salde ed evidenti prove l'accusa.

    L'onorata e virtuosa temerità di quest'uomo dabbene generò contr'esso nell'animo del cardinale e de' giudici odio fierissimo, che si fe palese con perquisizioni, sottrazioni violente di carte provanti l'innocenza degli accusati, ed in ultimo gli fu data Ravenna per carcere, finché la sentenza tornasse ratificata da Roma. Liberato alla fine si dice sarà sospeso dall'ufficio che ha in patria di supplente al giusdicente civile, e dall'esercizio della sua professione.





LA DIFFICOLTÁ PIÚ FATALE AI PRINCIPI

    La Romagna e l'intero Stato si mostra tranquillo, e può dirsi di lui quello che fu detto della Polonia: L'ordre règne a Varsavie; ma non prendan lo scambio su questa tranquillità. Non l'otterrà vera né durevole il governo del papa co' nuovi tribunali di Sacra Consulta...: non la otterrà col terrore delle carcerazioni che si moltiplicano tuttora in Rimini e nelle Legazioni...: non l'otterrà col moltiplicare a propria guardia le baionette mercenarie, come si dice intenda ora di fare: ma l'otterrà colla giustizia, colla carità, col perdono, ch'egli predica, e non vuol praticare: l'otterrà coll'osservare una volta la santa legge che insegna, l'otterrà collo scendere agli onesti accordi, che chiede a lui l'opinione dell'universale.

    L'età nostra è acerba ai principi ed aspra di ostacoli e difficoltà gravissime; ma la più fatale per loro sta nel non voler conoscere quella moltitudine che s'agita impaziente alla base dei loro troni; nell'ignorarne i pensieri, i desideri, le necessità, le forze, o forse nel credere di poterle sprezzare.

    Non v'è principato, non autorità al mondo, che possa star su altra base che sull'opinione, sul consenso dell'universale. Unico legame che impedisca l'umana società di dissolversi è l'idea di un diritto ammesso da tutti. I diritti dell'Impero nel medio-evo ed il diritto divino hanno servito di cardini al mondo finché il mondo ebbe fede in loro: ora questa fede è spenta, e nessun potere umano la può oramai ridestare. Alla antica fede in que' diritti n'è succeduta una nuova: la fede nel diritto comune. I primi ad abbracciarla, come tutti i nuovi credenti, son trascorsi ad eccessi combattuti da eccessi contrari: e questa è l'istoria dell'età nostra da circa sessant'anni in qua... L'idea del diritto comune, purgata da' contrari eccessi, è fatta universale oramai; è l'opinione di tutti; e l'opinione, l'abbiam detto, è la vera dominatrice del mondo.

    Non pensino i principi poter venir seco a battaglia ed averne vittoria.





UNA CONGIURA AL CHIARO GIORNO

    E' cosa tenuta innegabile da tutti, che le grandi mutazioni negli Stati, tendano esse ad ottenere l'indipendenza o la libertà, non mai sono succedute né posson succedere per via di passaggio rapido e repentino: e se talvolta le mutazione appare rapida, non è in effetto né si trova tale, quando si considerano le cause che alla lunga l'hanno preparata. Bensì più la preparazione è stata condotta da lungi, con lentezza e prudenza, più sicuramente e repentinamente è poi riuscito il fatto che doveva esserne il compimento e l'ultima conseguenza. Così un grand'albero cade abbattuto dall'ultimo colpo di scure; ma questo colpo, per quanto valido, a che avrebbe servito, se non era preceduto da altri mille?

    L'arte del maturare i disegni e prepararne la riuscita, l'arte di murar la casa, ad un mattone per volta, principiando di dove si deve principiare dai fondamenti, non la conosciamo noi Italiani. Eppure senz'essa non si fa nulla, e l'abbiam provato a nostre spese.

    Il coraggio delle congiure, delle sommosse, il coraggio fisico, per così dire, e manesco, l'abbiamo noi Italiani, come tutti gli uomini d'immaginazione e sangue caldo. Ma ci manca, o l'abbiamo in minor grado, il coraggio morale, il coraggio civile. A questo, a raccomandarlo, a dirlo il più utile, anzi il solo, per ora almeno, veramente utile, il solo necessario tende tutto il mio ragionamento.

    Protestare contro l'ingiustizia, contro tutte le ingiustizie, apertamente, pubblicamente, in tutti i modi, in tutte le occasioni possibili; è, a parer mio, la formola che esprime la maggior necessità della nostra epoca in Italia, il mezzo più utile e di più potente azione quanto al presente.

    Quando in una nazione tutti riconoscon giusta una cosa e la vogliono, la cosa è fatta; ed in Italia il lavoro più importante per la nostra rigenerazione si può far colle mani in tasca.

    Le vie aperte al coraggio civile, i modi del protestare sono infiniti, e non è mio disegno proporli ed esaminarli uno ad uno in questo scritto.

    Soltanto dico che quanto maggiore sarà in Italia il numero di coloro che pubblicamente e saviamente discuteranno le cose nostre, che protesteranno in qualunque modo contro l'ingiustizie che ci vengono usate, tanto più rapidamente e felicemente progrediremo nella via della rigenerazione.

    Questa congiura al chiaro giorno, col proprio nome scritto in fronte ad ognuno, è la sola utile, la sola degna di noi e del favore dell'opinione, ed a questo modo anch'io di gran cuore mi dichiaro congiurato al cospetto di tutti; anch'io a questo modo conforto ogni buon Italiano a congiurare

MASSIMO D'AZEGLIO.