LA VITA INTERNAZIONALE
L'attuale situazione balcanica
Vienna, agosto 1924.
Anche a chi segua superficialmente gli avvenimenti balcanici non devono esser sfuggiti i profondi turbamenti, e le frequenti crisi che, non disgiunte da forme violente e da colpi di Stato sanguinosi, sconvolgono i popoli della vicina penisola.
La sconfitta microasiatica dei greci ebbe per conseguenza un radicale cambiamento di regime in Grecia che ora, sotto la veste repubblicana non meno che sotto quella monarchica di prima, passa da sussulti in sussulti che denotano uno stato permanente e pericoloso di turbamenti e di disordine.
I rapporti bulgaro-jugoslavi contribuirono non poco all'improvviso prodursi di quel colpo di stato in Bulgaria che ebbe tutte le caratteristiche di un vero pronunciamento, gravido di conseguenze imponderabili, che ha finito per sommergere la Bulgaria in una completa anarchia aprendo una crisi costituzionale senza fine e senza uscita.
La Rumania pure non va immune dal male che travaglia i Balcani: la minacciosa attitudine russa per la questione della Bessarabia, l'agitazione dei Zaranisti (contadinisti) e del generale Averescu, fierissimo capo dell'opposizione Rumena, non fanno sperare giorni lieti e tranquilli alla "Grande Rumania" d'oggi.
Né l'Albania si distacca dal quadro generale che si presenta torbido e oscuro in tutte le parti della penisola balcanica: il malcontento delle masse popolari albanesi contro i bey feudali e le agitazioni nazionaliste sboccarono in una rivoluzione rumorosamente vittoriosa, che portò alla cacciata di Achmed Zogu e dei bey e all'instaurazione del Governo liberal-nazionalista del vescovo Fan Noli.
Per ultimo la sorda ed irriducibile lotta degli elementi antiserbi ha indotto la Corona jugoslava, per evitare maggiori complicazioni, a chiamare al potere il blocco delle opposizioni, il quale, come è noto, oltre a chiedere la caduta del vecchio Pasic, mirava e mira ad un nuovo ordinamento statutario, ispirato ai principi di decentramento, di tolleranza reciproca e di autonomie regionali.
Dal Monte Nevoso al Capo Matapan, dal Dniester alla Voiassa, tutto è in ebollizione e in oscuro fermento.
Una volontà ferma ed una mente direttiva unica si è proposto un programma ed una meta che persegue irriducibilmente, senza esitazione alcuna. È la nuova politica russa che si affaccia per riconfermarsi e riprendere il suo posto nella penisola balcanica.
Senza reclamare professione di fede bolscevica o mutamenti sociali radicali, essa cerca di avviare i popoli balcanici verso la coscienza di un fine comune e la concezione di un piano solo: la federazione balcanica.
È questa un'idea che ha guidato e inspirato alcune menti illuminate della penisola balcanica anche nel passato remoto e recente: dalla memorabile rivolta (1828) dei cristiani balcanici contro l'oppressore comune - il turco - ai movimenti dei giorni nostri.
Ma negli ultimi anni non pochi elementi di prima linea han fatto proprio l'ideale della Federazione balcanica: Radic in primo luogo - il capo dei contadini croati, il partito di Stamboliisky una volta, i montenegrini, qualche eminente uomo politico albanese e finalmente una frazione dei rivoluzionari macedoni.
Ora questi due elementi sembrano decisi ad andare uniti alla realizzazione del programma comune malgrado le molteplici e non lievi differenze, che li disuniscono quanto al metodo da seguire, agli scopi ultimi da raggiungere, al regime sociale da instaurare.
Epperò anche gli elementi non federalisti come: i rivoluzionari della Macedonia, capitanati da Teodor Alexandroff e Peter Ciauleff, i nazionalisti montenegrini e quelli albanesi di Kossovo, che propugnano l'indipendenza assoluta dei loro paesi, hanno finito per aderire al blocco di coalizione delle forze rivoluzionarie balcaniche che, unite, si preparano ad abbattere l'attuale stato di cose nei Balcani, inviso ed intollerabile in egual misura a tutti.
