PROBLEMI AI LIBERALI

    Non è la prima né sarà l'ultima volta che ci sentiremo riproporre, da opposte parti, il vecchio dissidio fra socialismo e liberalismo, intesi come concezioni antagonistiche ed inconciliabili.

    Già da qualche anno, Balbino Giuliano opponeva al Mondolfo l'impossibilità di spogliare il marxismo dell'elemento catastrofico che secondo lui v'era insito, se non a patto di togliere ogni valore alla precisione socialista e ridurre quella dottrina ad un mero liberalismo, cioè all'asserita necessità che in ogni forma sociale si sviluppino le forze che debbono superarla. Ed a lui rispondeva il Mondolfo che il liberalismo così inteso, cioè come veduta della storia "mirante a un orizzonte sempre aperto e ad un cammino sempre progrediente" non poteva che trovarsi a fianco del socialismo, la cui dottrina - secondo la formulazione di Marx - mira appunto ad un acquisto ognor crescente di libertà da parte di tutti, col minimo sacrificio d'ognuno.

    Non altrimenti il Bauer, nel suo ultimo articolo su "Rivoluzione Liberale", parte da una imagine del liberalismo "suscitatore di eresie e perciò solo in antitesi con tutto ciò che è opera di divenire definitivo", e la contrappone al socialismo, mirante ad un assetto definitivo della società, e perciò solo dommatico ed illiberale. Secondo cotesti autori insomma, il socialismo, se vuol conservare la sua previsione del futuro - in cui è tutta la sua ragion d'esistenza come movimento autonomo delle classi lavoratrici - deve rinunciare ad assumere una posizione liberale.





Esiste un sistema liberale?

    Senonché, giunti a questo punto, alcune domande ci si affacciano spontanee: sono davvero antagonistici il sistema liberale ed il sistema socialista? e più innanzi: che cosa son essi questi due sistemi? e più su ancora: esistono davvero questi sistemi di cui favoleggia il Bauer e molt'altri con lui? Io ne dubito fortemente.

    Cominciamo dal sistema liberale. Io non farò qui un'istoria critica di tutto il pensiero liberale dal suo nascere ad oggi: compito inadeguato alle esigenze del presente lavoro. Accetto quindi senza discussione l'enunciazione che ne fa il Bauer, dalla quale si rileva come "il liberalismo, riconoscendo ogni mito ed affermandone il dritto a tentare una propria esperienza, si pone fuori di ciascuno di essi e rinnega tutte le armonie che ne sono fondamento, anima e forza", e come lo Stato liberale debba assistere, dall'alto del suo Olimpo, in assoluta neutralità, alla lotta fra le forze contrastanti e al loro avvicendarsi al potere. Ma basta questa formulazione per rivelarne l'assoluta inconsistenza pratica: uno Stato perfettamente liberale, com'egli lo tratteggia, è un sogno da utopisti ed io ho troppa stima del Bauer per ritenere ch'egli abbia seriamente creduto alla possibilità di una cotale realizzazione, allo stesso modo che l'uomo morale del Kant, obbediente alle sole leggi dell'imperativo categorico, è una visione troppo bella perché possa farsi concreta. Il processo storico non si svolge, né può svolgersi, secondo un piano tracciato, il quale incarni i canoni astratti della ragion ragionante, che anzi gli stati d'animo che l'accompagnano sono di lor natura irrazionali. Pretendere che questo processo storico possa a un dato punto svolgersi secondo i dettami di un puro liberalismo è mero studio accademico, in quanto esso implica innanzi tutto il disconoscimento di quella lotta fra le classi, che il Bauer ammette, e che, per il solo fatto che si combatte, ha le sue inderogabili esigenze. Di cui la prima è questa: che la classe al potere non potrà mai essere liberale e lo Stato non potrà mai essere il neutro spettatore vagheggiato dal Bauer.





