I LIBERALI

    Che i liberali si radunino a congresso, non è cosa importante oltre la contingenza politica di quest'ora. È un po' come una radunata di veterani e di pensionanti, che s'accorgono all'improvviso d'un grave mancamento fra le schiere dei loro successori, e, stupiti, si dovessero trarre dal loro ozio remoto per ripetere un monito e una lezione che credevano oramai ovvia e assimilata, o, come si dice, superata.

    Bisogna guardare in fondo al loro animo. Si resta stupefatti a trovarvi tanta ostinata e rassegnata virtù.

    Libertà come normalità e come ordine: sono parole oggi ripetute e un po' vuote di senso, ma nacquero spontanee, e stanno nel cuore di molti, quasi un incessante richiamo a tempi che paiono inverosimilmente rosei e sereni.

    Ora quei beni tanto semplici e naturali hanno il sapore d'una cosa proibita; per ottenerli, bisogna riconquistarli. Intorno alle idee più comuni, alle frasi più viete, che sembrano pacifico patrimonio del benpensante e del borghese, i vili hanno fatto il vuoto. I pochi superstiti hanno dimostrato che dove sembrava vigere uno spirito di transigenza e di sfruttamento, si nascondeva la possibilità della passione e del coraggio.

    Si può esser contenti di questo mutamento di fortuna, e della ricca lezione che comporta, ma solo perché rimedia a gravi malattie e deficienze. Se il nostro liberalismo fu la spinta e il criterio dell'unità nazionale, deviò dalla sua tendenza razionale riformatrice, e mirò a risultati formali, cui non poteva corrispondere il contenuto. Sicché non si fondava l'Italia liberale, ma l'unità d'Italia; e dopo, a fare che questa non fosse una parola vuota, si tentava l'unità coatta, cioè il livellamento legale e l'accentramento. Ma poiché in quel clima non erano nati i despoti e a nessuno conveniva d'istigare le velleità dittatorie, dalla mancanza di vere e proprie attività politiche e di bisogni collettivi che fossero abbastanza coscienti per trovare una voce, la vita pubblica era ridotta alla stregua degl'interessi delle beghe, delle vanità e delle psicologie particolari, e la dominava naturalmente il trasformismo.





    Questa scienza (tattica) del nostro governo si può anche chiamare liberale. Né si può dire che abbia fatto cattiva prova. E' tipica della Terza Italia in quanto è il primo prodotto nazionale privo di ragioni e d'espressioni letterarie. In questo modo ha suscitato molto risentimento retorico fin dal suo inizio e più che dai problemi concreti ai quali non fosse pari e dalla tragedia di una nuova generazione, dall'onda retorica è stata vinta.

    Il patrimonio spirituale dei liberali Italiani, quali furono e quali sono, è proprio questo: una tradizione di buon governo antiretorico da rivendicare e da rivalutare. Accanto ad essi, si nota una ebullizione di propositi nuovi e di volontà più recise che vengono dalle sezioni giovanili e diciamo pure dalle più preparate e meno ammonitrici schiere dei combattenti. E' il segno più confortevole nel loro movimento, poiché darebbe a sperare che oltre a sobbarcarsi alle decorazioni e agli onori, vogliono assumere senza eufemismi le responsabilità di classe dirigente.

    Quando avessero, con le loro forze, con quelle riserve sicure e potenti che posseggono di uomini probi, oggi, speriamo, fatti dall'esperienza più rigidi, riassunto in pieno il potere e tagliati i ponti, e riammesso in Italia il diritto, allora si potrebbe discutere di che cosa è il liberalismo e chiedere le prove della loro fede e vagliare il contributo delle loro opere.

    La storia, si sa, comincia sempre domani.

U. M. DI L.