Il programma della nuova coalizione balcanica, come si vede, è concorde e chiaro, per quanto concerne la parte negativa. Raggiunto lo scopo non è prevedibile come le varie correnti politiche ed i vari aggruppamenti etnici potranno collaborare per la ricostruzione e per l'instaurazione di un nuovo edificio sociale e statale sulle rovine del vecchio regime demolito. Ma certo tutto l'assetto politico dei Balcani avrà a subire un mutamento reciso e radicale.
Sarà questo nuovo ordine la bolscevizzazione dei Balcani? Oppure la Federazione Balcanica, di tipo piccolo-borghese e democratico, sarà composta di una infinità di Stati nazionali e di provincie autonome? O piuttosto i vecchi piccoli Stati balcanici coll'aggiunta del Montenegro risorto, di una Macedonia e una Croazia indipendenti e di una Albania ampliata e ricostruita?
A quale fine tende la politica balcanica Italiana? E quale corrente e tendenza essa preferirebbe e seconderebbe fra le tante esistenti nell'ambito della coalizione attualmente costituitasi sotto gli auspici della Russia?
Giova tener presente che, malgrado un certo malumore contro la recente politica italiana di amicizia e di sostegno al governo di Pasic che sembrava diretta a contribuire al consolidamento della Jugoslavia del vecchio regime e nonostante i così detti "errori della diplomazia italiana", l'Italia non ha nemici nei Balcani né i componenti la nuova coalizione balcanica nutrono sogni imperialisti o di rivincite contro chiechessia e tantomeno contro l'Italia. Bisogna, almeno che nessuna lusinga di sogno reazionario venga opposto alle nuove forze balcaniche: deve essere ben chiaro che queste hanno per sé l'avvenire.
D. LOMATICH
Da Pasic a Davidovic (dalla dittatura al regime democratico)
Era in un paese d'Europa un capo di Governo che si dichiarava indispensabile: intorno a lui s'era creato il mito dell'insostituibilità. Si affermava che via lui, il paese sarebbe precipitato nell'anarchia e nel caos. Epperò si cercava di far colpo sugli animi pavidi, per quanto sinceramente preoccupati delle sorti nazionali, facilmente suggestionabili, con l'inesorabile dilemma: per la salute dello Stato e del popolo o lui, o nessun altro.
Ed a dire il vero il capo di governo in parola possedeva una risorsa inesauribile di abilità politiche, parlamentari e di esperienze per dirigere la cosa pubblica. Difatti lo si era visto affrontare mille serie situazioni, molta spesso con successo e comunque mantenendosi sempre a galla. Non si dimenticava soprattutto la sua capitale benemerenza: quella cioè che si doveva a lui più che ad ogni altro artefice la trasformazione d'un paese piccolo, povero ed insidiato in una potenza vasta, ricca di energie e rispettata. In momenti più recenti egli era divenuto l'uomo d'ogni crisi, apparendone anche il dominatore per eccellenza. Si giungeva inevitabilmente a lui anche quando nel corso d'una soluzione lo si sarebbe volentieri lasciato da parte. Della sua posizione di signoreggiatore politico i segni forieri d'un imminente tramonto si rendevano sempre più lontani. Da ultimo anzi appariva audacia pazzesca pur anche il tentativo di scoprire una sola traccia dei detti segni forieri.