    Del resto, la negazione della possibilità d'un sistema liberale, la troviamo anche nel Bauer. Il quale ci presenta un liberalismo "fuori d'ogni mito", "suscitatore d'eresie", "in antitesi con tutto ciò che s'atteggia a definitivo", e pertanto in conflitto con qualsivoglia sistema. Il sistema è necessariamente un equilibrio di forze, vale a dire un compromesso, mentre il liberalismo così inteso è l'espressione d'una società in perpetuo moto. Un sistema liberale non può quindi essere che una vera e propria, contradictio in adiecto, ammenoché con tale espressione non si voglia intendere il sistema che, in un determinato momento, contempera meglio le aspirazioni autonomistiche dei vari aggruppamenti sociali (principio di libertà) colla necessità della loro coesistenza (principio d'autorità). In questo senso ogni regime è liberale, perché in ogni momento del suo divenire la società esprime appunto dal suo seno quell'ordinamento che meglio risponde alle sue necessità, e rappresenta il miglior equilibrio. Equilibrio instabile però, perché nuove forze urgono di continuo e di continuo lottano contro l'ordinamento o il regime, contro il sistema in una parola che tenta di soffocare le energie nuove, bisognose d'affermarsi più liberamente. E in questo senso ogni sistema è antiliberale: ecco qui la contraddizione dialettica insita nel processo sociale, seguendo la quale noi arriviamo al marxismo, che incarna appunto questo continuo sforzo di superamento, questo continuo porsi e risolversi di contraddizioni.





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    Il liberalismo quindi non puó essere altro che un metodo, ma anche come tale il liberalismo puro è lontano dalla realtà: esso esige nelle forze contrastanti, una mancanza di fiducia nelle proprie opinioni per poterle mettere allo stesso livello e trattare alla stessa stregua delle opinioni avversarie: vera contraddizione in termini. Il liberale puro, riconoscendo eguale valore alle opinioni avverse (senza di che non v'ha vero liberalismo), non può che essere uno scettico, mai uomo d'azione; non può mai partecipare esso stesso al contrasto, ma limitarsi a contemplarlo dall'alto con indifferenza apatica, confortato solo dal pensiero che per la legge infallibile della selezione, nella lotta s'affermerà il migliore e la storia proseguirà il suo cammino.

    Cosiffatto liberalismo si riduce insomma ad essere una visione estetica del processo sociale e non una dottrina politica atta ad intenderlo e ad accompagnarne gli sviluppi. Esso è un portato dello scetticismo, e non per nulla fu teorico del liberalismo quello Stuart Mill che, in tutte le travaglianti questioni sociali, fra il si e il no fu sempre di parere contrario. Potrebbe considerarsi, a prescindere dalle sue origini storiche, come una simplicizzazione del marxismo, o, se meglio piace, come l'espressione d'una società non peranco giunta a quella coscienza di sé che noi troviamo nel marxismo: come tutte le simplicizzazioni, pecca di generalizzazione ed astrazione, cioè perde il contatto colla realtà concreta.

    Pertanto il liberalismo, se vuol essere dottrina di pratica efficacia, deve diventare strumento d'azione nelle mani di determinate forze sociali operanti nella storia, le quali però, - per il fatto stesso del loro agire in determinate circostanze storiche, sotto la spinta di determinati bisogni, entro i limiti di una determinata costituzione sociale, contro altre determinate forze e per determinati fini di conquista e di realizzazione - possono essere liberali solo in quel determinato modo che è consentito dall'ambiente in cui si agitano. Il liberalismo, scendendo dal campo dell'astratta formulazione a quello dell'attuazione concreta, si modifica profondamente. E questo ci spiega perché lo Spaventa ad esempio, che pur fu teorico del liberalismo, militasse poi nelle file di quella Destra moderata (leggi conservatrice) che è finita, traverso una successione logica di atteggiamenti, nel liberalismo di Salandra e di Sarrocchi.





