IL SACCO DEL PARRICIDA

    È vano dissimularsi la debolezza intrinseca di quell'amalgama di forze politiche, dalle più svariate origini e colorazioni, che va sotto il nome di "cartello delle opposizioni".

    Il carattere ibrido di questa coalizione giova al Fascismo, che ha buon giuoco nell'additare alla facilona opinione pubblica italiana il cartello delle opposizioni come una specie di "sacco del parricida", il supplizio cioè che il Diritto Romano infliggeva al reo di aver soppresso il genitore: il gallo, il gatto, la scimmia, il serpe e il parricida, legati entro lo stesso sacco e gettati nel Tevere, sul cui fondo, in un groviglio orribile, erano destinati a finire.

    In origine la pretesa di considerare in unico blocco tutte le opposizioni, dalla liberale conservatrice alla socialista bolscevizzante, sembrava ed era un grossolano artificio, paragonabile alla famigerata divisione degli Italiani in nazionali ed antinazionali.

    Tant'è vero che la possibilità di un'azione comune qualsiasi era sempre stata scartata a priori, persino in occasione dell'ultima campagna elettorale, dove pure avrebbe potuto costituire una pratica e reale arma di offesa.

    Fu il Fascismo a proporsi di trascinare i singoli oppositori giù dalle rispettive posizioni, per sospingerli tutti nello stesso angusto recinto. In queste condizioni, sotto l'incubo delle stesse minacce, era umano che sorgesse un principio di solidarietà e di reciproca simpatia.

    Ma dopo il delitto Matteotti, ultimo e clamoroso epilogo d'una serie infinita di soprusi e di violenze, un piano comune di difesa apparve improrogabile e sorse quasi spontaneo, partendo dal Parlamento per diffondersi nella stampa e nel Paese.





    In tal modo il Fascismo ha tolto agli Italiani anche quella che sembrerebbe la meno insidiabile delle libertà: la libertà della scelta degli amici; ciò che é un raffinato castigo per chi nella vita politica ama sopratutto la chiarezza e la intransigenza concettuale e pratica.

    Qual'é il minimo comun denominatore delle singole opposizioni coalizzate? In verità il numero delle loro rivendicazioni è giustamente assai modesto.

    L'inamissibilità d'ogni milizia di parte, la separazione dei tre poteri, la imparzialità della Magistratura di fronte a tutti i cittadini d'un medesimo StaTo, l'abolizione dalle nostre consuetudini sociali dell'autogiustizia e della rappresaglia, non dovrebbero costituire il credo di un partito, ma le pregiudiziali non più discusse d'ogni ordinato e moderno ceto politico.

    Tanto invece è oggi il turbamento della vita italiana che semplicemente per questo gli Italiani si dilaniano, e sono divisi da un solco così vasto che nessun ponte è possibile gettare tra le opposte rive.

    La necessità di mettere in comune le proprie forze per far fronte allo stesso pericolo non è dunque il frutto d'un piano preordinato, ma la conseguenza fatale della tattica avversaria.

    Nondimeno la eterogeneità di un simile aggregato politico non può non lasciare perplessi.

    È chiaro, ed è stato tante volte ripetuto, che a una situazione spasmodica come la presente difficilmente potrà succedere un periodo di calma operosa, e che una serie più o meno lunga di aberrazioni in senso opposto non potrà essere evitata.





    Troppo è il rancore e il sentimento di ribellione che si è andato accumulando in ogni ordine di cittadini contro gli eccessi sempre impuniti d'una minoranza faziosa. Troppo innaturali sono le caratteristiche che con mezzi del tutto esteriori si sono volute imporre al nostro Paese, perché non ne debba seguire un generale sussulto.

    Se per malaugurata ipotesi - e Dio voglia che questa sia la voce d'una sperduta Cassandra - dalle ceneri del Fascismo dovesse germogliare un rinnovato estremismo, è facile prevedere che non pochi dei nostri odierni alleati sarebbero portati a tributargli indulgenza.

    I filosofi che distinguono volentieri tra assassini politici e assassini comuni, tra delitti individuali e delitti di folla, che sono sempre disposti a trovare attenuanti per le cosidette "aspirazioni ingenue delle masse", anche se queste si abbandonano ai più inammissibili eccessi - sorgeranno come per incanto. Anzi non avranno che a farsi prestare, adattandolo al nuovo soggetto, il frasario che volta a volta è stato in uso per giustificare le più incredibili aberrazioni.

    Ebbene, se anche fosse vero che lo spettro di un nuovo estremismo si profila all'orizzonte, non per questo ci si dovrebbe adattare al regime incivile che oggi ci governa, come al minore fra due mali necessari.