Ma Nikola Pasic (parlo di lui e non d'altri e non violo i limiti dello Stato Jugoslavo entro il cui ambito voglio soffermarmi), affacciato ricolmo di forze e di virtù taumaturgiche e reso mito, che incombe e spaventa, per quanto sia stato un genuino capo costruttore della grandezza e potenza jugoslave, quando in fine più che mai si lusingava che il suo potere di dominatore non sarebbe cessato che con la morte, si è visto - con sua stessa sorpresa - messo da parte e costretto a cedere le redini del governo ad un uomo di Stato, dalle pretese molto più modeste e molto più lungi da ogni velleità dittatoriale. E per questo mutamento che colpiva inesorabilmente il gigante non si è minimamente commossa l'opinione pubblica jugoslava. Neppure i serbi, che sono orgogliosi del possesso d'un Pasic, considerato come la più schietta espressione delle virtù politiche della stirpe; e neppure gli "oriunasi", o fascisti jugoslavi, che minacciano il fin di mondo ad ogni piè sospinto e che avevano trovato nel vecchio statista la tolleranza più benevola per ogni loro bravata - ancor più che nel gabinetto Pasic collaborava con tanta influenza, il loro protettore e padre spirituale Svetozar Pribicevic - seppero accennare un solo gesto che dimostrasse una contrarietà al mutamento subentrato.
Ed il mite e colto Davidovic, con tutta la sua calma di professore in ritiro, veniva ad assidersi al governo del paese, deciso coscientemente di avvalervisi di quei metodi democratici, con cui si cerca nella maniera la più larga possibile di ottenere le partecipazioni e di distribuire le responsabilità per l'esercizio del potere pubblico.
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Pasic nel governare la Jugoslavia aveva vagheggiato una dittatura di stirpe. La stirpe serba non doveva confondersi, con le sue precise caratteristiche, fra le altre stirpi che avevano concorso alla formazione dello Stato jugoslavo, ma vi doveva all'incontro eccellere, come quella alla quale le altre dovevano essere semplicemente debitrici della libertà. Anzi queste dovevano riconoscere in quella la vincitrice, che le aveva trattate con generosità fraterna e le aveva chiamate ad assidersi al desco d'una stessa famiglia.
La dittatura di stirpe diveniva una dittatura di partito solo incidentalmente, quando unico il partito radicale serbo - nella sua stragrande maggioranza almeno - accedeva, per quanto trattavasi di chiarire la posizione dei serbi nei riguardi dei croati e degli sloveni, al punto di vista di Pasic. Ed una ragione ancora più incidentale determinava ad essere una dittatura semplicemente personale quella che doveva essere una dittatura di stirpe prima e di partito poscia. Non altri che Nikola Pasic poteva essere riconosciuto capace di essere un dittatore per una dittatura, quale era quella da lui concepita.
Ma la dittatura era anche per Pasic l'arma meno efficace al raggiungimento di fini sia pure bene precisati. Ne era addirittura il mezzo più appropriato per realizzare e più compiutamente fini affatto opposti. Né i croati, né gli sloveni avrebbero altrimenti potuto percepire più prepotente lo stimolo a schierarsi come tali contro i serbi, ritenuti sopraffattori, e a tentare di farsi valere con delle pretese non sempre misurate. Ed in Croazia il fenomeno Radic sorse in forza dell'esasperazione d'una stirpe, che le personali inclinazioni alle concezioni visionarie ed il naturale tono d'ispirato nei discorsi d'un uomo, d'altronde coltissimo e soccorritore sempre pronto e sempre largo della gente umile, ritenne segni evidenti d'un affetto più sincero e fattivo per la causa croata. Fra gli sloveni, educati già da lunga serie di anni ad una politica più pratica espressa in una superba organizzazione economica, furono rese illusorie le serie intenzioni collaborazioniste dell'abate Korosec, il duce rispettato delle masse umane e rurali, al quale il senso della dignità non consentiva di spingere le dette intenzioni sino alla dedizione ed al servilismo.
Un po' di riflessione avrebbe fatto comprendere agli uomini al potere che perfino con i radiciani sarebbe stato da parte loro una molto facile impresa l'intendersi. E l'intesa con Korosec, più volte anche tentata, era condizionata soltanto all'abbandono d'ogni mira annientatrice. Invece derivò, risultato logico e naturale, l'opposizione, destinata a rendersi sempre più recisa, contro quelli, che per i loro fini e metodi di governo, ne erano esclusivamente responsabili.