    Senonché a un certo punto fu sentito che la funzione liberale non poteva legittimamente spettare che alle classi oppresse, le quali, nello sforzo di elevazione, sono le sole che possano rivendicare le negate libertà ed acquistare una coscienza sempre più universale ed eticamente superiore. Ed ecco Alfredo Oriani, che contro le transazioni monarchiche proclama la spontaneità delle energie rivoluzionarie, e il diritto dell'operaio a riconquistare la propria personalità, e contro il gretto individualismo materialistico dell'industrialismo, afferma l'individualismo superiore ed aristocratico delle masse che ascendono il faticoso cammino del progresso sociale "sublimando l'umanità nell'individuo". Di questa concezione dell'Oriani ha sentito l'influsso appunto il Missiroli, il quale scrive che "liberali sono tutti coloro che, in un modo o nell'altro, assumono posizioni di opposizione, tutti coloro che negan uno stato di fatto, i critici, i rivoluzionari, gli utopisti, gli insofferenti dei regimi attuali", e che di conseguenza "oggi la funzione liberale è passata, di fatto, ai socialisti".

La previsione socialista

    E veniamo al socialismo. Esiste un sistema socialista?

    Dovrei ripetere qui i rilievi che ho fatto più sopra per il liberalismo. Il marxismo - che è appunto la dottrina del movimento socialista, cioè del movimento autonomo della classe lavoratrice - non è che uno strumento d'interpretazione e quindi (per la fusione marxistica fra la conoscenza della società e lo sforzo diretto a trasformarla sinteticamente espressa nella frase scultoria "interpretare è cangiare") una norma, cioè un metodo d'azione. Ma come metodo, critico per sua natura, e per sua natura quindi fonte inesauribile di energie rivoluzionarie, esso, del pari che il liberalismo, non può consentire a lasciarsi incapsulare in uno schema, a rinserrarsi in una formula, a fissarsi come che sia in un assetto definitico e stabile.





    E dove se ne va allora il collettivismo? Marx ripone nelle libere iniziative del proletariato - e del proletariato solo, senza alleanze, senza transigenze, e senza compromissioni - nei suoi errori e nelle sue esperienze, la forza creatrice della società di domani. E' ancora una volta l'attività umana come creatrice di tutta la storia. La quale non può essere imprigionata o racchiusa in nessuna formula, nemmeno in quella del collettivismo. Che questo debba essere l'organizzazione della società di domani, non afferma il marxismo che la società concepisce come il risultato del libero sforzo del proletariato. Libero, naturalmente, sempre in rapporto alla particolare circostanzialità storica del momento presente, che delimita in modo non superabile le forme e i modi di questa attività. Il marxismo ripudia tutte le ideologie che non sono in armonia colle necessità sempre crescenti della produzione, e si fa strumento delle energie nuove che di continuo s'affermano colla spontaneità delle loro creazioni, bisognose di crescere e di espandersi in libertà. Esso insomma interpreta il bisogno degli uomini vogliosi di essere veramente tali, senza dei, senza superuomini, senza tutori, senza patroni, senza lo Stato: tirani tutti e soffocatori d'energie. Il collettivismo inteso come specificata costituzione sociale è fuori del marxismo. Non fu Marx che definì reazionari tutti i costruttori di programmi per l'avvenire?

    Ma - mi si potrebbe chiedere allora - in che cosa consiste il superamento della società presente, di cui andate favellando? Esso consiste solo in ciò: nell'emancipazione del proletariato, cioè nel superamento della società divisa in classi. Ma questa (attento, caro Bauer!) non è anticipazione dommatica di una società di là da venire, sibbene la constatazione della critica obbiettiva che è insita nella stessa società presente, la quale, per le forze che in sé contiene, e ch'essa di continuo sviluppa per le necessità immanenti allo sviluppo suo proprio, è trascinata alla sua negazione dialettica, cioè alla conciliazione col proprio opposto in una sintesi superiore. La particolare costituzione di questa società superiore è rimessa da Marx allo spontaneo sforzo creatore del proletariato, e non mette conto nemmeno di indagare quale essa sarà, perché nessuna è, marxisticamente, accettabile a priori.





