POSTILLE

CONRAD

    Se non si son letti punti de' suoi libri, si resta privi di alcune esperienze di vita.

    Farlo capire con poche parole a chi non lo conosce sarebbe una cosa assurda. I suoi divulgatori italiani sono ottimi, primo e più glorioso Emilio Cecchi. Ma chiunque l'ha letto, anche se a sbalzi e in modo non completo, può testimoniare della sua ricchezza e riconoscerlo capo ideale d'un'arte a cui molto si appartiene.

    La vecchia tela del romanzo d'avventure è ripresa, ma il colore tutto esterno e retorico che dominava nella sua esoticità, si rapprende in poche figure che si accampano quasi immuni dai bagliori orientali; ma dense dei toni propri, che il paesaggio riflette e sottolinea appena. L'umanità di queste figure è patetica, ma senza sdolcinamenti né affettazioni, poiché la geografia inusuale non vale a distrarre dalle cure e afflizioni continue, anzi è un segno di miglior realismo. La lunga dimora nell'estremo Oriente è qui una qualità ormai di razza, una complicanza della natura, un sottile aculeo che tormenta e fa pessima e pericolosa qualunque piaga. La metà degli eroi è gente fuoruscita, dispersa. Condannata a vivere senza porto se anche approdi ogni settimana ad un diverso scalo.

    Era un'esigenza quasi logica dell'autore il costruire i suoi personaggi dall'intimo. Non il casuale incontro e le spiegazioni, ma il crescer del loro animo, il determinarsi lento (nelle immobilità suggestive e scoranti dell'afa) d'un pensiero difficile ed oscuro, d'una chiusa e profonda volontà che somiglia al destino. Se la radice di questi animi, il fatto preliminare e distintivo è una colpa o una tara - s'immagini con quale disperazione si conchiude una vita, che non ha fuori di sé ragioni d'errori e di distrazioni, ma tutta si concentra nel suo punto nero e lo sfiora fino a che riempia ogni espressione e trabocchi.





    Lo scrittore slavo reagisce a questi suoi scopi in modo diverso dai più occidentali. L'analisi della psiche è scuola delle estreme rinunzie, c'insegna Proust; secondo Gide è adito a sottili e tremule finezze (e confusioni). Per Morand o Larbaud è quasi una funzione tecnico-decorativa, un brevetto per dedurre aforismi, o un modo squisito e un poco equivoco di rabescare il racconto.

    Conrad invece ci s'impegna e ci s'appassiona, è il momento solenne della sua arte. L'evocazione d'un profondo Dio. Bisogna ammirare lo sforzo d'attenzione, continua e segreta, per cui individua gli eroi e, nella prolissità del libro, la parchezza delle parole. L'acuta volontà domina l'iniziale ardore, quella fede apocalittica nell'uomo peccante che è vicina a uno sconsolato Dostoiewschi, e la raffredda. La visione si fa più chiara, non mai serena. Ombre e splendori, che pur predilige, si direbbero distillati: in un'atmosfera bianca di luce propria dove l'oggetto, in ogni sua parte, con molto lavoro s'è chiarito e costruito.

    Siamo tornati a parlar di colore. E' l'appannaggio, può essere il vizio, dell'avventura e dell'Oriente. Se Conrad, con ingenuità, spesso l'ha assaporato e ne ha subito il fascino, se di certe sue pagine si può fare l'antologia d'un romantico e le donne specialmente sono mandate a memoria e in funzione dei loro gesti e della loro capigliatura, si cerchi subito il correttivo appropriato nei passaggi meno facili, dove colpa e pena persistono variando e distruggendo l'uomo fino alla catastrofe. Lirismo psichico, pessimismo solitario e orgoglioso; altri possono rintracciarvi documenti di psicopatia e di misoginia. Ma, come non mai altrove, qui si prova che dove il lavoro è paziente ogni morbosità scompare. Segno che l'arte è pura.

U. M. DI. L.




UN PERICOLO PER IL SOCIALISMO

    Sta formandosi una specie nuova di socialismo (almeno, a parole) in margine ai partiti costituiti. In margine all'unitario, soprattutto. E' una sorta di socialismo sentimentale, lo direi, tanto per intenderci, senza concezioni né economiche, né politiche, ma con vaghe tendenze democratico-umanitarie, relitto di antiquate letture e di non confessate paure.

    Negli ultimissimi mesi, questo fenomeno - tipicamente piccolo-borghese - ha assunto proporzioni enormi. E' bene dare l'allarme, prima che divenga un pericolo, perché - chi può - le argini in tempo. Se pure è possibile. Perché - prodotto anche questo della vecchia e inguaribile retorica italiana, che i reggitori d'oggi, anziché curare, hanno evidentemente esasperato e coltivato sino all'inverosimile - difficilmente è arginabile.

    Massa amorfa, senza coscienza di classe, senza cervello, senza muscoli, difettosa d'idee, di forze, di sostanziose letture, di pensatori originali cui appoggiarsi, peso morto del pensiero e peso morto dell'azione, essa è costituita e largamente alimentata da quelle correnti di spostati - professori, piccoli professionisti, oscuri pubblicisti, impiegati - che rappresentano il rovescio della medaglia fascista, cui in gran porte le stesse correnti han contribuito.

    Pensieri ? No, parole. Anzi: parole-tipo. Come Libertà, Giustizia, Amore, Verità, ecc.

    E tale massa non potrà mai essere bene utilizzata e corretta ai fini della collettività, se non dando a queste meschine e trascurate classi, una chiara coscienza dei loro interessi e dei loro fini. E' fatale che le incoltissime classi medie - la cui presuntuosa ignoranza è spaventosa - siano così sbandate, senza meta e senza capi. Sono altri amari risultati della nostra lotta politica, tutta lacune ed indirizzi sbagliati. Segnalarli, questi risultati - perché altri li sviluppino e ne traggano conseguenze - è un dovere di chi s'è assunto il compito della sentinella.

G. FALCO