Come l'opposizione contro la dittatura di Pasic prese consistenza, si vide inasprirsi il disagio interno della Jugoslavia con una di quelle aberrazioni politiche che se perseguite, sono fatali ed inesorabili piaghe corroditrici delle sorti d'un paese e d'un popolo.
Pasic, da vecchio parlamentare, pure assumendo nel governo il carattere e le funzioni di un dittatore, si faceva scrupolo di presentare il suo ministero al di fuori di una quale certa base parlamentare. Osò solo per alcun tempo di avvalersi della collaborazione unicamente di uomini del suo partito, ma poiché i radicali da soli costituivano una minoranza troppo palese nella Skuptcina, essi, per volere di Pasic, si riunivano, in un modo che parve definitivo, con i così detti democratici dissidenti, capeggiati da Svetozar Pribicevic.
È da notarsi che originariamente vi era un solo partito democratico, che si proponeva di sostituire - anche contro, come abbiamo già compreso, alla stessa concezione sull'ordinamento delle stirpi entro lo Stato di Nikola Pasic - alle tre stirpi serba, croata e slovena con le rispettive differenziazioni, una sola nazione jugoslava entro la quale non sarebbe stato più il caso di distinguente né lo serbo, né il croato, né lo sloveno, ma di riconoscere invece niun altro che lo jugoslavo.
Era un tentativo questo che avrebbe dovuto cozzare contro la possibilità pratica, e quindi, pur mantenendosi il programma teoricamente quale era stato fissato in origine, nella realtà esso doveva manifestarsi in seguito, seconda la mentalità ed il temperamento degli uomini che lo propugnavano.
E si precisarono, anche sotto la pressione delle vicende politiche, le due diverse correnti democratiche denominate dai nomi dei capeggiatori, corrente di Davidovic e corrente di Pribicevic; ma mentre per il primo trattavasi di accomunare i cittadini jugoslavi in un complesso fraterno, avvalendovisi dei mezzi più efficienti della persuasione, per l'altro trattavasi invece di perseguire un'attività spietatamente sopraffattrice e violentatrice ad un intento di livellazione.
Epperò il distacco fra i davidoviciani e i pribiceviani si accentuava sempre più netto; anzi e negli uni e negli altri era sempre più acuta l'ansia di mettersi reciprocamente in aperta antitesi.
Pribicevic ed i suoi vollero, un brutto giorno, essere il puntello più sicuro per garantire la dittatura di Pasic. Questi, nel momento che accettava l'incondizionata collaborazione di quelli, ebbe il torto di trascurare quanto il leader democratico dissidente si proponeva con l'alleanza. Altrimenti Pasic non si sarebbe non accorto che Pribicevic intendeva instaurarle come metodo di governo la violenza per provocare uno stato permanente di guerra civile fra i cittadini jugoslavi. In questo stato permanente di guerra civile sarebbero pullulati i profittatori per reprimere e dominare gli altri cittadini. I quali ultimi avrebbero dovuto essere paghi di servire in silenzio. E naturalmente i pochi privilegiati assertori della Nazione si sarebbero schierati armati contro tutti i rimanenti affatti inermi e costituenti l'antinazione.
Immancabilmente lo stesso Pasic sarebbe stato prima, o dopo, soppiantato da Pribicevic, la cui collaborazione avrebbe intanto servito a deviare dai fini intesi ed a compromettere in sensi non voluti l'attività politica del vecchio uomo di Stato serbo.