    Anzitutto perché è da sperare che le tristi vicende di questi anni qualcosa abbiano pur insegnato a tutti quanti; e poi perché non è possibile, non deve essere, che l'Italia debba sottostare alla vicenda di cadere dalla padella nella brace per risaltare un'altra volta in padella, e via di questo passo.

    In fondo, in che consiste la profonda sapienza dell'arte di Giolitti, quella che alla lunga gli dà sempre ragione?

    Egli sembra considerare il popolo nostro come un adolescente affetto da frequenti crisi di sviluppo, durante le quali dà facilmente in escandescenze.





    È vano, secondo Giolitti, il metodo energico della camicia di forza o il richiamo alla severità degli immortali principi; conviene che l'evidenza e i frutti delle dissennate esperienze convincano il minorenne della bontà dei suoi paterni ammaestramenti.

    Seguaci di questa politica - quanto profondamente umiliante! - sono gli immancabili fiancheggiatori di tutti i movimenti cui arride il successo, sono tutti coloro che sanno "inserirsi nella realtà", anche se si tratti d'una realtà che dovrebbe profondamente ferirli.

    Quanto precede può sembrare la costituzione di un alibi nell'eventualità di accuse, di cui abbiamo chiaro il presentimento.

    E così è infatti.

    Ci par di vederla, al primo sciopero generale, la brava gente che con diuturna propaganda in tutte le occasioni e in tutti gli ambienti siamo riusciti a distaccare dal Fascismo, - ci pere di vederla farcisi incontro furente e rinfacciarci la colpa di aver contribuito ad abbattere chi da quei malanni aveva saputo liberarci!

    Accusa analoga a quella che con insistenza si ripete a carico di quelle frazioni della borghesia, le quali dopo aver accolto con simpatia un movimento di coraggiosa reazione al pazzesco fenomeno bolscevico, si schierarono nettamente all'opposizione non appena quel movimento degenerò e assunse aspetti tali da renderlo inammissibile.

    È storicamente vero che quella parte della borghesia italiana, che "grosso modo" può dirsi interpretata dagli scrittori del "Corriere della Sera", appoggiò, almeno indirettamente, il Fascismo al suo sorgere.

    Ma evidentemente quella borghesia che malgrado le sue incomprensioni, sapeva di costituire, senza poter essere sostituita, i quadri e l'ossatura della vera classe dirigente, quella borghesia cui veniva brutalmente negata ogni ragione ideale nei movimenti e nella condotta della guerra - della quale anzi, come d'una colpa, le si chiedeva a gran voce l'espiazione, - non poteva negare il suo appoggio ad un fenomeno quale fu il Fascismo ai suoi inizi.





    Esso segnò il limite oltre il quale non si doveva più cedere, fu sdegnosa rivolta contro il disconoscimento d'innegabili meriti, fu l'affermarsi di una vigorosa posizione di legittima difesa.

    Certo una volta ammesso l'illegalismo, sia pure come reazione ad un altro illegalismo, era illusorio sperare di poterne frenare gli eccessi ed i fatali sviluppi.

    Ma dicano i facili critici quali altri mezzi tenevano in serbo per uscire da una situazione divenuta insostenibile, quando il disorientamento ora generale e l'opinione pubblica sembrava chiamata a dare un segno chiaro della sua volontà.

    Questo ricorso alla tesi della legittima difesa è certamente ingrato; ma in un paese a scarsa educazione politica come il nostro, la parte illuminata della classe dirigente non deve temere di essere fatta segno volta a volta alle più opposte accuse.

    Per avere compreso quanto vi fosse di umano e di generoso nel movimento socialista, fu accusata di essersi scavata la fossa colle sue proprie mani e di aver contribuito all'esautoramento dello Stato liberale. Per essersi assunta la responsabilità dell'impresa di Libia e per la sua condotta prima e dopo la guerra europea, fu accusata successivamente di essere stata imperialista e poi rinunciataria.

    Oggi si vede imputata di aver tenuto a battesimo il Fascismo; domani sarà chiamata responsabile degli errori in cui cadranno i suoi odierni alleati.

    Ciò non conta. Per noi è geloso amore dei propri convincimenti, sicché le disinvolte apostasie non sono ammesse; è volontà di limiti insuperabili, è bisogno di intransigenza su posizioni ben definite.

    Il poter constatare che in Italia si trovano sempre minoranze coraggiose che in tutte le occasioni riescono a custodire una tradizione di rispettabilità e di buon senso, è per noi ragione di confronto e di fiducia nell'avvenire del Paese.

GEROLAMO MORGAVI