PROCESSO AL TRASFORMISMODal giugno 1924 la politica italiana è dominata dalla considerazione dell'assassinio di Giacomo Matteotti. Assassinio politico, delitto del regime, di fronte al quale noi, anti-mussoliniani e anti-fascisti, invocammo sin dal primo giorno, come unica risposta, il processo al regime. Ci fu chiaro sin dal primo giorno che del caso Matteotti bisognava fare il caso Dreyfus degli italiani, la pietra di paragone della nostra dignità di popolo moderno. E nel processo al regime dovevano essere coinvolti come complici quelli che hanno sostenuto o resa possibile con le loro responsabilità passate una situazione di trasformismo, di cortigianeria, di corruzione medioevale, quelli che hanno umiliato con risorse di domatori e raffinatezze di lusingatori la dignità politica appena nascente di un popolo troppo a lungo condannato alla retorica dei mendichi. Le colpe dei reduci sono anche le colpe dei padri. La questione è di sostanza e di principii: noi siamo disposti a salvare le proporzioni e a distinguere gli stili; ma constatiamo che l'atmosfera delle elezioni del 6 aprile si è incominciata a formare quando intervenivano i mazzieri a sollecitare il consenso degli elettori di Puglia e si è incominciato ad uccidere Matteotti quando si tentava di linciare moralmente Croce nel 1915 o Salvemini negli anni della polemica dalmatica. Nel caso Matteotti il problema diventava di facile comprensione: ogni coscienza doveva provare un fremito ribelle. Sempre bisogna che le Nazioni trovino l'ora dell'esame di coscienza, che sappiano misurare la loro sensibilità morale a costo di aprire crisi dolorose e totali. Né ci si attribuisca preoccupazioni di astratti moralisti: in verità tutta la politica è possibile soltanto a patto che sappia trovare nei momenti solenni le sue origini di rigorismo e di rivoluzione morale. Ritirandosi sull'Aventino le opposizioni aprivano una crisi storica. Certo l'Aventino doveva essere una specie di Pallamaglio e doveva affermare la sua incompatibilità con la maggioranza parlamentare di schiavi e di cortigiani, oltre che con il ministero Mussolini. Doveva ricordare che Matteotti fu ucciso perché dimostrò l'ineleggibilità di tutti gli attuali membri della maggioranza governativa. Dopo quattro mesi questo grande processo Dreyfus dell'Italia moderna contro l'Italietta di Mussolini e dei paterni dittatori del suo stampo non è riuscito; si è soltanto aperta la crisi ministeriale del ministero Mussolini..., provvisoriamente sospesa per mancanza di successori. Dalla rivoluzione delle opposizioni nessuna conseguenza fu dedotta. Perciò cadendo il ministero Mussolini non cadrà il regime. Lo stesso fascismo rimarrà agli onori di partito politico pronto a sventane qualunque soluzione politica e democratica. Abbiamo avuto in questi mesi prove e riprove dell'insensibilità morale del paese: Assisi, Livorno, Lega italica. Due anni di fascismo ci hanno ancora più irrimediabilmente allontanati dai costumi della lotta politica. La massima risorsa in un paese di cortigiani sta sempre nel giocare sull'unanimità e sul monopolio del patriottismo. Perciò combattenti e liberali sono in auge dopo aver accettata per due anni la complicità con gli assassini di Matteotti (nessuno ci farà dimenticare che i deputati liberali e combattenti del listone devono la loro elezione a Cesarino Rossi) e sono in auge perché rappresentano i moderati, pronti a tutte le conciliazioni per evitare che in Italia prevalgano i partiti responsabili e le organizzazioni oneste. Assisi e Livorno invocarono la pacificazione e l'armonia, il cenciaiuolo di Prato chiede agli italiani gentilezza, affabilità, grazia; alibi e rese a discrezione di schiavi pronti ad inchinarsi a un Mussolini che nasconda la faccia feroce, come a qualunque vecchio statista normalizzatore. A queste speranze degli italiani per gusto di popolarità si dà un nome che è un programma anche troppo chiaro. Poiché la grandezza politica di Giolitti, modesta ma innegabile grandezza di amministratore del decennio di pace, trova nel 1911 il suo estremo limite cronologico. Giolitti dopo la guerra è l'ex-neutralista alleato coi combattenti per attuare la politica antiproletaria e per armare il fascismo. A Giolitti successore non potrebbe spettare altro compito che quello di continuare l'opera di Mussolini. Giolitti nemico di Sturzo e di Turati è pronto a tentare gli estremi espedienti per rendere impossibile la vita ai partiti di masse, cominciando dal popolare e dal socialista. Bisogna dire la parola di allarme. La reazione è in marcia. Il programma dei successori di Mussolini sarà un programma antisocialista che cercherà di attenuare i risultati della rivoluzione del suffragio universale sostituendo alla proporzionale il collegio uninominale e ristabilendo il concetto del deputato ministeriale e delle elezioni governative. Per esprimere tutto questo: l'odio delle classi borghesi per i partiti organizzati, il disprezzo dei programmi politici e della politica, il culto per l'intrigo e per l'affare nel piccolo ambito del collegio uninominale si è trovato che il simbolo più caratteristico è Giolitti e si lavora per preparargli una maggioranza che vada da Sem Benelli a Giovannini, da Delcroix a Libero Tancredi. A queste combinazioni trasformistiche si può contrapporre un'obbiezione piuttosto seria: che Mussolini non è disposto ad andarsene e non basteranno gli ordini del giorno di Viola e di Pedrazzi a liquidarlo. Sul terreno di questi bassi calcoli egli è ancora il più forte, proprio per la sua duplice maschera di normalizzatore e di amico di Farinacci. Senonchè a noi non interessa affatto che la reazione sia fatta da Mussolini o da Giolitti, da Delcroix o da Soleri: c'interessa che parlino chiaro dall'Aventino quelli che non sono disposti a vendere la proporzionale e la dignità della lotta politica per le lusinghe normalizzatrici di un trasformista. L'odio mortale di Cesarino Rossi per Matteotti incominciò quando fu sventato il piano della collaborazione fascista col socialismo confederale. Però vogliamo che il processo Matteotti sia il processo contro tutti i trasformismi e contro tutte le corruzioni del ministerialismo. p. g.
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