INERMI

    Se quella domenica dopo il delitto Matteotti mille uomini avessero dato l'assalto a Palazzo Chigi, - il Governo sarebbe stato deposto dallo sdegno dei cittadini e la parte fascista, sgomenta, non avrebbe trovato la forza di far uso delle sue armi.

    Questa postuma consolazione rallegra l'animo di molti saggi oppositori. Ebbene, no. Le cose non potevano andare a quel modo. Se i mille, violenti o audaci, non si sono mostrati, vuol dire che non c'erano, che nell'animo di molti, fra lo sdegno e la sorpresa, non trovava la sua via la decisione. Non stiamo a considerare quel che avrebbe significato, per la nostra vita politica, una nuova rivolta della piazza, una nuova fase aperta con l'insurrezione e il facile ottimismo dei comizi. Ma il dubbio e la titubanza, anche di quelli più accesi e più portati alle soluzioni chiassose, è un dato psicologico importante, è un sintomo non equivoco di cui va riconosciuto il valore.

    Inibizione di ignoranti e pregiudizio di rétori timorosi; ma gl'ignoranti e i timidi non sono tali per loro volontà malvagia, quasi sempre perché manca l'informazione e una chiara e convincente impostazione della lotta. Troppo vario e vago l'antifascismo come fatto sentimentale perché su di esso si determini l'azione; troppo incerta, troppo poco educata la schiera dei futuri capi perché desse affidamento ai semplici, troppe rischiose le prospettive perché nascesse negli spiriti la dedizione. Piuttosto che combattere per un no, si aspetta che faccia più chiaro e si lasciano le armi.





    Ora, questa volontà di chiarezza e l'attesa e quasi l'assenza dal campo della lotta - quando non si dubiti d'appartenere a una parte e non si coltivino velleità di transazioni - è una manifestazione, sebbene tardiva, di forza. Parificarsi agli avversari nella triste pratica delle armi e degli insulti significherebbe rinunciare a una superiorità che pur si crede di possedere: quella di non vedere la realtà tramutata in rapide e ossessive fantasie, di misurarla bensì con un criterio calmo, con la moderazione che sembra ai farneticanti dell'azione poco conclusiva, ma che é prerogativa di chi si mantiene e ripone ogni sua fiducia nell'ordine delle idee.

    Sarebbe molto più sbrigativo - e, per gli spiriti poco attenti, più piano e più logico - scendere in piazza a risolvere questa trista situazione senza sbocco, o a sacrificarsi. Ma la rinascita, scatenando la violenza, condurrebbe a altre dure prove donde non risulterebbe, per tutti, altro che una morbosa esaltazione sentimentale, e il sacrificio si muterebbe in pena inflitta, a pochi ribelli sciagurati. Bisogna deprecare non solo il brutale e cretino delitto del singolo, ma anche l'impazienza, l'insofferenza collettiva, la tendenza a scansare le responsabilità più serie, l'arbitrio che non s'adatta alle lente maturazioni e fa precipitare in un buio fitto quelli che cercano lo scampo da un'oscurità crepuscolare.





    Se vogliamo ritrovare nelle esperienze più ostiche un elemento di educazione, bisognerà lasciare che esse si svolgano. L'atto dell'accorato spettatore, che prova disgusto per quel che succede, ma non ha da inserire negli eventi una sua ambizione personale e perciò trattiene il respiro e sente quasi pudore della sua fede; insieme il travaglio di affermarla meglio ogni giorno, di aver ogni giorno più chiaramente e più sottilmente ragione con sé stesso, di prepararsi ai nuovi eventi con una triste serenità di presago, quasi con candore - eppoi la speranza, non fissata a una data, non appuntata a una persona, ma tutta contenuta in quell'esercizio di visione, per cui appare che se non si può mai raggiungere il segno, si tocca sempre da vicino una riva, dove non si approderà, e ogni resultato è esaurito dallo sforzo. Tale e la politica degl'inermi. Essi lottano, cioè vivono, vedendo; e non c'è vittoria che li consoli.

    In questo modo si può incontrare, ed è davvero degno, il sacrificio. Perché il sacrificio sia degno, bisogna che tutta la colpa sia nell'aggressore. Siccome delle colpe non ci si scarica mai a pieno, e risalendo la lunga catena, per quanto ci sembri d'essere distanti, ci s'incontra con il nostro passato, con azioni e passioni che avremmo scordate se non fossero lungamente vive nelle cose, non si giunge mai al sacrificio con innocenza. Da un previsto succede quindi il male - gl'interminabili odii e vendette che trovano esca anche nel ricordo delle vittime pure.

    Forse non è ancora legittimo un desiderio di pace; forse l'impossibile pace, rinnegata dai fatti e sotterrata in noi, dev'essere il tono intimo, l'assidua tendenza della nostra vita. In altri tempi avremmo avuto altri compiti; ora non c'è che da capire. Non si tratta d'una mortificazione delle facoltà, d'una vuota astratezza e d'una facile clausura, poiché smettere le armi nel clangore della battaglia e quando ogni colpo ci percuote può sembrare atteggiamento quasi eroico.

    Inermi, si è più presenti al conflitto e più pronti.

U. M. Di L.