Istruzione professionaleLa Rivoluzione Liberale ha ospitato a questo proposito un articolo nel numero 31, ma credo che l'argomento sia abbastanza importante per giustificare anche queste osservazioni. Infatti il problema della istruzione professionale è fondamentale per chi voglia dare una coscienza di classe al proletariato e preoccuparsi insieme delle condizioni di vitalità di un'industria moderna, anche oltre gli interessi momentanei della classe industriale. La recente riforma della scuola media, accentrandone il carattere umanistico, rende poi necessario uno sviluppo più solido della istruzione professionale che per molte classi della popolazione sarà la unica possibile e conveniente istruzione. E sgombriamo il cammino da due illusioni. Una, combattuta anche dal Balbo nel citato articolo di R. L., è che nelle officine si possano impiantare scuole professionali. Saranno sempre unilaterali e sfornite di qualsiasi indirizzo generale. L'altra che delle scuole professionali possano contemporaneamente essere officine. Il difetto, notato dal Balbo, per i laboratori delle nostre scuole industriali di "non dare all'allievo l'idea di quello che è nella pratica reale l'ordinamento del lavoro e della produzione in uno stabilimento moderno", è perfettamente vero, ma esso non è peculiare di quei laboratori; invece proprio di ogni tipo di scuola che voglia essere officina. Tra la Scuola-officina creata e diretta con criteri didattici, fornita di quel materiale che possa servire a quei fini, campo di esercitazione degli allievi, e la officina vera, retta esclusivamente da criteri economici, dove non si ammettono esperimenti e dove gli operai debbono aver imparato e non imparare, l'abisso è vasto ed incolmabile. I tentativi di Scuole-Officine che si sono effettuati in Italia sono falliti o perché non si è tenuto conto della economicità dell'impresa (e la scuola è divenuta più pericolosamente lontana dalla realtà che non la scuola retorica), o perché si è accentuato troppo il carattere economico ed allora di scuola non è rimasto che il nome. Anche nell'azione degli Enti locali ed in ispecie delle Provincie, che il Balbo propugna, io sarei molto pessimista. A parte il momento speciale che ora attraversiamo in cui gli Enti locali, poveri di denaro e più ancora di contenuto, nulla potrebbero fare, anche in situazioni normali le Provincie rappresentano troppo strettamente gli interessi locali perché dalla loro azione possa sorgere qualcosa di diverso, ad esempio, di quello che potrebbero fare singole ditte industriali o Federazioni industriali. Essere sul posto non vuol dire spesso veder meglio, ma vedere troppo da vicino e perdere quindi la visione di insieme, la visione delle esigenze vere delle industrie; vuol dire soggiacere alle situazioni locali e cadere nel particolarismo. Ma quanto ho detto finora è solo negativo. Dovremo concludere che sia impossibile curare una istituzione professionale quale certamente è necessaria? Non credo; penso soltanto che non si debba confondere, per smania di praticità, tra scuola ed officina. La scuola, anche quando è professionale, è e deve rimanere anzitutto scuola. Noi non dobbiamo chiedere ad essa più di quanto può dare, ma dobbiamo chiedere tutto quello che può dare, cioè una preparazione teorica tale che permetta a chi è uscito da essa di vedere non empiricamente ma con cognizione di causa lo svolgersi dei fatti pratici. La scuola professionale deve dare il criterio per comprendere appieno l'opera manuale, per vedere in essa non una successione di atti meccanicamente ordinati, ma un processo prefissato e in continuo divenire. Perciò mentre deve respingere le facili lusinghe dell'enciclipedismo (è così facile insegnare un po' di tutto!) deve essere rigorosamente scientifica. Niente approssimazioni, niente semplificazioni che confondono cose diverse, semplicità invece e limpidezza delle cose da ingegnare. Quello soltanto che deve distinguere la scuola professionale dalle altre scuole è il sentimento continuo della subordinazione della teoria alla pratica. Nella scuola si insegna la teoria ma si pone bene in chiaro che la teoria è insegnata come grado necessario per l'apprendimento della pratica. Una scuola così organizzata deve essere vivificata dal continuo contatto colla officina vera. Per questo ritengo che le scuole serali siano quelle che meglio si prestino, quando naturalmente il giovinetto non compia nell'officina un orario completo di lavoro e sia perciò in grado la sera di occuparsi con profitto. Allora l'apprendista trova in quanto impara nella scuola la spiegazione del suo lavoro giornaliero e tale seconda unione di teoria e pratica viene ad abbreviare il periodo di apprendisaggio, cioè valorizza più rapidamente il giovane operaio di quanto non possa fare il semplice lavoro di officina. Ché se in scuole professionali vi potranno essere laboratori e officine modello, ben vengano, ma come parte della scuola con funzione di ricerca e di campo per esperimenti, non per riprodurre a scartamento ridotto l'imponente fenomeno economico dell'industria moderna. Ricordiamoci insomma che l'istruzione professionale deve essere, innanzi tutto, istruzione. GIUSEPPE VESCOVINI
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