    Ma il Bauer taccia d'illiberale questa pretesa, anzi nega addirittura la possibilità di giungere ad un nuovo assetto sociale in cui sien scomparse le classi e in cui, egli dice, "le ragioni di lotta sarebbero confinate nel campo spirituale". In sostanza egli non sa celare (e qui è la fatale contraddizione fra il suo liberalismo teorico e il suo liberalismo pratico) le sue simpatie per il presente regime, colla libera concorrenza fra produttori e la privata proprietà. Io non m'avventurerò in una critica di questa concezione, e solo mi limiterò ad osservare che la libera concorrenza, come la intendono gli astratti teorici del liberalismo, ha da un pezzo cessato di esistere se pur ha esistito giammai: oggi i trust e i cartelli rispondono meglio agli interessi della classe dominante. E circa la proprietà, è certo quanto mai assurda la pretesa del Bauer ch'essa non possa cessare se non quando non esisterà più sulla terra una sola persona animata dal desiderio di possedere: pretesa assurda che però s'inquadra in quella visione estetica della società dianzi accennata, incapace assolutamente d'azione.

    Ché se il Bauer si fosse posto sul terreno dell'azione, lungi dalle elucubrazioni da tavolino, avrebbe dovuto convenire anch'egli che le forze proletarie sono oggi le sole che possano agire colla massima conformità ai principi liberali.





Il liberalismo di Sorel e di Marx

    Perché era perfettamente marxistico - e ognun comprende ch'io mi riferisco qui allo spirito del marxismo - Giorgio Sorel, quando denunziava come la degenerazione del socialismo lo sforzo di conquistare molti seggi legislativi per mercanteggiare il peso contro concessioni e favori; era perfettamente marxistico quando negava che il socialismo potesse ridursi ad un mero contrasto di materiali interessi, ad una mera lotta fra profitto e salario (nella quale del resto il salario non riuscirebbe ad incidere durevolmente e notevolmente il profitto); era perfettamente marxistico quando rivendicava i diritti del capitalismo ed invocava un riconsolidamento della borghesia, perché contro di essa potesse erigersi, sempre più forte nello sforzo intransigente dell'elevazione, il proletariato rivoluzionario creatore dell'ordine nuovo. Egli sente che per creare quest'ordine nuovo, le energie rivoluzionarie hanno da affermarsi in piena libertà, e quindi respinge le ibride alleanze, i mercantili patteggiamenti, le conciliazioni democratiche, gli alti patronati dello Stato che vincolano l'azione dei contendenti. I quali hanno da essere liberi e intransigenti quanto più è possibile, perché meglio si acuiscano, nel processo formatore della lotta, le contrastanti energie.

    Collo stesso spirito Carlo Marx levava alta la voce contro tutti gli intervenzionismi statali che ostacolano il libero agire delle forze economiche; collo stesso spirito scioglieva nel Manifesto un inno al capitalismo che non ha avuto ancora l'eguale; collo stesso spirito bollava, col ferro rovente del suo sarcasmo, tutti i filantropi che, per un ideale di umanità e d'astratta giustizia, invocano una legislazione sociale intesa a mitigare le asprezze del conflitto e a far trionfare le norme dell'equità. Egli sentiva che impedire quelle asprezze, talvolta addirittura selvagge, era soffocare le iniziative, porre il bavaglio alla civiltà.





