MOLINELLA

    Questo piccolo borgo di povere case sulle quali spiccano i ridenti e spaziosi edifici delle scuole e dei giardini d'infanzia, costruiti consule Massarenti, sorge al centro di un vasto territorio di bonifica confinante col Ferrarese a circa trenta chilometri da Bologna. Vivono nel comune oltre tredicimila persone generalmente dedite all'agricoltura. Lavoratori della terra di varie categorie trovano la loro principale occupazione nella coltivazione del riso e del frumento e nelle opere di bonifica. Il territorio molinellese comprende vasti tenimenti, posseduti dalla vecchia aristocrazia bolognese, spesso affittati. Proprietari e fittavoli in generale non sono agricoltori e vivono lontano dalle terre che l'altrui lavoro feconda. L'inerzia, l'opacità, l'ignavia della proprietà terriera si scossero poi ed ebbero per motrice naturale la massa operaia. Lo spezzettamento della proprietà ebbe non molti esempi e fu eseguito con considerazioni di speculazione. Il padronato molinellese, più che di agricoltori è fatto di agrari. La lotta per la partecipazione ai prodotti del suolo e del lavoro ha raggiunto colà le forme più avanzate della conservazione eppoi della espropriazione parziale.

Terra proletaria

    Il territorio molinellese era or sono pochi lustri reso coltivabile dal dilagare di acque morte. Terra bassa, pigra di stagni e di valli spesso abbandonate. Le strade vi stavano come ponti buttati su un allagamento. Da questo abbandono dal nulla, dalla opaca preistoria agraria la tenace dura e paziente fatica del bracciante la tirò su a poco a poco fino alla coltivazione razionale. La terra proletaria dopo la bonifica, i miglioramenti culturali e l'applicazione di mezzi tecnici modernissimi fu opima di messe e consentì al padronato larghi guadagni. Redimendosi, redense il proletariato.





Servi da gleba

    Non era popolo quello che viveva miseramente nel molinellese quaranta anni fa. Era plebe. I figli di questa umida gleba renana ricca di miasmi, di malaria, erano in condizioni economicamente sciagurate, giuridicamente alla mercé di un padronato altezzoso, implacabilmente egoista.

    Quirico Filopanti ed il garibaldino Venturini, messaggeri del mondo ideale, dissero primi a quella povera gente parole di solidarietà umana scuotendola dal suo torpore, dalla sua ignavia. Poi giunge l'apostolo e suscita nella folla le passioni accendendola in un miraggio di redenzione per attirarla nell'azione e condurla al trionfo: Andrea Costa. La parola dell'agitatore romagnolo sfolgora. Il suo verbo é splendore. La luce è fatta. L'ideale illumina, raggia, solleva, orienta, segna la via. La plebe si scuote, si anima. Una fede e la speranza le danno una forza inusitata. Le volontà si affermano, si moltiplicano, si offrono. Il servo diviene uomo. Questa povera umanità dolorante e tormentata si rivolge alla terra per vivere... Dalla preistoria oscura viene alla ribalta del mondo pane e lavoro gridando, esercito di pace, le armi forti e lucide della fatica brandendo.

    Impone a governanti e a padroni, colpevolmente inerti, l'esecuzione delle opere per liberare dalla malaria omicida e dalle acque putride la terra abbandonata.

    Dalla moltitudine anonima uscì il condottiero: Giuseppe Massarenti. Egli fece il solco e primo gettò il seme nella bufera.





Il condottiero

    In questo farmacista campagnolo vi è il condottiero dalla mano ferma, dall'iniziativa pronta e decisa ed insieme l'educatore ed il padre. La fede sta in lui come fuoco acerrimo. Organizzatore pertinace e indomito cui l'avversità non sgomenta ha durato trent'anni per dare ai pezzenti del suo borgo umane condizioni di vita. E' vissuto e vive immutato immutabile devotissimo alla causa cui si è votato. Idealmente deriva da Camillo Prampolini e da Andrea Costa. Uomo pratico che tende alle realizzazioni anche in ispiccioli, esemplificatore, didascalico, mira sempre a delle conclusioni. Non ha mai avuto tempo da perdere nella lotta di tendenza. Non si irrigidisce in alcuna teoria, in alcun metodo aprioaristicamente. Vi è in lui, nella sua azione l'agilità della gomma. Oratore semplice, alieno da fiori retorici, da ricercatezze stilistiche è irresistibilmente persuasivo. L'aringo oratorio non è fatto per lui. Ama scendere a parlare fra la folla più tosto che dalla bigoncia. Non ha mai aspirato alla celebrità né avuto ambizioni di carriera politica. Ama ardentemente il suo borgo cui la fazione avversa gli vieta la residenza. Ma anche assente egli è onnipresente in ispirito. I fedeli lo guardano con amore, con orgoglio, con fiducia e gli obbediscono. E' il nume immutato, inamovibile, il genio locale. L'autorità di questo signore spirituale che ordina consigliando è illimitata e si alimenta di devozione e di consenso. Oggetto di basse diffamazioni si difese vigorosamente. Lo costrinsero all'esilio e lo portarono in tribunale. I suoi accusatori che avevano tentato colpirlo alla macchia, posti al suo confronto non osarono, si confusero, si squagliarono, gli dissero la loro stima, lo riconobbero per quel che è: un uomo di fede, un galantuomo e un benefattore.





Fioritura di opere civili

    Sotto la sua guida i lavoratori si organizzarono compatti in leghe di resistenza pervenendo a lavoro sicuro e a paghe rimunerative. La mano d'opera fu monopolizzata. Difficile ripartire equamente il lavoro dove sono necessari i turni e dove vi è pletora di braccia senza averne il monopolio.

