UNO SCUDIERO DI FILIPPELLISantino Caramella, nel suo articolo dedicato al "Nuovo Cortegiano" (N° 35 della Rivoluzione Liberale) chiama in causa gli scrittori come gente alla quale non dovrebb'essere tuttavia lecito appartarsi completamente dalla vita e dalla coscienza pubblica, tanto da mirare soltanto a una loro forma, più o meno tersa, per poi cederla, con freddo spirito mercantile, al più comodo offerente. Ora, se é lecito a uno che ha scelto la fatica delle umane lettere, senza nutrire in seno uno spirito antifascista ma naturalmente soggetto a quelle conversioni logiche e spirituali che sono proprie ai trattatori di psicologia e di simili materie ardenti e irrequiete, sopratutto in un tempo che non brilla per nessuna speciale civiltà - se è lecito interloquire, nelle colonne della "Rivoluzione Liberale", - e cercarsi con lo stilo urna definizione del letterato moderno, ringrazio Gobetti della concessa ospitalità. Che lo scrittore d'oggi abbia generalmente preso tragicamente sul serio l'assioma che la buona sostanza è inscindibile dalla buona forma, e che forma e idea sono una unica cosa, potrebb'essere dimostrato dal fatto di quel neoclassico, che non si nomina trattandosi di un vivente, il quale, acceso un giorno da un demone eventualmente predicativo e sociale, traduceva, e trovava bello tradur dettame il dictame di quel verso baudeleriano che suona: de ces baisers puissant comme un dictame... Per costui, insofferente d'ogni amichevole correzione, la forma, anzi la sua creativa intuizione della forma, doveva avere un valore assoluto. Né ha importanza il dire che un tale errore si sarebbe evitato con l'istruzione obbligatoria; restando ferme le caratteristiche mentali di quella prepotente e ispirata veggenza. Quanto alla coscienza politica, un proverbio che stimo internazionale risolverebbe meglio il problema: ognuno soffre del proprio mestiere; il calzolaio, cui manca il tempo di calzarsi secondo decenza; il trattore, che dopo aver servito qualche inatteso avventore si ritrova a dover digiunare; lo scrittore, che dopo aver prestato la coscienza ad ogni suo personaggio, non ha più la forza fisica e morale d'averne una sua propria. Il dramma oscuro di uno scrittore è il suo doversi (mi si passi l'orribile verbo!) continuamene dilettantizzare. Per uno scrittore (dato che l'autobiografismo, alla lunga, diventa un vizio) prestare una coscienza a un personaggio significa dipingere un vivente, così come appare a occhio nudo, e spiegarsene, umanamente, passionalizzarne, le ragioni, i caratteri, gli errori; e questa necessità fa di lui, sebbene in senso alto, un dilettante. E si noti che un tale dilettantismo odierno, universalistico e suscettibile di far posare chi lo esercita, talvolta a seconda di vaghi comandi sentimentali, su non importa quale costone o continente politico (si veda, per es., l'adesione di Pirandello al fascismo) si erige ad argine di un vecchio, meno concludente e sempre nobile dilettantismo; voglio dire a contrasto di quella civiltà raziocinante che fu rappresentata dalla "Voce" prezzoliniana. In quel tempo esistevano i favolosi caffè e si affrontavano, con lodevole spirito, questioni letterarie, artistiche, politiche e d'ogni ramo della cultura. La fluidità delle ragioni ragionate, e quella specie di libero ingresso all'infinito, acquisito per diritto, insieme a un discreto portamento, per tutti i campi dell'umano sapere, avviavano verso una sorta di paradiso terrestre. Fu allora che qualcuno dovette accorgersi che l'arte avente, per sua principale peculiarità, un valore polemico, non era la più concreta delle arti, e nemmeno, l'aver prodotto un Picasso, un modo diretto di avvicinarsi a Raffaello. Sorsero così i mistici della forma, intenti a prender questa d'assedio, a catturarla per ispirazione e per lunghi travagli non confessati e distesi in pazienti discorsi. S'aspettò la grande opera all'infuori della deviante scuola degli avvicinamenti per discorsi, e non importa se questa forma fosse per alcuni l'esoterica vocalità per cui poteva ottenersi la prelodata traduzione, e per altri la cosa, la realtà viva e immutabile nonostante la mancanza di finitezze formali. Giunto a questo punto non voglio contestare al Caramella che molti tra quei letterati, accusati da lui di derivare la loro mentalità dall'artisticismo su commissione del Rinascimento nel senso di sentire i frutti della loro creazione come qualcosa di incorruttibile su qualunque mercato vada a finire, non possano avere la tara spirituale che egli scorge e denuncia in loro; specialmente quelli che dalla preoccupazione politica anche latente, se non dalla passione politica, si astraggono con una eccessiva sicumera. Ma per alcuni altri, nel tempo stesso in cui rivendico a tutti l'attenuante dello svolgimento di fatti spirituali come quelli accennati, che a un esteriore Rinascimento li hanno potuti ricondurre dirò che il fascismo è potuto sembrar loro quella tale realtà, tutta da fare e da riempire, in attrazione e in divenire, degna di apparentarsi all'altro sconosciuto ideale, al quadro, al romanzo, al palma dell'avvenire. Notiamo che se la definizione tendente a rappresentare il fascismo come qualcosa di mitico e di religioso, si appalesa infantile quando è pronunciata con grave accento, può assumere un valore tutto diverso affermata con un sottinteso di spregiudicata ironia, e quando chi la esprime sia un uomo impressionato dalla inconseguenza creativa di parecchie generazioni e disposto a veder la propria sottoporsi, per trovare nel futuro il punto di una sortita geniale, a non importa quale esperimento: anche il più balzano e irragionevole. L'importante è garantire ai letterati d'oggi, con tacita intesa tra le Opposizioni e il Fascismo, un esonero dalle troppo gravi responsabilità politiche, in omaggio a quella assidua e quotidiana fatica umanissima che essi debbono compiere nel donare anime e nell'immedesimarsi nelle molte anime dei loro molti eroi. Sappiamo tutti che il genio trascende queste fatiche e, conservando il proprio carattere, penetra le più riposte realtà d'altrui. Ma se una tale preparazione aprisse anche un pallido spiraglio al genio, un tale imboscamento non sarebbe anch'esso benemerito di quel complesso di battaglie sopra le quali sorge la vita anche politica di una nazione? RAFFAELLO FRANCHI
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