    Siamo dunque in pieno liberalismo. E ha torto il Bauer di affermare che il socialismo è di sua natura dogmatico, perché mira ad affermare coll'autorità dello Stato un sistema già preformato. No. Il socialismo mira unicamente a spronare le iniziative rivoluzionarie del proletariato e ad esse sole affida di creare spontaneamente la società di domani. La quale non ha in sé niente di prestabilito né di definitivo, ma è null'altro che lo sbocco di queste libere iniziative. Io faccio getto volentieri di certe frasi troppo assolute ed arbitrarie, come quella famosa dell'Engels che raffigura il socialismo come il passaggio dal regno della necessità al regno della libertà. La società nuova per la quale lavoriamo poggerà pur essa sulla base fondamentalissima dell'ordine economico che il proletariato avrà saputo creare; la coscienza umana si formerà anche allora nell'azione esercitata su un determinato ambiente economico-sociale, sotto l'impulso dell'ambiente medesimo; le ragioni di lotta non saranno, come dice il Bauer, confinate nel solo campo spirituale, ma continueranno ad essere la forza che moverà la società in perpetuo divenire. Pretendere che questo divenire abbia a cessare, cristallizzandosi la società di un sistema immodificabile, è negare l'intima essenza del marxismo stesso; pretendere che abbia a cessare la lotta, è negare addirittura la ragion d'essere della vita. Solo, dopo il superamento della società a classi, muterà l'aspetto della lotta e ne muteranno i mezzi: ed in ciò consiste appunto quel che noi chiamiamo progresso, inteso come stregua di valutazione degli accadimenti storici. Al postutto, se ogni forma sociale del passato fu transeunte, come ci avverte il Bauer, non si comprenderebbe perché proprio l'attuale debba costituire la barriera insuperabile com'egli pretende, rivelando - proprio lui! - quel dogmatismo che invece rimprovera a noi.





    Ma - e qui s'avanza la più forte obbiezione - ma, mi si dirà, voi marxisti ammettete la violenza da cui il liberalismo rifugge. Precisamente. E per questo appunto io avvertivo più sopra che il liberalismo è una simplicizzazione del marxismo, o, per meglio dire, l'espressione d'una società non peranco giunta a quella coscienza di sé che noi troviamo nel marxismo. Gli è che noi marxisti rifuggiamo dal voler rinserrare la storia in uno schema preformato, da cui sia bandita per sempre la violenza, che è un fatto purtroppo storicamente ed eticamente umano. Pertanto, senza fare della violenza un sistema esclusivo di lotta, riconosciamo ch'essa può essere in una data circostanzialità storica un fatto necessario, per spezzare certe bardature o sovrastrutture che si reggano solo colla forca d'una tradizione superata nei fatti, o con altre armi storicamente senza valore. La sua giustificazione, per noi marxisti, è in re ipsa, nel durevole consolidamento dei suoi resultati, nella stessa hegeliana razionalità di ogni reale.

Conclusione

    Ed ora tiriamo le somme. Se il socialismo non è, e non può esserlo se non a patto di negarsi, lo sforzo di costringere il proletariato lungo una linea d'azione già tracciata; s'esso non è neppure il tentativo di sfruttare la forza politica dello Stato per imporre le proprie leggi sociali e socializzatrici, il che sarebbe un confondere la geniale concezione del Marx colle teorie prussiane di Lassalle; se al contrario il socialismo è l'affermazione spontanea delle energie che maturano nel proletariato; se esso, per questo maturarsi, deve rifuggire da ogni intervento autoritario e coercitivo, ma ricercare la massima libertà d'azione per sé e per l'avversario ch'esso desidera vigoroso e robusto, ne consegue che il socialismo è oggi la sola forza che possa essere veramente liberale.





    Né mi obbietti il Bauer che il Partito Socialista in Italia s'è comportato proprio nel modo opposto, almeno sin qui, perché io potrei facilmente rispondergli che il liberalismo italiano è stato sin qui quello di Salandra e di Sarrocchi.

    Lo sforzo di giungere ad un assetto sociale in cui sia lecito alfine alle forze sociali di liberamente operare (liberamente, s'intende, in relazione all'ambiente in cui viviamo), è sforzo ammirevole di giovani; ed è pure sforzo di giovani quello di liberare il socialismo dalle vecchie pastoie, così del dogmatismo rivoluzionario come dello statalismo riformista, e di affidare all'attività esclusiva delle masse, educatrice perché intransigente, creatrice perché spontanea, rivoluzionaria perché affermante la dignità e la personalità del lavoratore, la creazione del nuovo edificio sociale. E questa è opera squisitamente liberale.

PROMETEO FILODEMO