E fu un'aberrazione politica e parve un'odiosa tirannide questa più recente intesa di governo fra Pasic e Davidovic. Ma di fronte ad essa le opposizioni non ebbero più riserve o scrupoli. Caddero anche in esagerazioni, sulle quali d'altronde si sbizzarrì la speculazione dei dominatori. Ed il proposito identico di tutta le opposizioni di abbattere il governo conculcatore ne recò l'infrangibile solidarietà ed il fronte unico d'opposizione, che s'imperniava sul trinomio Davidovic-Korosec-Spaho; di Davidovic, il leader del gruppo democratico che disponeva d'un maggior numero di mandati alla Camera; di Korosec, il capo dei cristiano-sloveni; e di Spaho, il più autorevole esponente dei mussulmani bosniaci, che, come partito tengono nel Parlamento un numero cospicuo di rappresentanti. Apparentemente i radiciani erano fuori del blocco delle opposizioni, ma in sostanza ne costituivano il nerbo; giacché queste per il concorso di quelli vennero a disporre d'un'incontrastata maggioranza parlamentare. I radiciani difatti solo quando videro che avrebbero con l'apporto del loro numero alle opposizioni messo in minoranza alla Camera i sostenitori di Pasic e di Pribicevic non si astennero più dai lavori parlamentari e quasi si precipitarono alla Camera appunto per assicurare la maggioranza alle opposizioni e per sostenerla nella lotta necessaria per afferrare la successione al potere.
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Il fronte unico delle opposizioni con la maggioranza ormai garantita alla Camera e con il consenso sempre più largo che andava acquistando fra tutte le stirpi della Jugoslavia, anche perché oltre che un compito di conciliazione si prefiggeva pur quello di rigeneratore della vita pubblica, desiderandola epurata da ogni immoralità e da ogni corruzione, si affacciò ad un tratto quale una terribile minaccia alla dittatura. Epperò gli uomini del governo non esitarono a decidersi per lo scioglimento della Camera e per le nuove elezioni, che fatte con i metodi propri delle dittature, sarebbero valse, secondo il loro pensiero, a debellare i partiti d'opposizione.
Ma la Corona non si lasciò convincere di scostarsi dalle vie costituzionali più immediate, quando con l'incamminarsi per le stesse era possibile di rimediare ad un disagio politico parlamentare. Neanche di fronte ad una crisi ministeriale, provocata, a quanto sembra, a bella posta, il Re jugoslavo volle consentire allo scioglimento della Camera ed alle nuove elezioni. Provò invece ad associare in una concorde attività di governo, conforme ai rigidi principi costituzionali, e i sostenitori diretti di Pasic (lasciando da parte soltanto quelli irriducibili di Pribicevic) e gli oppositori. E certo la fatica generosa del venerando Lpiba Jovanovic, il radicale presidente della Camera, uomo di indiscussa autorità, di esemplare rettitudine e degno di generale estimazione, sarebbe riuscita ad accontentare il voto della Corona, se la disciplina del partito, in maggioranza condividente il punto di vista di Pasic, non lo avesse sopraffatto. Venne allora così improvviso alla luce il gabinetto Davidovic, gabinetto dai precisi principi democratici e di schietta collaborazione, che richiede dagli uomini che lo compongono ad un fine di vantaggio collettivo, chiara responsabilità e rinuncie anche dolorose e che si impegna risoluto di raggiungere un'indistruttibile unità di spiriti e di forze di tutti gli jugoslavi, avvicinando i programmi, conciliando gli intenti ed armonizzando interessi ed aspirazioni.
Le opposizioni sono oggi paghe di avere stretto un patto, che resiste alla terribile prova del potere ai radiciani anche senza la diretta partecipazione al governo, ne danno l'appoggio verso promesse di compensi misurati, che non tangono affatto né l'unità, né gli ordinamenti statali. Ed i radicali? Anche fra questi fedeli soldati di Pasic, si notano dei sintomi d'una disposizione a trattare con tutta benevolenza, che può mutarsi in breve in fiducia, il gabinetto Davidovic.
In ogni modo il risultato più concreto raggiunto con l'avvento al potere del nuovo ministero, è l'isolamento, che sempre più si rimarca, di Pribicevic, il fanatico assertore della violenza per spuntarla con i diritti della nazione, che maschera il privilegio, contro l'antinazione, che in questo caso non è altro che la stragrande maggioranza dei cittadini. E un isolamento quale è quello di Pribicevic, non è la manifestazione più evidente di una morale ben meritata condanna.
VINCENZO MARUSSI
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