    Gli agrari contesero a palmo a palmo il terreno alle organizzazioni anche con mezzi extralegali. Sperperarono danaro in crumiri spendendo di più che non con la mano d'opera leghista, abbandonarono raccolti mandandoli dispersi pur di fiaccare la resistenza avversaria; provocarono, sobillarono e montarono vaste campagne diffamatorie. Invano. La lotta si inacerbì, si arroventò, sconfinò nello spietato eccidio di crumiri a Guarda nel 1914. Allora Mussolini fu colà ad esprimere la sua solidarietà ai socialisti. Il duello ebbe la sua sosta. Massarenti ed altri accusati di avere preordinato l'eccidio dovettero rifugiarsi a San Marino e vi rimasero fino all'amnistia del 1919 continuando a dirigere il movimento da lontano.

    Intanto si sviluppava e fioriva, dopo alterne fortune, un vasto movimento cooperativo agricolo e di consumo che fu oggetto della ammirazione di missioni estere. A Molinella, prima esacerbata da tanta asprezza di lotta di parte, passò un soffio di serena forza. La cooperazione aumentò la produzione, assorbì lavoro, modificò l'ambiente. Il potere politico ed economico delle organizzazioni divenne assoluto. Durante la guerra i socialisti organizzarono opere di assistenza alle famiglie dei richiamati che furono lodate. Sorsero asili per i bambini creati dalla gentile e patriottica generosità dei leghisti. I fascisti saccheggiarono poi devastandolo quello di S. Martino e il Commissario Regio municipale fece chiudere quello di Marmotta. Gli agrari andavano demagogicamente promettendo la terra ai contadini auspice il senatore Tanari, padre nobile del forcaiolismo bolognese. Ma ai contadini non diedero che la terra dei cimiteri.





Avvento e dominazione dei saccomanni

    Nell'immediato dopoguerra continuò rassodandosi il dominio socialista. I molinellesi distinsero la loro attività sindacale da quella degli omarelli grottescamente bolscevisti, pazzoidi e insufficienti, imperversanti alla Camera del lavoro di Bologna. Dal 1919 al 1921 gli episodi di violenza e di intimidazione furono rarissimi. L'offensiva fascista-agraria iniziatasi nel '21 si accanì anche contro i molinellesi accomunandoli ai bolscevisti bolognesi con questi confondendoli. Le forze conservatrici sono sempre in agguato e guai se le circostanze offrono loro l'occasione di intervenire: è in un'ora l'annientamento di tutta una serie di audacie, di sforzi, di sacrifici. Così fu a Molinella. Sedi di sindacati e cooperative furono assalite e distrutte dai fascisti. Massarenti e gli altri capi socialisti costretti ad esulare. L'organismo cooperativo liquidato da un Commissario prefettizio. I depositi in danaro delle Cooperative (un milione soltanto alla banca Verni di Cattolica) furono sequestrati. L'automobile della cooperativa rubata dai fascisti. Agrari, bagarini profittarono largamente. Fu la cuccagna dei saccomanni. L'opera civilissima delle organizzazioni socialiste andava dispersa. I contratti di lavoro furori resi nulli. I lavoratori confederali di tutto spogliati resistettero in sedi provvisorie sostituendo i dirigenti a volta a volta che venivano sbanditi o imprigionati. Si volle inquadrarli nei Sindacati fascisti con la propaganda. Fatica vana. Si impose loro di sottomettersi pena la esclusione dal lavoro e il manganello. I più cederono. Molti resistettero. Adesso vi sono ancora 800 confederali che non vogliono saperne di iscriversi alle Corporazioni. A domare questi lavoratori si mandarono un disertore e un imboscato. Estrema irrisione ad una popolazione che non aveva conosciuto imboscati durante la guerra, che diede centinaia di combattenti ed ebbe decine di morti, di mutilati, di decorati al valore. Quattro lavoratori furono barbaramente assassinati. Gli assassini che non sono liberi si sono costruiti per loro degnazione come il Regazzi.





    Ultima arma contro la resistenza dei confederali la guerriglia spietata alle spigolatrici ed alle disoccupate in cerca di lumache nelle siepi. Gli oppressori fascisti hanno discesa la gamma di tutte le vergogne abbassandosi ad insultare, a bastonare ad insudiciare le donne. I confederali imperterriti resistono seguendo la linea di condotta scelta fin dall'inizio delle violenze fasciste: nessuna reazione nessuna violenza. In questi lavoratori è la forza interiore delle religioni, il fuoco incorruttibile, tutta la passione della fede più forte di ogni tristezza e di ogni delusione, la speranza nella vittoria della giustizia e dell'idea.

Come fiaccola inestinguibile

    Perché l'accanirsi dei fascisti a voler l'unanimità dei lavoratori molinellesi nelle Corporazioni?

    Perché anche un gruppo soltanto di dissidenti, mentre rende difficile la funzione dei trust del collocamento, è una continua minaccia di ripresa socialista. Molinella è situata al cuore della Valle Padana: è la chiave di volta di tutto un sistema di dominio e di monopolio di braccia. Il furore fascista dice l'inanità dello sforzo compiuto per sottometterla. Torna nei vinti la poesia della prima aurora delle antiche lotte. Hanno resistito e resistono gloriosamente.

    Molinella idealmente ha già vinto. Quando una massa o un manipolo soltanto resiste contro tutte le forze sacrificando tutto, anche la vita, alla necessità ideale del proprio diritto e non basta la violenza e la fame per sottometterla, ebbene essa è la vincitrice. Rimane come fiaccola inestinguibile a indicare alle moltitudini della Valle Padana la via dell'immancabile resurrezione.

A. P.