PUNTI FERMIIn queste ore in cui più è necessario restare sé stessi, bisogna che noi riponiamo la nostra politica come una questione di coscienza in cui non si può transigere. Sbaglieremo, ma oggi si sta, attraverso la polemica quotidiana, facendo il processo a tutta una cultura, che è anche la nostra. Vediamo. C'è un gran gridare in Italia di tirannia e di libertà, di nazione e di fazione, di leggi e di illegalismi, di democrazie e di liberalismi (quanti e quante!) che rivendicano il proprio valore ideale dinanzi ai negatori. La libertà. Quando non s'è leticato per la libertà in Italia? I radicali l'intendevano come il permesso di sputare sui pavimenti e di tirar pernacchie per le vie; i conservatori come il termine entro cui potevano prosperare i loro affari. Per quale libertà si combatte oggi? I vecchi spiriti cavallottèi non sono morti, quei vecchi spiriti di cui molti anni fa un avventuriero di genio, Eduardo Scarfoglio, fece giustizia sommaria con uno spirito aristocratico di razza. Di essi non tutto è passato nella mania sagraiola e nella volgarità del me ne frego. La vecchia libertà lasciamola volentieri ai rivoluzionari da loggia massonica, noi, che non rileggiamo mai, neppure per ischerzo, la Marcia di Leonida. Il problema nostro non è di libertà, ma di autonomia. Dall'autonomia nascerà, esasperandone i termini, la libertà di domani, che sarà una conquista e non una rivendicazione. La nazione. C'è un coro commovente di auspicatori dell'unità spirituale di tutti gli italiani, senza distinzioni, nel pensiero della nazione. Dicono alcuni, e sono all'opposizione, che anche il fascismo in quanto porta nuova elementi nel seno dello Stato, contribuisce a questo ideale. Si dimentica che prima di noi, cinquanta e più anni di trasformismo hanno preparato, e bene, la materia grezza per la lotta politica in Italia. E che l'Italia non può fermarsi qui: dinanzi al totalitarismo nazionalistico, sia d'origine fascista che democratica, bisogna disperatamente educare alla divisione, disperatamente far sentire che la verità è nella lotta, non nella rinunzia corruttrice. Giolitti ha gli occhi nella nuca, lasciamo che i democratici, magari in compagnia del comm. Rossoni, li vogliano tenere, per forza, davanti. È inutile continuare. C'è il pericolo in Italia, che si ricostituiscano le condizioni per nuovi esperimenti trasformistici: molta, troppa opposizione, è di forma non di spirito. La rivoluzione non può essere per le vecchie forme del vecchio Stato ma dev'essere rivolta spirituale contro tutto un tono della nostra vita politica che da tanti anni ci domina e da cui è nato il fascismo. Democrazia alla maniera forte, il fascismo, democrazia fin dalle origini radiomaggiose, democrazia che alla dittatura dei prefetti ha sostituito, in omaggio a tanti guerrieri disoccupati, il dominio dei ras. Distinguersi, questo dev'essere il nostro lavoro. Liberalismo e democrazia, d'ogni colore, quelli che nel corrompimento d'ogni slancio ideale che affiorasse nella vita italiana, spensero ogni ripresa liberale, preparando il fascismo, quelli, non hanno nessun diritto da far valere. Non hanno segni di distinzione contro il nuovo regime. Con l'intemperanza del giovane erede il fascismo crede liquidare la vecchia eredità, dalle logge scendendo alle bollenti piazze, ma la mentalità è la stessa. Basterebbe guardare ai quadri dei dirigenti, i più veri, quelli nascosti nei gabinetti ministeriali, del vecchio Stato, che la marcia di Roma non ha scossi. E' un tentativo di ripresa di possesso in pieno, questo agitarsi di liberali e democratici? Ma può anche finire nell'idillio, che è la fine che tutti desiderano. Aspettiamo le passerelle. Bottai, squisito tipo di conservatore, è la punta verso l'opposizione. Aspettiamo le sterzate verso sinistra perché la vita italiana riprenda in tutto, perché il fascismo passi a parentesi. Molta gente, che oggi è così fiera, non aspetta altro. In troppa opposizione non c'è di meglio che poche nostalgie trasformistiche. Contro certi ritorni, contro tali riprese di vita democratica di protezioni e di elargizioni, noi non potremmo, domani, che riaprire i disperati processi salveminiani dei bei tempi dell'Unità. Intanto oggi, sopratutto oggi, mentre tanti si spaventano, ripensiamo Marx, e lo sentiamo più nostro. Noi almeno che non chiediamo nulla, permettiamoci il lusso di essere fedeli a noi stessi. Per il liberalismo di domani aspettiamo le riserve rivoluzionarie: i proletari. Che se avranno forza saranno tutte fuori dei quadri della vecchia Italia, anche di quella che oggi fa l'opposizione. E la vita italiana riavrà uno stile politico. DOMENICO PETRINI
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